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Viaggi enogastronomici

Mulinaccio, Vaiano e il Monferrato toscano: Viaggio in luoghi di resistenza umana e antiche dimore rinascimentali

di Luigi Bellucci

MappaArticolo georeferenziato

A Prato, da Dicembre 2006 a Gennaio 2007 "Il gusto della storia". Si parla di gusto e quindi di cucina, ma anche di storia e di grandi ville toscane, e si respirano le realtà attuali di chi sta ancora sulla campagna, sulla terra nera e dura, che sola ti può dare quelle soddisfazioni interne che ti fanno arrivare a cent'anni se entri in sintonia con lei e la tratti da pari a pari, non la sfrutti, ma la accarezzi docilmente dopo averla lavorata con passione e tanto amore. Amore e fatica sono le corde giuste che devi toccare per ottenere quelle sinfonie di sapori e delizie che qui ancora puoi trovare.


Sabato 13 Gennaio 2007

Le previsioni oggi danno tempo bello. Il cielo di Genova è coperto ma tiepido, in questo strano inverno di inizio 2007 che non si decide ad arrivare. Siamo in quel limbo tra autunno e primavera che non è né carne né pesce. Partiamo verso le 10.30 in direzione sud est, La Spezia, Lucca, poi verso Firenze fino a Prato Ovest e Montemurlo, all'agriturismo San Giorgio, sopra Bagnolo, nella Via Baronese, quella che comincia dal bel castello del Barone, ben ristrutturato.

Ci aspetta Barbara. Ci siamo sentiti solo per telefono e l'impressione che avevo era di una persona sveglia, intelligente, pratica e molto educata. Arriviamo poco dopo il tocco, come dicono qui e lei ci viene incontro circondata dai suoi tre cani, abbandonati l'estate scorsa da non si sa chi, che lei ha educato per benino a non essere troppo invadenti. È una tipica ragazza toscana, di quelle forgiate dalla vita in campagna ma con un buon livello di istruzione e che ha fatto una scelta di vita intelligente. I sacrifici le toccano perché deve occuparsi degli ospiti e lasciare per qualche oretta il piccolo Francesco, di soli quattro mesi, al marito nella casa vicina, ma ha sempre il sorriso sulle labbra e diffonde una gran bella gioia di vivere. Aiuta il nonno Adelindo Spinelli, il vero campione della resistenza umana, che a 87 anni, insieme alla moglie Amelia Tommasi, di tre anni più giovane, una vera ragazzina, ancora alleva le sue pecore e capre per fare dei pecorini eccellenti e una ricotta sublime, alleva una mezza dozzina di maiali per avere dei prosciutti come quelli di una volta, tagliati ancora con il coltello in orizzontale, a mo' di violino, dirige la coltivazione dell'uliveto con quasi 2000 piante che danno un olio extravergine di un bel fruttato, con un buon equilibrio tra dolce, amaro e piccante, dal bel sapore di carciofo, e poi trova il tempo di occuparsi anche delle api che gli danno il miele, di acacia, di castagno (ottimo) e millefiori.

La nonna ha insegnato a Barbara a far da mangiare, a fare delle buonissime marmellate e poi lei si è appassionata alla cucina e l'amore per le nuove ricette la porta a misurarsi con piatti antichi come la pappa con il pomodoro o la ribollita saltata in padella, o i biscotti di farina di castagne e miele fresco, per non parlare dei cantucci freschi e friabili o dei biscotti di Prato o di quelli con l'uva passa, da provare con il vin santo di nonno Adelindo, un'altra gran bella produzione.
Dopo un paio d'ore di assaggi di tutte queste delizie abbiamo dovuto lasciare la casa di Barbara e dei nonni per spostarci alla Villa il Mulinaccio di Vaiano, su un colle da cui si ammira tutta la valle del Bisenzio sottostante.

