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Livorno, dove i popoli si sono mescolati come un caciucco

di Filippo Ronco

MappaArticolo georeferenziato

Anche a tavola, si sa, usare la terminologia giusta per indicare ingredienti e portate è di importanza fondametale. Ma oggi non c’è bisogno di dotarsi, come una volta, del vocabolario livornese-italiano per esplorare i misteri enogastronomici di Livorno, città disincantata e sognatrice al tempo stesso, miscuglio di razze, lingue, usi diversi che rappresenta quasi il codice genetico della gente livornese. La riprova si ha in centro dove, nel giro di pochi isolati e in perfetta armonia, si trovano le chiese di quasi tutte le confessioni religiose. Ne è sintomo ulteriore, per entrare in tema, il cuscussù,la bizzarra versione labronica del cuscus, divenuta a suo modo un piatto caratteristico della cucina locale, attraverso una serie di varianti lasciate alla libera interpretazione del cuoco. Cacciucco di pesce, cacciucco di gente, si autodefiniscono del resto i livornesi. La specialità simbolo della città è infatti una sorta di zuppa di pesce, con un bel sugo tirato e saporito su una base di pane, dalle tante versioni e dall’etimo incerto. Godersene una scodella fumante è il minimo che si possa fare trovandosi da queste parti.

Gli esegeti dicono, a ragione, che va gustato con un vino rosso giovane e che i diversi pesci vanno cucinati a parte e solo dopo mescolati, mentre il piatto dev’essere ben asciutto, mai acquoso. Per chi ha la possibilità di prepararsi il cacciucco da solo , il consiglio è di andarsi a comprare la materia prima al mercato comunale, un armonioso edificio ottocentesco, dove si possono ottenere anche salaci spiegazioni sul modo di cucinarlo. Ovviamente a Livorno i locali dove mangiarselo più comodomente già pronto non mamcano. Al contrario. L’importante è però non lasciarsi inghiottire dalla monocultura di questo piatto così caratteristico e sapersi spostare anche sulle tante altre pietanze tipiche locali. Come le saporitissime triglie alla livornese ad esempio, o il baccalà e lo stoccafisso caratterizzati dalla preponderante presenza del pomodoro. Per lo spuntino di metà giornata è d’obbligo invece la torta o cecìna, a base di farina di ceci, da cospargere con abbonadante pepe. La si mangia da sola o nella formula 5e5, tra due fette di pane. L’espressione deriva dal modo di ordinarla dei vecchi livornesi, che chiedevano “cinque lire di torta e cinque di pane”.

E’ ovvio che di tortiere Livorno è piena e ogni posto è buono per sbocconcellarne un po’, magari seduti sul battello che fa il giro (guidato) dei fossi, cioè della rete dei canali navigabili che attraversano uno dei più antichi e pittoreschi quartieri del centro storico, la seicentesca Venezia (il rione è infatti, come la città di San Marco, costruito sull’acqua). Un’altra bella occasione da sfruttare in chiave enogastronomica (ideale ad esempio per chi attende l’imbarco, visto che si trova a solo poche centinaia di metri dagli attracchi) è poi quella di una visita al vecchio porto mediceo fortificato. E’ da queste parti che si trovano, infatti, i ristoranti specializzati in un’altra delle più caratteristiche ghiottonerie locali: il riso al nero di seppia. Che qui, contro ogni ragionevole previsione, va mangiato ben cosparso di parmigiano grattuggiato. La fragranza del formaggio, spiegano gli intenditori, smorza il gusto un po’ acuto dell’inchiostro. Provare per credere. E infine, per digerire dopo un’abbuffata, sosta d’obbligo al bar, dove ci aspetta il leggendario ‘ponce’ alla livornese, inimitabile cocktail di caffè e rhum. E se la digestione continuasse a latitare, si potrà provare a risolverla ordinando una ‘persiana’, la bomba alcolica di colore verde (donde il nome) a base di liquori di menta e di anice.

Cacciucco
Ingredienti per 6 persone: 500 g di seppie nostrali, 500 g di polpi di scoglio, 300 g di palombo fresco, 500 g di pesce da zuppa (gallinelle, cappone, scorfano), 500 g di frutti di mare misti (datteri, vongole), 500 g di gamberoni, gamberi, scampi, cicale, vino bianco, un cucchiaio di concentrato di pomodoro, olio, aglio, salvia, peperoncino, 12 fette di pane posato e arrostito, pepato e agliato.

Preparazione: Mettere al fuoco una casseruola con fondo d’olio d’oliva, aglio e salvia, peperoncino. Soffriggere. Quindi mettere polpi e seppie tagliati a troccoli, bagnare con vino bianco, aggiungere il concentrato di pomodoro e cuocere per 20 minuti, rimestando. Mano a mano rovesciarci i pezzi da zuppa e il palombo tagliati. Le teste dei pesci andrebbero cotte in brodo con gli odori e passate. Il ricavo, abbastanza denso, e versato nella casseruola, aggiungerebbe sostanza e sapore di cacciucco. Seguire la cottura a fuoco lento. Quando il polpo e le seppie sono tenere aggiungere i crostacei e i frutti di mare con i loro gusci. Andare avanti per altri 6-7 minuti affinchè datteri e vongole si aprano. Il pane agliato e abbrustolito va posto sul fondo delle terrine. Con un grosso ramaiolo attingere pesce e sugo dalla casseruola in parti eque. In abbinamento vino rosso, meglio se giovane.

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Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...

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