Schiere di addetti stampa confezionano ogni giorno quantità abnormi di non-notizie da inviare ai propri contatti on e offline. E' un sistema che si trascina, stanco, avendo quale unica linfa vitale il sorriso compiaciuto degli ignari committenti - per lo più soddisfatti - quando consultano le conseguenti non-rassegne stampa. Probabilmente sono convinti di aver diffuso in modo efficace il proprio marchio. Così è tutto un proliferare di aziende che vanno "alla conquista del mondo" che siglano "accordi storici", che "brindano" con questo o quel concorso canoro o di bellezza.
Ma non è solo colpa dei professionisti che anzi sono ben consci del fatto che la notizia spesso non vi sia. No, è semplicemente un modo poco produttivo ed efficace di concepire l'uso della stampa e delle pubbliche relazioni da parte dell'azienda. Anche perché laddove non vi è notizia, non bisognerebbe usare lo strumento del comunicato alla stampa.
Una brava professionista, provocatoriamente solleticata sul punto, mi ha dato una risposta sincera ed allo stesso tempo disarmante:
"Più che notizie da dare (e non ce ne stanno molte, ma la vita di un'azienda è fatta di queste cose, che peraltro costano un sacco di soldi e comunque fanno mercato) dobbiamo (parlo per la categoria) arrampicarci sugli specchi per far nascere qualche curiosità, per far sapere che le aziende esistono, per far sapere cosa accade in giro".
E' la verità. C'è una schiera di persone che letteralmente è costretta ad inventarsi le notizie perchè non ha nulla da dire. Ma quanto è colpa del contenuto e quanto del contenitore?
Si potrebbe provare a dedicare meno tempo alle non-notizie e un po' di più a mettersi in piazza in un modo nuovo, magari attraverso l'uso delle molteplici opportunità che la rete mette a disposizione. Passare dal generare attenzione al meritare attenzione è attività prodromica rispetto alla nascita di una relazione, l'importante è poggiare il tutto su qualcosa di concreto, magari senza rompersi troppo la testa con soluzioni difficili, partendo dalla condivisione del proprio vissuto quotidiano, con un giusto mix tra parola e ascolto.
Su questo tema, vedi anche:
I'm all ears, di Davide Cocco
Be good!, un mio pezzo di qualche tempo fa
Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...
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Inserito da Pamela Guerra
il 01 settembre 2010 alle 23:50leggendo il tuo post ho subito pensato a me, che appartengo alla categoria, al come svolgo io il mio lavoro, al fatto che anch'io ho commesso e commetto l'errore di assecondare i desideri dell'azienda che mi chiede un CS giusto per; ma ho anche pensato a me, a quanto mi innervosisco quando la casella di posta è zeppa di comunicazioni tutte uguali o, peggio, su tanti portali di informazione, trovo copincollati i precedenti testi, senza nemmeno una virgola cambiata.
Poi ho ripensato a quando, come consulente, mi sento dire dalle aziende che non ci sono soldi per investire in social media mktg e poi spendono 10000€ (tutto il loro budget destinata alla comunicazione) in redazionali; o peggio, si bruciano 20/30000€ per organizzare un educational per “operatori” che scroccano viaggi o per la presentazione ufficiale di una nuova etichetta.
Fino a che le aziende non avranno assimilato il concetto che per meritarsi attenzione bisogna non solo farsi notare ma anche avere qualcosa da dare e da dire, toccherà a me inviare CS e a te leggerli/cestinarli, per arrivare alle fine del mese.
Però Fil, mi viene da domandarmi perché continuiamo a dirci cose che già sappiamo; noi inteso tu che scrivi e io, che leggo; noi che viviamo il (e nel) web e non lo usiamo solo come mezzo.
Pamela