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L'editoria del futuro, di Filippo Ronco

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L'editoria del futuro

di Filippo Ronco

Stavo leggendo questo post di Fabio Ingrosso sulla crisi dell'editoria tradizionale e il piccolo commento che stavo lasciando è sfociato in alcune riflessioni più ampie che mi sembrava valesse la pena condividere anche qui su Back Office. Non so se siamo davvero alla vigilia della fine dell'editoria cartacea, almeno di quella parte di editoria tradizionale legata all'informazione di nicchia ma i segnali provenienti da più parti del mondo non sono per nulla incoraggianti in questo senso e ci sono alcune considerazioni che vorrei fare.

La prima è che ho notato che spesso chi viene dall'editoria tradizionale tende a mutuare alcuni, diciamo così, sistemi di sopravvivenza, dal cartaceo all'online. Mi riferisco in particolare agli articoli promo pubblicitari o alle recensioni a pagamento che in nulla differiscono dai pubbli-redazionali se non che spesso non sono nemmeno chiaramente identificati come tali.

Queste pratiche così tanto in voga su alcuni giornali cartacei di settore, sono pressoché sconosciute agli editori digitali "puri", almeno a quelli che sono nati e cresciuti online tra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio e che hanno ben chiari i vantaggi ma anche i limiti e le regole - scritte e non scritte - dell'informazione "condivisa" dove tutti possono commentare. La differenza di approccio mi pare evidente oltre che sostanziale.

Occorrerà allora verificare se per gli editori tradizionali e magari meno preparati sull'online sarà sufficiente il solo spostamento dal cartaceo al web o si renderà piuttosto necessario un periodo di apprendimento del sistema, dei valori e delle regole che contraddistinguono questo luogo, così diverso per certi versi rispetto al loro schema mentale tipico. Scrivevo a tal proposito in un post di qualche tempo fa che internet azzera le rendite di posizione, ed è inflessibile e molto democratico in questo, davvero, non fa eccezioni. A tal proposito, non basterà spostare un marchio noto su internet per guadagnare visibilità, reputazione e traffico. Occorrerà meritarsela, il che è sempre un tantino più faticoso.

Quel che è certo è che anche per l'editoria online - nuova o della prima ora, non fa differenza - almeno per coloro che aspirano a fare informazione ad un certo livello, è indispensabile individuare un concreto modello di business. Gli scenari possibili secondo me sono questi:


1) Il consolidamento del modello pubblicitario


Al travaso degli inserzionisti dall'offline all'online dovrebbe far seguito il travaso degli investimenti, certo. Almeno, è logico pensarlo. Essendo però questi investimenti comunque non illimitati e quindi inadeguati a sostenere qualsiasi attività editoriale, anche la più piccola - ricordiamoci che il web è anche un contenitore potenzialmente infinito di micro e macro editori - si verificherà probabilmente una selezione naturale di ciò che meriterà e di ciò che no, indipendentemente dalle vecchie metriche ma più probabilmente sulla base di nuovi e più rilevanti dati, quali la reputazione, la rilevanza, la qualità e la selezione delle fonti, il livello di accuratezza dell'informazione, la frequenza di aggiornamento, ecc.


2) Il consolidamento e l'introduzione di nuovi modelli ibridi


Si troveranno nuovi e diversi modelli di business, magari mutuati dai primi esperimenti con le microvendite di musica digitale applicate all'informazione o altri più consoni all'editoria digitale. E' possibile che si tratti di modelli ibridi basati in parte sulla pubblicità e in parte sulla vendita dei contenuti, potrebbe trattarsi di nuove forme di abbonamento o altri sistemi che via via emergeranno sicuramente nei prossimi anni.


3) Modello a pagamento

Potrebbe però accadere ciò che fino a ieri è stato sempre prospettato come impossibile e cioè, internet a pagamento o almeno, una parte di esso, condotta in modo professionale. Non è così improbabile se ci pensate. Questo cambio radicale di impostazione potrebbe infatti essere agevolato da due fattori a mio avviso determinanti:

a) il primo è il bisogno concreto da parte della massa di continuare a poter usufruire di fonti d'informazione attendibili, aggiornate e possibilmente indipendenti che non potranno che decadere e perdere di valore ed attendibilità senza alcun tipo di sostegno economico per finanziarne lo sviluppo. In buona sostanza, anche per via del fattore "tempo" (c'è paradossalmente sempre meno tempo per fare cose), la disponibilità di alcuni "punti di riferimento" secondo me sarà sempre più essenziale e tali editori per essere appunto "riferimento", necessiteranno di un modello economico sostenibile.

b) Il secondo è rappresentato dal fatto che i tempi sono probabilmente oggi molto più maturi per una trasformazione di questo tipo e ciò anche grazie ad un sempre più capillare e penetrante utilizzo della rete da parte delle masse.

