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Sangiovese non basta

di Filippo Ronco

MappaArticolo georeferenziato

Da cosa nasce il desiderio di modificare il disciplinare del Rosso di Montalcino di cui tanto si parla in questi giorni? A cosa serve veramente rendere possibile l'aggiunta di uve diverse dal Sangiovese alla nota denominazione di origine? La vicenda è ben riassunta in questo post di Rolando Mucciarelli con relativi link alle varie fonti. C'è addirittura una petizione di Nicolas Belfrage, rilanciata in Italia da Franco Ziliani, che sta girando in questi giorni contro la proposta di modifica del disciplinare. Il mondo del vino, quello più legato a territorio e tradizione, si è già mobilitato, schierandosi compatto contro. Ma qual è il senso di questa iniziativa?

Me lo domando senza eccessiva retorica.
Il nostro vero valore, il principale vantaggio competitivo sul resto del mondo, quello che dura al di là delle mode e del momento, credo sia l'identità resa unica dalla peculiarità ampelografica e climatica di ciascun terroir del nostro Paese. Se iniziamo a imbastardire le nostre perle migliori, le prime ambasciatrici delle caratteristiche di una certa uva, otteniamo come minimo due effetti a medio o lungo termine:

1) la confusione nel mercato: la parte di consumatori che conoscevano il prodotto come era prima delle modifiche inizieranno a trovare una promiscuità di prodotti con lo stesso nome di prima (se non per l'aggiunta del fumosissimo "superiore" nel solo uvaggio puro) ma sostanzialmente diversi anche nella tipologia di uve utilizzate e quella parte che invece ancora non lo conosce faticherà a distinguere i vari prodotti (alla vecchia e alla nuova maniera) o a farsi un'idea di cosa sia realmente un sangiovese in purezza

2) perdita d'identità: non solo per il vino ma anche per un intero territorio ricco di storia, amato e conosciuto in tutto il mondo. L'identità è un po' magia e si può vendere meglio di qualsiasi vitigno "migliorativo".


Una scelta discutibile strategicamente parlando.
Allo sperato ritorno commerciale nel breve periodo infatti (ammesso che l'intento sia quello di andare incontro ad un mercato dal gusto più "internazionale" e non quello di poter smerciare più bottiglie per accontentare grandi volumi richiesti magari a prezzi ridicoli delle grandi commesse internazionali), corrisponderà un calo sul lungo periodo, dovuto certo a questa confusione ma soprattutto alla perdita di quel tratto caratteristico e identitario che il sangiovese unito alla sua zona di maggior vocazione è ben in grado di restituire al suo degustatore in giro per il mondo.

E un Sant'Antimo di Montalcino? Proponeva beffardamente qualcuno :)


Nulla è necessariamente per sempre ma compromettere una realtà consolidata come quella di cui stiamo parlando pare lunare. Se volete imprimere bene nella memoria di cosa sappia un Sangiovese semplice, senza fronzoli o altre menate "migliorative" prima che sia troppo tardi, stappatevi un Salvino di Filippo Cintolesi (Gaiole in Chianti) o, per restare in territorio ilcinese, un Rosso di Podere Sanlorenzo (Montalcino), poi mi dite.


Nota: l'amico Luca Risso mi fa notare su twitter come il Salvino non sia in effetti un Sangiovese in purezza ma un uvaggio di antica memoria nel Chianti Classico e cioè Sangiovese in prevalenza con aggiunta di Canaiolo e Malvasia del Chianti. Ho voluto segnalarvelo comunque perché è archetipale per la comprensione di un sangiovese di base, semplice, di gran beva ed incarna perfettamente il concetto di territorialità, di vino non stravolto, di denominazione rispettata.

