Ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi del convegno "Vino in Bocca", appena conclusosi all'Istituto Enologico di San Michele all'Adige, organizzato dall'Assoenologi Trentina con il forte e prezioso stimolo di Mario Pojer, caro amico e talentuoso avventuriero tra enologia e mondi inesplorati, quelli fatti della fantasia e della candida sorpresa di fronte al disvelarsi delle cose, tipiche dell'innocente e sempre umile curiosità dei bambini. Tra i vari interventi che mi hanno preceduto, interazioni del pubblico più e meno calorose, ciò che più mi ha colpito è stato l'intervento di Angelo Peretti, uno dei relatori della giornata.
L'incipit è stato di questo tenore:
"...un discorso è apodittico quando non ammette mediazioni: o bianco o nero, o di qua o di là. Il che corrisponde, quasi sempre, alla maniera di porsi di chi bazzica il mondo dei blog: la mediazione non va di moda, sul web..."
Del tipo, "adesso ti spiego".
Non male per chi per sua stessa ammissione, è giunto ad apprezzare e sfruttare ciò che la rete mette a disposizione in termini di libertà ed opportunità solo da qualche anno. E lo dico con il massimo rispetto per un bravo giornalista quale è Angelo Peretti. Bravo giornalista, appunto.
L'intervento di Angelo si è articolato in una disamina economico-strategica sul tipo di approccio che il vignaiolo dovrebbe avere verso i mercati, sulla necessità della loro segmentazione, sulla ricerca degli appropriati target, spingendosi quindi fino al concetto implicito secondo il quale occorrerebbe creare un prodotto non perchè lo si ama, si ha una visione, ci si crede, si è animati dalla passione per farlo ma perchè si sono individuati uno o più mercati di riferimento che potrebbero trovarlo coerente con i propri bisogni. Sorprendente, poi, la chiosa finale sulla probabile inadeguatezza del web a trattare l'argomento vino.
Se l'intento di tale intervento - qui troverete concisamente i contenuti - è stato quello di lanciare una provocazione, di creare una versione caricaturale di una certa visione della rete che l'autore ha in testa, può anche starci. Non mi convince ma può anche starci, in fondo la caricatura col fine di provocare una reazione è sempre stimolante per il dibattito.
Il dubbio, però è che si andasse oltre la caricatura sottendendo convinzioni profonde, concrete e condivise da una parte ancora molto ampia di persone, esponendo ad una platea che era lì per conoscere altro, almeno negli intenti. Del resto, partecipare ad un convegno su comunicazione, vino e rete per dire che no, il vino probabilmente non è "oggetto" (sic!) adatto alla rete stessa è stato quanto meno eccentrico.
Ecco, qui dal piccolo Back Office, mi piacerebbe riprendere il discorso insieme ad Angelo e ai molti che hanno partecipato al convegno perchè sono cose a cui tengo e a cui ho dedicato molti anni, dinamiche che conosco almeno un po' e non vorrei che alla fine i produttori intervenuti al dibattito ne uscissero con le ossa rotte, come di quelli che hanno le idee ancora più confuse di prima. Si perchè il vino in rete ha costituito e creato, per suo tramite, molto anche al di fuori di essa, in quel posto chiamato vita offline, dove tutti ci troviamo quando spegniamo il computer.
Parlare oggi di segmentazione dei mercati secondo me è anacronistico oltreché fuorviante: se è vero il postulato, non è detto che lo sia la formula. Mi spiego. La presentazione di Angelo mi è parsa un po' arroccata su posizioni poco aperte alla concreta rivoluzione economica e degli equilibri che stiamo vivendo. Dal Cluetrain Manifesto ad oggi. Mi rendo conto che questi cambiamenti non siano percepibili da tutti nello stesso modo, chi è più dentro, chi è più fuori.
Però oggi i mercati stanno veramente cambiando. E' proprio cambiato il modo di relazionarsi con questi mercati, ne sono testimone diretto, giorno dopo giorno. E' vero, alcune strategie e regole funzionano ancora in modalità push cioè spingi, proponi a chi non ti ha chiesto - per intenderci - ma è dimostrato che i metodi per raggiungere questi mercati non funzionano più. Anzi, in alcuni casi si rivelano ormai del tutto controproducenti.
Perché?
Il futuro a mio modo di vedere (un po' di dubbi, non vorrei sembrare eccessivamente apodittico) è fatto di mercati che si muovono autonomanete e in modalità "pull" - cioè tira, sei tu che mi cerchi e mi chiedi, sei tu che ti segmenti da solo su di me perchè io ti interesso - per trovare le cose/persone/servizi di loro interesse senza filtri o intermediari a patto che da una parte e dall'altra vi sia qualcuno disposto a incontrarsi e ad ascoltarsi. E' quell'inversione dell'imbuto di cui ho parlato anche nel mio piccolo e basico intervento.
Sono profondamente convinto di questo. Credo davvero che non sia sufficiente stilare progetti, ragionare di schemi e modelli per risolvere ogni problema. Penso che le aziende del futuro che sopravviveranno ed avranno il meritato successo saranno quelle che già sono - o saranno state in grado di diventare - straordinarie per qualche ragione. Da qui quel "meritare l'attenzione" su cui ho tanto insistito.
La mia è forse una visione eccessivamente idealistica ma già adesso abbiamo molte dimostrazioni pratiche di quanto vado dicendo. Un mondo migliore è dove ci porta la rete. Una razionalizzazione completa degli equilibri, un ridimensionamento totale delle logiche di potere, un azzeramento delle rendite di posizione, un gel smacchiatore per le menzogne, una straordinaria opportunità per tutti si ma drammaticamente democratica, in grado di far fuori ciò che non conta, ciò che è mediocre.
Il futuro più roseo è dei sognatori passionari, del saper fare, del genio, del buono e del meglio. Perchè lo meritano.
Per dare un po' di concretezza al tutto, prego i produttori (ma anche i comunicatori), di leggersi i commenti a questo post su Vinix:
http://www.vinix.it/myDocDetail.php?ID=4690
Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...
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Inserito da Stefano Caffarri
il 23 novembre 2010 alle 08:01Non sono sono d'accordo sul fatto che il vino sia "incompatibile" con internet: è solo nuovo, e il nuovo spaventa sempre
Non sono d'accordo infine sul fatto che parlare di internet oggi sia parlare di blog, anche se è la cosa più facile da introiettare per i newcomers. Anzi, direi che il blog come è stato vissuto fino ad ora è alla fine della sua parabola. Ma avremo modo di pallarne.