Proprio le masse - quelle di ieri, ma anche quelle di domani, i c.d. nativi digitali - saranno infatti molto più disposte a pagare online piuttosto che chi ha vissuto la nascita e l'esplosione della rete da pioniere. I cinquantenni di oggi o i neonati di domani - ammesso che il modello a pagamento abbia nel frattempo raggiunto una certa diffusione - troveranno molto più normale usufruire di qualcosa a pagamento: i primi perchè lo hanno sempre fatto, offline, per tutta la vita e non troverebbero certo strano doverlo fare anche online, i secondi perché appunto nasceranno con un modello nuovo già implementato e diffuso al quale non potranno far altro che adeguarsi.

Paradossalmente, quelli che avranno più difficoltà ad integrarsi a questo eventuale passaggio potrebbero essere proprio coloro che hanno vissuto tutto il processo, dalla nascita della rete ad oggi. Siamo infatti quelli che hanno usufruito di quel meraviglioso quanto accidentato periodo pioneristico e di esplorazione dove il gratis ha sempre rappresentato non solo la condicio sine qua non dell'operare in rete ma anche e soprattutto la merce base di scambio per l'attenzione del navigatore.

A me pare che, timidamente, le cose stiano lentamente cambiando e che questo cambiamento possa poggiare oggi su basi molto più solide rispetto a quelle che facevano da cornice alla bolla di inizio millennio. Non avendo la palla di vetro, resto anch'io a guardare l'evoluzione delle cose, sempre curioso, qui dal Back Office, di quel che avviene lì fuori.

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10 Commenti

Inserito da Fabio Ingrosso

il 12 dicembre 2009 alle 15:31
#1
Trovare il modello di business è fondamentale, si gioca tutto lì. Faccio una precisazione. Nel post che ho scritto io, quello che hai linkato qui, non ho scritto che la fine dei giornali del vino italiani riguarda quelli attuali, secondo me. Cioè: le riviste del vino che troviamo attualmente in edicola (non le cito, sappiamo quali sono), scompariranno a breve dalle edicole. Questo perchè non stanno facendo nulla per adattarsi alle nuove tecnologie, ai nuovi costumi, ai nuovi modi di furizione e consumo delle notizie da parte dei lettori. Mentre, in futuro, l'informazione ci sarà sempre, ovviamente, e non potrà fare a meno di internet. Penso anche che internet apra nuove prospettive al modo di fare informazione, tutte molto interessanti, che se fossi un editore del vino io adesso starei già tentando di capire (gli editori del vino italiani, invece, sono ancora in alto mare e le opportunità in futuro saranno sempre più difficili da cogliere). Sui modelli di business, invece, lì mi blocco: non ho certezze. Pagare l'informazione online potrebbe essere possibile nel futuro, ma anche impossibile. Chi lo sa!

