Alcuni giorni fa, David Rowan, direttore dell'edizione britannica di Wired, ha indicato i motivi alla base della sua decisione di non avere un account su Facebook. Il discorso è particolarmente incentrato sull'aspetto privacy però apre anche ad una serie di riflessioni più ampie che ben si intrecciano con le posizioni di Rupert Murdoch, convinto sostenitore dei contenuti a pagamento su Internet. In particolare mi piace ricordare questa frase di Rowan così come riassunta da questo articolo de Il Post:
"Un giorno leggerete quelle 5.830 parole (si riferisce alle policy di Facebook nei confronti di dati e contenuti in esso pubblicati) e vi accorgerete che Facebook detiene il diritto di fare più o meno ciò che vuole con i vostri dati, compreso venderli a chiunque paghi abbastanza. Sì, dice Rowan, Facebook è gratis, ma con mezzo miliardo di utenti che lo usano è ora di chiedersi quanto stia facendo bene o male alla società".
Non amo particolarmente Facebook e se fosse possibile farei a meno di investire ulteriore tempo anche su questa piattaforma, però avendo diverse attività che si sviluppano quasi esclusivamente in rete e sapendo che per molti che si avvicinano solo oggi alla rete questo sito rappresenta paradossalmente la rete stessa, sarebbe sciocco non prenderlo in considerazione. Se non altro porsi il dubbio.
E' così che ho cercato di superare ogni barriera psicologica personale ed ogni avversione aprendo una pagina dedicata per TigullioVino, per Vinix, per VinoClic, per TerroirVino e curando, con l'aiuto di qualche automatismo, anche un profilo personale piuttosto guarnito. Ed è per lo stesso motivo che ora sui nostri siti trovate anche il bottone di accesso allo spazio dedicato su Facebook. In fin dei conti, il ragionamento è il seguente: se molti lettori preferiscono leggerci su Facebook, che male c'è ad accontentarli? Nessuno, anche se qualche dubbio resta.
Il problema di Facebook non è la privacy
La privacy, così come largamente intesa non esiste più da un pezzo, ricordi: "La rete parla di te anche se non vuoi". Se non vuoi stare su facebook, puoi naturalmente decidere di non starci ma non escluderesti comunque la possibilità di essere citato, fotografato e pubblicato da parte di altri. E' proprio la società dell'informazione e della condivisione che funziona così, bella o brutta che sia.
Il problema vero di Facebook, quello con il quale secondo me dovrebbe iniziare a confrontarsi in modo consapevole ed autocritico anche il suo management è un altro e cioè che sta letteralmente fagocitando il web ad una velocità impressionante. Non è un'interazione - almeno apparentemente - più di superficie con i nostri contenuti come può essere quella di Google che si limita a richiamarli e ad organizzarli su richiesta. Qui si parla anche di produzione di contenuti, di persone, di vite che si intrecciano ad altre.
E' un circolo vizioso per il quale chi sta online sente la necessità di buttarsi dentro per non perdere quell'enorme fetta di audience che non naviga più il la rete - dico la rete così come largamente intesa da chi l'ha scoperta durante gli anni '90 - ma si limita a interagire con la timeline.
Stare su Facebook è un bene? E' un male?
Lo scopriremo. In linea di massima sono sempre stato favorevole alla completa condivisione. Le strade però possono essere differenti. Vinix per esempio è stato integralmente sottoposto a licenza creative commons, tanto che tutto quello che pubblichi lì sopra è poi liberamente utilizzabile da chiunque nel rispetto delle prescrizioni della licenza (citazione dell'autore e della fonte).
Il punto è che chi svolge un lavoro editoriale, chi ha una struttura da tenere in piedi, chi deve pagare giornalisti o editori per la produzione di contenuti di qualità ha anche da perderci. E' vero che da un lato Facebook è in grado di restituire un traffico importante verso le proprie pagine, le statistiche lo mettono sempre più in evidenza arrivando ad affiancarlo a Google nella serie dei maggiori referer. Ma fino a quando? Non si rischia che un domani Facebook diventi veramente la parte più consistente della rete e tutto quel meraviglioso caleidoscopio di siti, blog, social network e mondi diversi, fagocitati al suo interno, perdano ogni controllo o influenza sulla propria audience?
Forse l'errore sta nel considerare Facebook un sito antagonista anziché una moltitudine di persone e basta. Vedendolo così la prospettiva cambierebbe non poco. Il timore più grande deriva dallo sconfinato amore per la rete e corrisponde alla paura che si vada verso qualcosa con meno identità individuali.
Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...
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Inserito da Rinaldo Marcaccio
il 22 settembre 2010 alle 17:08A disposizione di chi voglia attingere.
Le problematiche legate alla privacy, credo siano sovrastate dalla pulsione alla partecipazione e condivisione, presente nella parte di utenza che identifica proprio in ciò, la ratio della sua presenza nel socialnetwork. Facendo passare in secondo piano anche eventuali speculazioni economiche su contenuti.
Credo che si possa riuscire ad intercettare, attraverso i contenuti, le fasce d’utenza interessate e quelle latenti ma in attesa di un input.