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Viaggi enogastronomici

Rosati di Puglia: Carovigno e Ceglie per grandi gourmet (Ottava Parte)

di Luigi Bellucci

MappaArticolo georeferenziato

Già sotto l’arco a Carovigno

Carovigno è sulla SP1bis, a metà strada tra Ostuni e San Vito dei Normanni. Stasera Andrea è accompagnato dalla moglie Cristina, e si godranno la fiera degli sbandieratori che inizia in paese proprio al nostro arrivo sulla piazza principale, davanti al Palazzo Del Prete, un edificio del 1700 dove ha sede il ristorante Già sotto l’Arco. Si chiama così perché fino a diciannove anni fa, come stasera, era in un locale a un centinaio di metri da qui, proprio dove c’è l’Arco che immette nel centro storico.
Il ristorante è al primo piano del palazzo. Teodosio e Teresa hanno creato un ambiente di grande finezza ed eleganza, eleganza che si apprezza nei particolari architettonici, nella bellezza discreta dei mobili e degli arredi, nella essenzialità della tavola apparecchiata, ovviamente con tovaglie bianche e bicchieri e posate appropriati ai vini e ai cibi.
Stasera il Corso sotto alle finestre è particolarmente rumoroso, per via degli sbandieratori. Oltre a quelli di Carovigno i sono quelli della Toscana e quelli della Calabria, con i tamburi, le clarine e il palco dei giudici che assegnerà i premi ai migliori. Per fortuna le finestre sono ben isolate e si riesce a parlare senza alzare la voce.

Vedi anche Rosati di Puglia: una kermesse strepitosa (Prima Parte)
Vedi anche Rosati di Puglia: i venti rosati, Anna Ancona e Copertino (Seconda Parte)
Vedi anche Rosati di Puglia: Lecce, Cielo e Galatina (Terza Parte)
Vedi anche Rosati di Puglia: Astore, Palamà e Cavalieri (Quarta Parte)
Vedi anche Rosati di Puglia: Graziano e Francesco, poi Cellino San Marco (Quinta Parte)
Vedi anche Rosati di Puglia: Histò, Mater Domini poi a Sandonaci (Sesta Parte)
Vedi anche Rosati di Puglia: ancora Graziano, i rosati dei nordisti e Le Felline (Settima Parte)
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Cominciamo con un salmone marinato con salsa alla senape su insalatina e salsa verde. Il piatto è gustoso ma mi sembra che la senape sia un po’ forte e copra troppo il sapore del salmone.
Il primo vino è uno Spumante Brut Rosé metodo classico di 12,5 gradi dal lotto L045 di D’Arapri da San Severo, da uve Montepulciano e Pinot Nero, dal colore salmone rosa che ben si abbina al piatto.
Assaggio l’olio proposto da Teodosio, un ottimo extravergine biologico dell’azienda agricola Umberto Cavallo, con scadenza giugno 2012, da Ogliarola al 70% e altre varietà.
Segue il Tortino di Melanzane, mozzarella e pomodoro su salsa di pomodoro verde e basilico
Il vino che segue è il Saturnino, Salento IGT Rosato 2010 delle Tenute Rubino, di 12,5 gradi dal lotto L11047.
Sta molto bene con i successivi ravioli ripieni di burrata con salvia e mandorla, perfetti per fattura, spessore della pasta e delicatezza in bocca. Un piatto eccellente.
Buono anche il successivo risotto con barbabietole rosse e gorgonzola.
Ecco ora il Primitivo di Manduria DOC 2006 Vigna dell’Ora di 16,5 gradi dal lotto L08036, da vigne di 60 anni ad alberello dell’azienda Sette terre.
Vino che accompagna egregiamente il Carrè d’agnello farcito di cicoria con verdure al burro e patate al forno.
Il dessert è un semifreddo ai fichi mandorlati e frutta fresca di stagione.
Col semifreddo il Dulcis in fundo, Moscato di Trani DOC dolce 2008 di 13 gradi dal lotto L11/047/Maurizio, dell’azienda Torre Vento, da uve Moscato reale in purezza.
Non potevo non dare un’occhiata alla carta dei vini, ricca di proposte pugliesi e italiane di buona qualità, con un ricarico non eccessivo.