Inserito da Elisabetta Tosi

il 14 dicembre 2009 alle 09:11
#2
L'esplosione delle nuove tecnologie presso le masse ha indubbiamente creato quell'interessante fenomeno che è il citizen journalism. Parlare di fine del giornalismo cartaceo però mi sembra eccessivo: sicuramente andrà ad estinguersi un certo tipo di giornalismo così come lo conosciamo oggi, non il mestiere tout court. Proprio in questi giorni leggevo l'ultima copia di un giornale free press che mi arriva a casa ed è molto diffuso nella mia zona: diceva che a causa della crisi bla bla bla (le solite scuse, dico io!) la redazione sarebbe stata ulteriormente tagliata. Non manderanno più in giro giornalisti a conferenze stampa o eventi, ma in futuro si limiteranno a pubblicare quanto riceveranno da enti, associazioni, volontari...citizen journalism, lo chiamano. Della serie: vuoi la notizia? scrivitela! Intanto io riempio il giornale di pubblicità.
Utilità per il cittadino? zero. Credibilità, professionalità... meno di zero. E quello che fino a ieri era un giornale - o si spacciava come tale - si ridurrà alla stregua dei volantini dei supermercati. Non è tagliando sulla qualità dei contenuti che si guadagnano lettori, ma offrendo sempre nuovi servizi! anche a pagamento, certo. Io credo che quello delle notizie, dei servizi o degli approfondimenti online a pagamento potrebbe essere un buon modello di business, se gli italiani imparassero a usare la carta di credito o sistemi di pagamento come Paypal. Comodissimi, controllabili, con costi di gestione bassissimi. Provate a pensare a micropagamenti da 0,79 euro (come un'app per l'Iphone), anche più costosi nel caso di report e approfondimenti ponderosi. Pochi download non ti cambiano la vita, ma se cominciano ad essere centinaia... ecco che il discorso si fa interessante.
Si chiama "coda lunga". E se guardo ai soldi che sta facendo il signor Steve Jobs con questo giochino dello 0,79 euro, comincio a credere che sia un modello vincente...

Inserito da Fabio Ingrosso

il 14 dicembre 2009 alle 10:34
#3
Lizzy, penso anche io che non siamo di fronte alla fine del giornalismo cartaceo, anzi: secondo me, l'editoria cartacea potrebbe addirittura vivere un rilancio. Quello che prevedo io con la parola "fine" lo riferisco alle attuali riviste del vino italiane. Non faccio nomi, sappiamo quali sono. Sono queste, secondo me, ad essere destinate alla chiusura nel breve volgere di qualche anno. Ma l'informazione sul vino ci sarà sempre, con forme diverse, ma ci sarà. E forse sarà proprio la strada dei micro pagamenti.

Inserito da Luigi Bellucci

il 14 dicembre 2009 alle 13:17
#4
Sarà che sono nato prima di voi, ma io sono scettico che l'informazione "in vendita" abbia tutto il mercato che ha oggi l'informazione gratuita. Non è solo un problema di serietà dei siti, come dice giustamente Fil, ma proprio un fatto di "non cultura", almeno in italiana. Ricordo quando leggevo le statistiche sulla vendita dei giornali negli anni '60 con valori che per il nord Europa, gli USA e il Giappone erano quasi dieci volte i nostri (a parità di popolazione). Eppure il giornale costava 30 lire quando un pasto in trattoria costava 1000 lire e lo stipendio medio era sulle 50.000.
Il fatto è che leggere quello del vicino di scrivania o di tavolo o di casa alla sera, costava nulla.
Oggi non mi sembra cambiato in meglio, almeno "culturalmente".
D'altronde è anche giusto vedere il bicchiere mezzo pieno, se non altro per farsi coraggio ...

Inserito da Elisabetta Tosi

il 14 dicembre 2009 alle 19:28
#5
Luigi, i tempi cambiano. E anche le persone. Quando si usava mangiare in trattoria con 1000 lire non esistevano i telefonini. Oggi se qualche bello spirito di ristoratore ti presenta un conto fuori di testa, fino a pochi anni fa al massimo ci si sarebe limitati a brontolare e a sconsigliare il locale a parenti e amici. Oggi nel giro di pochi minuti lo sa tutto il mondo, e la cosa finisce ANCHE su giornali e tv...
:-)

Inserito da Angela Colesanti

il 14 dicembre 2009 alle 22:14
#6
Concordo nel pensare che il futuro è nelle nuove tecnologie, e credo che dobbiamo iniziare a pensare all'editoria come a una nuova formula.
Non voglio pensare che il cartaceo sparirà del tutto ma piuttosto che ad esso si affiancheranno, sempre di più, fruizioni alternative e trasversali dell'informazione ( penso al web).La logica è quella dell'integrazione su più livelli,in un'ottica di fruizione diversificata dei contenuti.
La sfida e quella di far convergere le prospettive piuttosto che metterle in competizione assegnando ad ognuna un carattere distintivo, che sia però riconducibile a un'entità comune più ampia, l'informazione, capace di assumere sfumature diverse.