Letto 8519 voltePermalink[10] commenti

10 Commenti

Inserito da Enzo Zappalà

il 02 settembre 2011 alle 06:28
#1
In linea di massima sono d'accordo con Fil. Il problema sorge quando qualche amico di quelle zone (Montecucco, Orcia,ecc.) mi dice che clienti americani, olandesi, svedesi hanno chiesto espressamente di tagliare un poco il sangiovese per avere un vino più morbido e bevibile. Un mio caro amico haa risolto facilmente la situazione: un sangiovese in purezza e uno con un po' di merlot. Contenti tutti i suoi clienti? Direi di sì, basta che le cose siano ben chiare in etichetta. Io non farei drammi. L'importante è che rimanga ben chiara la possibilità di avere un vino sangiovese in purezza (o nebbiolo o aglianico o quello che volete) . Se poi gli diamo un nome diverso (sant'Antimo ... peccato svilire un nome che si riferisce a una delle più belle chiese italiaane...)può anche essere meglio. Oppure fare come Gaia? Oppure fare in modo che i consumatori sappiano leggere senza bisogno di spinte a destra e sinistra...

Inserito da Luca Risso

il 02 settembre 2011 alle 08:53
#2
I produttori di Montalcino dovrebbero fare con Rivella come i produttori di Barolo hanno fatto con Gaia, mandarlo al diavolo.
Se a un Olandese piace il merlot, perché pretende di volerlo di Montalcino? Tra l'altro ce ne sono di ben migliori in giro. L'ignoranza a mio avviso non va assecondata ma combattuta.
Luk

Inserito da Enzo Zappalà

il 02 settembre 2011 alle 11:00
#3
parli bene Luca... ma allora cosa dovrebbe fare il produttore a cui chiedono il piccolo taglio? mandare al diavolo potenziali clienti che magari gli prendono centinaia di bottiglie? Non è facile decidere sulla pelle degli altri...

Inserito da Filippo Ronco

il 02 settembre 2011 alle 11:26
#4
Ma molto semplicemente, fare un igt come gli pare. Il Rosso e il Brunello li faccia come vanno fatti.

Fil.

Inserito da Enzo Zappalà

il 02 settembre 2011 alle 14:56
#5
sono pienamente d'accordo e così lui fa infatti... Forse ho capito male lo spirito dell'articolo...

Inserito da Elisabetta Tosi

il 05 settembre 2011 alle 09:38
#6
Assolutamente d'accordo con il commento tranchat di Luca. Se cominciamo a fare il vino come lo vogliono i clienti, è la fine. A quel punto ci resterebbe solo un'arma (spuntatissima) in mano: quella del prezzo. Una battaglia persa prima ancora di cominciarla.
No, Luca ha ragione, l'ignoranza va combattuta non assecondata. La scelta verso cui si sta orientando il Consorzio ilcinese è la solita all'italiana: complicare tutto con i nomi. Andate a spiegare la differenza tra Rosso di Montalcino Superiore e R.d.M Sangiovese ad un giapponese, se ci riuscite. O anche ad un non-toscano, se è per questo.
Il primo che mi parla di "semplificare la comunicazione del vino" lo meno!

Inserito da Enzo Zappalà

il 05 settembre 2011 alle 11:44
#7
Alla fine il succo è questo: cercare di insegnare, ma ... se uno vuole un taglio non vedo perchè non possa averlo, basta che non ci sia scritto RM o Brunello o quello che volete. Per molti produttori quello è il modo di sopravvivere in questi periodi. Se il cliente è straniero basta metterlo di fronte ai due vini: poi preferirà lui cosa scegliere e ci penseranno i "suoi" esperti stranieri a spiegargli la differenza. In Italia abbiamo tanti esperti, ma non mi sembra che si sia fatto molto se ancora si vogliono cambiare i disciplinari e se la gente vuole proprio il taglio. Se poi la gente capirà la differenza gustativa farà le sue scelte e il produttore smetterà di fare il taglio con nome di fantasia (e sarà anche contento, sono sicuro). La truffa esiste se viene dato un brunello che non sia tale...
No al cambio di discplinare, ma libera scelta a chi preferisce un rosso arlecchino...
O sbaglio?

