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L'insostenibilità del modello free puro della rete, di Filippo Ronco

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L'insostenibilità del modello free puro della rete

di Filippo Ronco

Forse faccio un buco nell'acqua ma a guardare l'andamento economico di alcune tra le maggiori realtà internazionali della rete mi domando se il modello del tutto free al quale internet sembra virtuosamente ispirarsi, sarà concretamente sostenibile nell'immediato futuro. Prendiamo YouTube per esempio: l'ultimo report arriva dalla Credit Suisse, secondo cui sui 240 milioni di dollari circa di entrate, graverebbero sul colosso del video sharing mondiale spese per ben 711 milioni di dollari. Solo di banda necessaria per sostenere la visualizzazione dei video da parte degli utenti si parla di 1 milione di dollari al giorno, mica ciufole.

Dal punto di vista di un fruitore della rete, la cosa potrebbe essere di scarsa rilevanza. Dice, chiuso un YouTube, se ne fa un altro. Vero ma a chi conviene ? A noi utenti no di sicuro. Il punto è: fino a quando ci saranno aziende disposte ad investire milioni nella realizzazione o nell'acquisizione - YouTube costò a Google qualcosa come 1,85 miliardi di dollari - di startup o portali di questa entità ? Fino a quando angel investor e ventur capitalist sosterranno tutto questo senza la certezza di un modello né profittevole né autosostenibile ? E quale sarebbe per i milioni di heavy user di tali servizi, il danno per una improvvisa chiusura e perdita di tutto il lavoro fatto ? Ben inteso, la stessa domanda potremmo porcela per Facebook o per altri servizi utilizzatissimi come Twitter o come Skype, ecc.

Questa premessa per estendervi alcune considerazioni sparse sulle quali rimugino ormai da qualche tempo - senza aver trovato una reale risposta - qui dal seggiolino del back office:

  1. Un qualsiasi progetto online ad accesso gratuito richiede, perché sia economicamente sostenibile, una massa critica di traffico e di utenti che gli consenta di arrivare a coprire le spese e fare profitto con la pubblicità online.
     
  2. Oltre ad una certa massa critica si passa però da una situazione di profitto ad una situazione di debito. Oltre un certo limite x, infatti, diverso per ciascun progetto online, l'ulteriore espansione diventa talmente costosa che, se basata su un modello economico esclusivamente pubblicitario, questa non riesce più ad autofinanziarsi avendo come unica prospettiva quella di chiudere o trasformare a pagamento parte o tutto ciò che fino a ieri era gratuito.
     
  3. Chi in passato (10 anni fa almeno) provò a trasformare siti nati free in siti a pagamento fallì clamorosamente (in piccolo, guardando al settore del vino, basti pensare all'ormai trascurato WineReport sotto l'allora brillante guida di Franco Ziliani). Passato che oggi terrorizza chi, ciclicamente, pensa all'opportunità / necessità di riprovarci.
     
  4. Nel frattempo va considerato che la massa di utilizzatori della rete è enormemente cresciuta e il bacino di utenza sulla quale un qualsiasi progetto online di successo può contare è enormemente più ampio rispetto ad 10 anni fa. Anche il tempo trascorso in rete è aumentato rispetto ad allora, così come la priorità di internet rispetto ai media tradizionali (almeno per le nuove generazioni).
     
  5. Viene quindi da chiedersi se l'imprescindibilità dell'uso gratuito della rete ha la stessa identica valenza di 10 anni fa oppure oggi saremmo disposti a pagare una piccola somma per poter continuare ad utilizzare servizi che sono ormai entrati a far parte dell'uso quotidiano - proprio in quanto quotidiani, come l'acqua, la luce e il gas - come YouTube, Skype o Twitter solo per fare esempi noti.

La rete oggi è quotidianità, normalità.
Non è più quello strumento ostico e marginale dei suoi primi anni di vita, è parte integrante della vita di ogni giorno, servizio globale del quale, al pari di luce, acqua e gas, sarebbe ormai ben difficile fare a meno. Ma la rete non è soltanto connettività, è anche anche e soprattutto informazione, contenuti, servizi. Potremmo chiederci, per esemplificare ulteriormente, perché se i giornali chiudono offline dal momento che non si sostengono più con la pubblicità (e ricordiamoci che i giornali oltre alla pubblicità, ai pubbliredazionali ed ai finanziamenti pubblici ricevono il pagamento del giornale stesso in edicola), online dovrebbero sopravvivere più a lungo.


[Foto credit: lnx.sinapsi.org]

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10 Commenti

Inserito da Giuliano Abate

il 07 aprile 2009 alle 10:02
#1
Credo sia questione di tempi,in questo caso, non ancora maturi:ma la rete ci ha abituati a grandi velocità.
Il modello attuale non può reggere, come hai sottolineato, ma chi si è avvicinato alla rete da poco non ha ancora percezione della differenza reale di un servizio a pagamento rispetto ad uno free; esempio ne è la casella di posta elettronica.
Una recente indagine del Pew Internet & American Life Project condotta su 19 milioni di internauti il 12% si è reso disponibile a pagare un servizio gratuito fino a quel momento: erano i navigatori più smaliziati, quelli della prima ora.
Altro discorso è il valore reale del servizio stesso:oggi posso usare FB perchè "tanto non costa" ma di fronte ad una offerta commerciale le mie scelte cadrebbero su altri servizi.
Chi avrebbe mai pensato, in un passato prossimo, di dover pagare l'acqua o la raccolta della spazzatura?

Giuliano Abate

Inserito da Filippo Ronco

il 07 aprile 2009 alle 11:46
#2
Forse potrei fare a meno di Facebook ma per poter continuare ad utilizzare Skype, per esempio, io pagherei anche una discreta somma annuale.