Inserito da Filippo Ronco

il 16 dicembre 2009 alle 00:47
#7
Il punto è che per offrire qualità occorrono investimenti, sia anche solo il tempo. Ma uno non può vivere d'aria e gloria. Il punto credo sia questo. Da un lato abbiamo un'attenzione che si sta sempre più spostando sull'online grazie alla maggiore interazione che offre rispetto al cartaceo, dall'altro abbiamo un online che ad oggi non ha trovato un modello di business sostenibile. Mi viene in mente quando Franco Ziliani provò a rendere WineReport disponibile a pagamento. Fu un tentativo diciamo eroico ma troppo anticipato. Mi chiedo, se un giorno lo provassimo a fare qui su TigullioVino, ovviamente con un salto enorme di profondità dei contenuti, se e chi sarebbe disposto a finanziarlo, sia pure per una sola sezione.

Sono cambiati Lizzy i tempi anche in questo senso ?
Siamo pronti oggi per un salto di questo tipo oppure no ? Velo e melo chiedo.

Ciao, Fil.

Inserito da Elisabetta Tosi

il 16 dicembre 2009 alle 10:33
#8
@Filippo, io credo che se la gente comincia ad abituarsi ai micropagamenti - mi riferisco sempre alle app per Iphone, o alle canzoni su Itunes - non dovrebbe essere difficile convincerla ad applicarli anche ai contenuti.
C'è solo un piccolo problema culturale: sono gli esteri ad essere più abituati a questo comportamento in rete. Siti come quello di J.Robinson, o portali di vendita del vino online come Weinplus non hanno problemi a farsi pagare alcune parti.
Perciò qualsiasi progetto di un'informazione online dovrebbe partire dal presupposto della dopia lingua: italiano e inglese.
E qui li vorrei proprio vedere, tanti colleghi,che già sono nelle peste solo con l'uso della rete. Se poi devono farlo anche in un'altra lingua, sai che ridere...! Però sarebbe un ottimo pre-requisito, e le professionalità richieste per lavorare al progetto sarebbero davvero tali. E quindi è ovvio che andrebbero remunerate, e bene.

Inserito da Luigi Bellucci

il 16 dicembre 2009 alle 13:48
#9
Fil, Liz, io ci sto. Continuo a restare scettico sul fatto che i tempi siano maturi.
D'altra parte per sapere che il fuoco brucia, lo devi almeno sfiorare, altrimenti rimane un bell'oggetto vacuo e colorato. Credo che un portale di vendita di vino online possa essere un bel punto di partenza. Ma prima non mi sembra male leggersi sul sito di Jancis le sue considerazioni riguardo l'etica di chi scrive di vino:
http://www.jancisrobinson.com/index.php?action=notes/article&PHPSESSID=6h81c84fqcpllpad8dg2ke5qj5&id=32981
e poi le sue Purple Pages per i libri /degustazioni / ecc. a pagamento
https://www.jancisrobinson.com/static_pages/join/PHPSESSID/6h81c84fqcpllpad8dg2ke5qj5
In ogni caso, ribadisco che questa cosa mi piace

Inserito da Sergio Ronchi

il 17 dicembre 2009 alle 17:39
#10
personalmente credo sia un pò presto per pensare che tutto quanto cambi in fretta. Per i 20enni che nascono con le nuove tecnologie è più facile ma per i 50enni la cosa si fa dificile dato che anche dal punto di vista lavorativo le aziende non investono nella tecnologia.
Per quanto concerne i siti di vendita online di vino il problema sta sempre nei trasporti. Il costo spesso diventa superiore che andare in enoteca e poi c'è il problema della consegna. Io ad esempio non so mai quando sarò a casa e inoltre non c'è portineria, cosa faccio??

Poi, la fruizione delle news è una cosa, articoli più strutturati o impegnativi è un'altra. Guradate poi i telegiornali (non importa quali) danno tutti le stesse notizie nella stessa data, anche fatti di cronaca, dato che le prendono da un'unica fonte.
Così pure i programmi TV (giochi, dibattiti, GF e compagnia cantante) vengono creati e acquistati dai grossi gruppi di produzione e poi rivenduti. Girando per il mondo ho trovato ovunque le stesse trasmissioni!!
Concordo che le riviste sul vino sono poco appeeling e di pochi contenuti per gli appassionati-esperti e sono più per un pubblico mordi e fuggi.

Qualche cosa di nuovo però ci vuole.

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Laureato alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova nel 2003, ho fatto pratica legale in uno studio per circa 2 anni ma non ho mai provato a dare...

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