Domenica 31 luglio 2011

Ceglie Messapica

La sveglia oggi è posticipata ad libitum perché si parte alle 11 col bus Carlo Ciccimarra guidato da Andrea e con Angela per guida. La nostra meta dista meno di una decina di chilometri quindi si arriva in fretta. Ceglie, l’antica Kailìa greca, ha una storia quasi trimillenaria. Ha un’altitudine attorno ai 300 metri e sorge su due colli, uno dei quali è occupato dalla zona ottocentesca e dal centro storico.
Oggi Ceglie è Borgo in fiore e tutti, cittadini e visitatori, possono votare il portone o la casa più “fiorita” e meglio decorata, indicando il numero assegnato ad ogni addobbo.
Giriamo in compagnia di Angela per i vicoli del centro storico, detti “claustri”. È stato nel 1800 che il precedente Ceglie Messapico è diventata Messapica, al femminile.
Nel secondo dopoguerra c’è stata una profonda emigrazione verso il nord Italia.
È ancora viva l’usanza di ritrovarsi attorno a un tavolo sulla strada con un braciere acceso e mangiare assieme tra vicini di casa e conoscenti.
Arriviamo al centro el paese, dove svetta maestosa la torre normanna del 1100, di forma quadrata, massiccia, che fa parte oggi del Palazzo Ducale ed è della stessa altezza della cupola della Cattedrale dell’Assunta, che le sta a fianco, circa 34 metri.
Passeggiando per Ceglie fra le case fiorite (e numerate) per la votazione della più bella, mi fermo in una piazzetta in via Turco Camarda per leggere la lista di Antimo, un grazioso ristorantino con tavoli all’aperto e piatti tipici (mi stuzzicano gli involtini di trippa) con un bel rapporto qualità prezzo, mi hanno detto. Per il prezzo è vero, per la qualità questa volta non ho tempo di verificare. Sarà per la prossima. Intanto proseguiamo nel vicolo dove una nonnina sta sbucciando delle fave semidure per il pranzo della sera e ci saluta in dialetto osservandoci con i suoi occhietti pungenti e indagatori.
Nella vetrina di un pasticcere si presentano in bella vista i biscotti cegliesi, con mandorle e fichi, buonissimi e famosi.
Sopra l’arco di un palazzo settecentesco (MDCCLXXXVIII – 1786) mi capita di leggere un bel verso di Tacito "Quidquid sub terra est in apricum proferet aetas"; tutto ciò che giace sotto terra, il tempo lo riporta alla luce. Mi sovviene che si tratta anche del motto del tipografo Giuseppe Comino, che visse nel 1700 e i cui libri sono delle vere rarità. Il verso accompagna l’immagine di un contadino che scava in profondità tra rovine antiche.
Arriviamo intanto sulla piazzetta sotto Porta Picciola dove c’è una bella vista su Cisternino, Ostuni e Carovigno, da sinistra a destra, con distese di ulivi sui colli vicini e su quelli lontani, inframezzati a qualche boschetto e a più rade vigne.
Ritorniamo in città ad ammirare l’elegante facciata a bugnato di palazzo Vitale, del 1801, che appare un po’ in abbandono, con troppe erbacce che spuntano alla base qua e là e vanno a staccare il colore bianco giallo della strada da quello ambrato della facciata.
Finiamo in Piazza Plebiscito, un’ampia apertura tra le case, a piani degradanti, attorniata dai tavolini all’ombra sulla strada dei bar che si aprono su di essa.
Di qui al ristorante ancora un centinaio di metri, tra i vicoli del centro storico, ed eccoci da Lillino.