Ciao, Fil.

Inserito da Sergio Ronchi

il 08 aprile 2009 alle 17:32
#3
Bella questione. Io dividerei il problema tra due fruitori gli Home e i Business users. Per i Business pagare un fee non è un problema se lo strumento è fondamentale o comunque utile. Diverso il discorso per gli Home; questi utenti di solito non sono interessati a pagare un servizio che spesso reputano non fondamentale. Se non si può usare un dato strumento (facebook a quant'altro) si troverà in rete un altro strumento gratuito. Mi trovo spesso a gestire queste problematiche per lavoro dato che sono proprio questi gli ambiti in cui mi muovo a proporre ad aziende soluzioni software / social software. C'è ancora una discreta confusoine e paura nell'introduzione di nuove tecnologie e spesso si lascia al singolo la sperimentazione.

Inserito da Filippo Ronco

il 08 aprile 2009 alle 22:50
#4
Caro Sergio, grazie per il tuo commento. La distinzione che poni sicuramente è utile a chiarire. Come cercavo di mettere in luce nel post però, a me la frase "se non si può usare un dato strumento (facebook a quant'altro) si troverà in rete un altro strumento gratuito" non mi convince. Anzi, è proprio quello che metto in discussione. Fino a quando si potrà pensare che questo tipo di modello possa reggere ? A che pro aprire di continuo nuove startup e nuovi servizi se il modello di business che sta alla base di questi non cambia e si mostra di continuo fallimentare ?

Ciao, Fil.

Inserito da Fiorenzo Sartore

il 09 aprile 2009 alle 10:01
#5
Ci sarebbe da introdurre un aspetto non marginale: la gratuità è apparente. Internet si fruisce via costosissimi contratti di connettività che intascano esclusivamente le compagnie telefoniche; per accedere alla rete io pago un'adsl in ufficio, una a casa ed un umts col cellulare, una somma spropositata unicamente a vantaggio delle telco; queste dovrebbero destinare una parte dei loro assurdi guadagni (investiti non a caso in grotteschi testimonial pubblicitari, dai prezzi stellari) direttamente ai portali che producono traffico. Le telco sono *evil*, quindi dovrebbero essere le prime a subire finalmente questa rivalsa. Ovviamente, tutto ciò, in un ipotetico mondo dei sogni. Ma almeno si riaffermi questo: Internet *non* è gratuita.

Inserito da Filippo Ronco

il 09 aprile 2009 alle 11:46
#6
Ho pensato molto a questo aspetto Fio mentre scrivevo il post. Il problema sai qual è ? Che anche loro sono convinti che "tanto la rete è gratuita" e che ci sarà sempre traffico. L'idea che possano "devolvere" (atto liberale ?!) parte dei loro guadagni a chi produce il motivo del loro guadagno la trovo anche io onirica soprattutto perché sono due mondi paralleli e non interconnessi. Se anche per assurdo le telco dessero accesso free alla rete, l'insostenibilità del modello non cambierebbe no ?

Ciao, Fil.

Inserito da Luigi Bellucci

il 09 aprile 2009 alle 12:34
#7
Sono molto d'accordo sia con Sergio sia con Fiorenzo. Internet non è ma appare gratuita all'utente finale perchè chi ha un PC per i suoi usi quotidiani lo usa anche per viaggiare in virtuale. Però se tutti i servizi diventassero a pagamento ci sarebbe un fuggi fuggi almeno del 90 - 95% e quindi ne varrebbe ancora la pena? Credo sia come quando c'è uno spettacolo per strada. Tutti quelli che passano curiosano, si fermano, commentano, ma se devono fare un'offerta allora ritornano sui loro passi o proseguono con indifferenza. Solo la curiosità umana popola Internet. Il business è un'altra cosa!

Inserito da Filippo Ronco

il 09 aprile 2009 alle 12:41
#8
Sono completamente d'accordo Luigi e anche io, ben inteso, vorrei una rete per il più possibile gratuita. Mi pongo solo una domanda con questo post. Come è possibile sorreggere strutture come Youtube, in costante perdita con gli attuali modelli ? Non pagheresti 10 euro all'anno - per dire - per poterlo continuare a usare gratuitamente per la restante parte del tempo ? A me il concetto della rete globally free piace eccome, solo lo vedo utopico oltre che irriconoscente. All'estero, ti assicuro che le donazioni paypal a siti open e free sono all'ordine del giorno. Io ho aperto paypal donation su vinix mesi fa e ne ho ricevuta 1 da 50 euro. Ancora grazie, ci mancherebbe ma la mentalità, ne converrai, è proprio diversa.

Ciao, Fil.

Inserito da Luigi Bellucci

il 09 aprile 2009 alle 17:24
#9
Fil, non credo sia un problema di differenza di mentalità Italia / Resto del mondo. Del resto Internet è uno strumento globale. Secondo me è tutto regolato dalla vecchia legge della domanda e dell'offerta applicata all'informazione, che spesso purtroppo su Internet è "oro fasullo". A fronte di una certa offerta c'è una certa domanda e viceversa. Chi decide di entrare in giostra ha i suoi obiettivi (o per lo meno dovrebbe averli), ha i suoi parametri di misura e sulla base di quelli ragiona se e come continuare a girare o scendere. Basta guardare nel commercio tradizionale quante sono le attività che vengono aperte e chiuse ogni anno! Quelli che non scendono è perchè ci satnno guadagnando, poco o tanto che sia.

Inserito da Filippo Ronco

il 09 aprile 2009 alle 17:35
#10
Secondo me quelli che non scendono e che stanno perdendo come dismostrano i dati, lo fanno perché ancora non sanno quale possa essere il modello sostitutivo ma sperano di trovarlo secondo me.

Ciao, Fil.

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Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...

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