Inserito da Sergio Ronchi

il 05 settembre 2011 alle 15:36
#8
Io credo che un pò di chiarezza ci voglia sui vini del territorio. Personalmente preferirei avere un RdM con solo sangiovese (ma anche il Brunello però con solo sangiovese, e coon moltri controlli) così da avere una DOC di "ricaduta" del Brunello. Se però si introducono aggiunte "strane" allora si crea maggiore confusione, a questo punto forse sarebbe meglio creare una denominazione diversa (ne abbiamo già tante che una in più non penso crei problemi)magari con 50% sangiovese + altri vitigi come merlot, cabernet sauvignon, syrah ecc.... e perchè non chiamarla Montalcino International Red ... ;-)

Inserito da Angelo Mignosa

il 05 settembre 2011 alle 15:50
#9
sul tema non è semplice prendere una posizione.
se guardo all'aspetto puramente economico delle organizzazioni aziendali che producono vino, capisco le esigenze di indirizzare la produzione alla domanda.
In questo ambito di valutazione l'obiettivo è vendere, come altrimenti trascurare il desiderata del mercato, del consumatore.

Dall'altra, rapito dal fascinoso mondo del vino, fatto di terra, lavoro e passione, respingo l'idea che si facciano ulteriori passi verso una sorta di "normalizzazione" del gusto, che tende ad annullare identità, e il lavoro di decenni.

E mi sono stancato di bere vini ruffiani, tutti uguali, legnosi e così "internazionali" tanto che ormai trovarmi davanti ad un robusto Aglianico, che sa di vino, sa di vero, mi fa gridare al miracolo.

Il vino lo devi poter distinguere, riconoscere , con il suo volto, la storia, il nome.
Se voglio bere sangiovese grosso in purezza, devo poter avere le idee chiare e indirizzare la mia scelta, altrettanto se decido di godermi un borgogna, o la curiosità da 18 vitigni proposta da qualche chef "bizzarro" . Scelgo.

Questa estate ero a Taurasi per la festa annuale del vino ( ve la consiglio, un posto magico), cantine aperte e un mare di tipicità locali. Vini spigolosi, duri ,ma di carattere, e unici nella loro identità ben scolpita.
In una presentazione lo stesso produttore ci metteva in guardia, quasi scusandosi, nel proporci lo stesso vitigno ( Aglianico) prodotto in un caso per il mercato internazionale con passaggio in legno di rovere e altre sofisticazioni , acidità e freschezza alla moda, l'altro schietto, ruvido ma buono davvero, breve passaggio in botti di castagno,come si faceva una volta, un'altra cosa .

Allora viva i disciplinari, viva la tradizione, basta con l'omologazione, che ci risparmino almeno il vino !




Inserito da Luigi Bellucci

il 05 settembre 2011 alle 18:35
#10
"La vita è troppo breve per bere dei vini cattivi" ma qui si entra nella soggettività e allora "viva i disciplinari, viva la tradizione". Purtroppo anche la tradizione spesso tradisce. Quindici anni fa ero presidente di giuria a una delle tante fiere dove si doveva premiare il miglior "vino del contadino" ... una fatica bestiale a trovare tre vini degni di questo nome tra i 150 presentati! Da bambino vivevo nel montefeltro romagnolo, colline meravigliose per il rosso, che era "Solo Sangiovese", ed era buono e in trattoria piaceva a tutti, specie ai turisti. Nel 1957 venimmo a Genova a gestire una trattoria. Mio padre fece arrivare dalla Romagna, dalle nostre colline, qualche damigiana di Sangiovese per proporlo ai clienti. Fu un disastro, aveva perso tutto il suo carattere, i suoi profumi. La terra di Liguria non faceva per lui. Oggi, purtroppo per la tradizione, per fortuna per la tasca, il poduttore va verso il gusto del cliente e cerca di fare un vino che piaccia e che la gente compri.
Qualcuno, ancora troppo pochi, riesce a proporre un vino tradizionale che piace e ogni anno riesce a vendere tutto. Forse su questa strada si dovrebbe trovare la quadratura del cerchio ... ma è dura, è molto dura.
E i disciplinari lasciamoli in pace, che rimangano il riferimento che devono essere per almeno dieci - quindici lustri.

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Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...

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