Al San CristoforoTweet

di Filippo Ronco

Articolo georeferenziato

Difetto di un tot di titoli per la vino-scrittura, figuriamoci per addentrarmi in dotte disquisizioni gastronomiche: non parlerò di cibo quindi ma di comunicazione. Si perché due parole su Nicola Cavallaro, chef e patron de Il San Cristoforo, ristorante di Milano di cui ho appena appreso la chiusura, mi andrebbe di spenderle. Non so se la notizia sia fondata - immagino di sì considerata l'autorevolezza della fonte sulla quale scrive l'autore - è che il cinico sarcasmo che Visintin cerca di spacciare per umile ironia merita un piccolo moto di ribellione.

Ribellione innocua, s'intende, che quando viene dal basso è quasi sempre simpatica, perchè si nutre di quella ingenua incoscienza cui si possono perdonare i modi, poco aggraziati o addirittura sconvenienti, così come appaiono di solito le cose giuste e genuine quando sono urlate dal basso.

Visto con gli occhi del forestiero che giunge dal paesello, pareti verdi o no, Nicola ha avuto il pregio di avvicinare alla cucina più impegnata quegli avventori normalmente destinati a lidi mass mediali. Una specie di breccia spazio temporale tra il quotidiano desinare e la cucina dei massimi sistemi in modalità "open".

A parte il sorriso particolare e l'energica stretta di mano - segni distintivi indelebili di una persona vera - il grande merito di Nicola è quello di aver sdoganato la buona cucina al profano in un "environment" che magari non avrà avuto tutte le necessarie stellette per poter entrare a far parte del circoletto dei fighi - magari secondo Visintin eh - ma che ha saputo accogliere e mettersi in gioco come pochissimi altri hanno saputo fare allo stesso livello dando una lezione di comunicazione, apertura e stile degne di nota.

Bè, Nicola, dal paesello ti giunga un sincero grazie.

[Foto di Tomaso Armento]