Cibus

Non si poteva scegliere nome più appropriato per un bel ristorante nel centro storico di un antico paese del territorio italiano. Cibus, quello che prendiamo tutti i giorni che siamo in terra, quello genuino, vero, che viene dalla terra. Quando entri non ti rendi conto dello spazio interno. Te ne fai un’idea solo dopo che Lillino ti ha svelato tutti i segreti dei suoi locali, il forno a legna, la cucina, la cantina, la grotta dove stanno i formaggi a maturare e la vecchia nevaia dove si scende dalla botola e dove senti subito il profumo di prosciutti e capocolli che si stanno affinando col giusto invecchiamento naturale.
Quello he ti sembrava un localino nei vicoli nascosti di Ceglie, diventa all’improvviso e come per magia un grande ventre materno, dove ti sei già ambientato e che non vorresti più lasciare.
E poi ti siedi al tavolo che ti hanno riservato, o che hai chiesto, e allora entra in scena Filomena con i suoi aiutanti a coccolarti con piatti antichi che fuori di qui pochi sanno ancora fare, accompagnati dai vini di Lillino, quelli in carta e quelli “suoi”, dei vecchi amici contadini, che sono una meravigliosa sorpresa.
Noi siamo arrivati all’una, siamo una dozzina circa, spinti dentro velocemente da tuoni rombanti, fulmini meridiani e goccioloni fitti di pioggia. Ci siamo seduti a un tavolone rettangolare a sinistra dell’ingresso, proprio sopra la botola della nevaia, con i prosciutti e salami e capocolli in bella vista se solo potessimo aprire la botola sulla quale siamo seduti.
Anche Graziano oggi è a tavola con noi. Appena siamo tutti seduti cominciano ad arrivare in tavola piatti da portata con un capocollo profumatissimo e dolce, scodelle con le lumachine di campo, indimenticabili i fiori di zucca con la ricotta, come pure la stracciatella di podolica, la saporita mozzarella con pomodoro e basilico. Perfettamente croccanti e saporite le friselle con pomodoro e friggitelli (un tipo di peperone, piccolo), introvabili le olive Mennella cotte in padella e servite ancora calde per la gioia del palato, accompagnate da un morso di pane casareccio. Infine le melanzane con pomodoro, capperi e aglio, strepitose.
Il vino in abbinamento è un Taranta Salento Rosato IGP 2010 di 13 gradi dal lotto L119/11, di Vetrere, da uve Negroamaro e Malvasia nera.
Intanto continuano i rombi di tuono all’esterno, ma non più nessuna goccia e mi viene da pensare che è un temporale che assomiglia a un bel cane maremmano, che abbaia, abbaia, ma poi non ti fa nulla. Un “temporale maremmano” che per fortuna non morde.
Si prosegue con le orecchiette di farina integrale con pomodoro, basilico e ricotta grattugiata, che dà al piatto quella marcia in più che te lo fa sembrare irresistibile e te ne mangeresti il doppio.
Ancora meglio le successive Fettucce con olive mennella, verdure e coniglio.
Che dire poi delle Lasagne con la ricotta “squanta”, o ricotta forte per via della leggera muffa verdastra azzurra che ne ricopre la superficie esterna! Semplicemente strepitose.
Prima di proseguire con le carni ecco in tavola le patate cotte intere sotto la cenere e condite con l’eccellente olio di Picholine che Lillino produce per sé e i suoi clienti. Un olio dal fruttato medio on sentori di cardo e di foglia, che in bocca è armonico, con un impatto dolce, un livello di amaro non intenso ma ben presente e lievemente più deciso del piccante che senti in retrogusto con quel pizzicore naturale di peperoncino che accompagna il sapore di carciofo che ti resta in bocca molto persistente.
Intanto arriva in tavola il vino giusto per le carni che seguiranno, il Polvanera, Gioia del Colle DOC Primitivo 2007, i 14 gradi dal lotto L10010, un Primitivo in purezza da impianto ad alberello e a spalliera con affinamento di nove mesi in acciaio e almeno tre mesi in bottiglia.
Lo accompagniamo al Marretto (Interiora) di agnello con patate al forno, piatto quasi introvabile a questi livelli. I marretti, o turcinieddi, sono involtini di coratella tipici della tradizione pugliese ma anche lucana e si preparano preferibilmente nel periodo pasquale.
A seguire il vitellone podolico alla brace, cotto alla perfezione e ancora fumante, che sarebbe anche il piatto forte che andrebbe onorato, ma purtroppo il nostro stomaco è già strapieno delle portate precedenti e più di tanto non si può gonfiare.
Con l’arrivo dei formaggi dobbiamo trovare un po’ di spazio anche per il cacio ricotta, il pecorino fresco, il caciocavallo, il muffato e l’erborinato, eccezionali. Ci aiuta Lillino con l’apertura di un vino strepitoso, il Primitivo di Manduria 1995 in magnum fatto “da un amico di mio padre”, ci dice.
È un qualcosa di strepitoso, meglio del miglior Porto Vintage. Intenso, vivo, brillante, pieno, armonico e persistente, lungo in bocca e dai sentori complessi di frutta matura, di cuoio, di cioccolato, di tabacco.
Infine ecco i dolci, il gelato di fichi maritati, la granita al Primitivo con percoche, la torta di mandorla e cuore di amarena.
Dopo il caffè il San Marzano di Lillino, di nuovo una chicca introvabile.
Il viaggio di ritorno al Relais, breve, è un primo passo per digerire fisicamente, ma soprattutto spiritualmente, la miriade di sapori e di sensazioni e di emozioni che Lillino e Filomena ci hanno voluto regalare.

Foto Credit: Gabriella Repetto

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Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...

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