Dopo Palazzo Datini e l'Archivio di Stato di Prato con la torta di nozze di Ginevra Datini, dopo la Tenuta di Capezzana a Seano di Carmignano con il Vin Santo e la cucina delle feste, oggi è la terza giornata di questo viaggio gastronomico in quattro puntate, alla Villa Il Mulinaccio di Vaiano, con le ricette di Agnolo Firenzuola della Val Bisenzio, lo stufato di Calvanina, i ceci rossi e le tagliatelle di farina dolce (quella delle castagne dei boschi della valle). Il viaggio si conclude il 20 Gennaio alla Villa Medicea La Ferdinanda di Artimino con lo spiedo progettato da Leonardo nell'antico camino della cucina della villa per la cucina dei Medici.
La Provincia di Prato, l'Agenzia per il Turismo di Prato, la Comunità Montana Val di Bisenzio, l'Archivio di Stato di Prato, i comuni di Cantagallo, Montemurlo, Vaiano e Vernio hanno collaborato per questo viaggio attraverso le cucine storiche, organizzato da Marte Comunicazione.

L'arrivo alla villa è un mezzo viaggio. Dalla casa di nonno Adelindo in linea d'aria saremo a cinque - sei chilometri, però non esiste una strada che attraversi il lembo meridionale di questo Monte Ferrato o Monferrato toscano che sta tra le due località, perciò occorre una circumnavigazione del bosco, di una quindicina di chilometri, come per percorrere idealmente una grande U con il bosco all'interno. Pochi sanno che proprio dal Monte Ferrato si ricavava nel medioevo la serpentina, chiamata anche "verde di Prato", una roccia molto compatta con una gamma cromatica che va dal nero al blu con riflessi metallici, con gradazioni di colore verde sempre più chiaro, fino all'oliva acerba. È il materiale usato nel periodo romanico - gotico e nel primo Rinascimento per i monumenti, dal pavimento dell'abbazia pratese di S. Fabiano al Duomo di Prato, dal Duomo al Battistero di Firenze,. Il monte è ancora oggi coperto di faggi, conifere e, nella parte bassa, olivi. È protetto dalla Regione Toscana come zona di interesse floristico e vegetazionale da conservare. Tra gli animali che potete incontrare il cervo, il daino, il capriolo, la lepre, la volpe, il tasso, il cinghiale ma anche il lupo, raramente. La sua origine palustre ha consentito la sopravvivenza ancora oggi di uccelli come il picchio verde, il martin pescatore l'albanella reale, tipici delle aree lacustri.

Arriviamo nel pieno della festa di un matrimonio. Stefano e Sandra sono gli sposi e la festa ha portato alla villa decine di auto che stanno nei campi attorno alla villa, ma all'esterno. L'entrata è da mozzafiato, alberi enormi, pini mediterranei incredibili, querce, platani, il palazzo ben restaurato con la sua facciata rinascimentale dalle linee pulitissime ed essenziali, un arco a tutto sesto sopra all'unica porta che sta al centro della facciata che guarda la valle, le finestre quadrate dalle proporzioni classiche, pochi decori in pietra toscana all'esterno e poi il grande terrazzo che guarda la valle, le fontane che stanno sul lato ovest della villa, le vecchie stalle, le cantine, le discese in pietra tra i giardini sopraelevati e quelli sottostanti.
All'interno un cortile centrale che raccorda i vari ambienti della villa, costruita alla fine del '400 da Francesco Sassetti sui ruderi di un vecchio mulino già allora diroccato (di qui il nome Mulinaccio).

Alla fine del '500 è passata ai nipoti, tra cui Filippo, che viaggia nelle Indie al servizio del re del Portogallo, si stabilisce in India, qui si sposa e impara quella lingua, rilevandone per primo le diverse assonanze con le lingue europee, lasciando un centinaio di lettere ai parenti in Italia spedite da Goa, dove muore nel 1588. Nel secolo successivo la proprietà passa agli Strozzi e poi ai Vai, pellicciai pratesi (il vaio è uno scoiattolo di origine siberiana, che allora si allevava proprio per le sue pellicce, simile all'ermellino e vaiai erano appunto detti i pellicciai), che ne fanno la loro residenza e danno nuovo sviluppo alla proprietà che si allarga fino a comprendere 36 poderi, praticamente tutta la vallata. Vengono costruite le ali laterali di stile barocco e la cappella, dedicata proprio al patrono degli animali Sant'Antonio Abate, raffigurato insieme alla Madre di Gesù nel bel quadro di Antonio Marini, ottocentesco ma in perfetto stile rinascimentale.
Nella seconda metà del 1900, dopo la morte dell'ultimo Vai nel 1941, la villa passa alla moglie, una Guicciardini, che la lascia in eredità al Cottolengo di Torino, che dopo alcuni anni rinuncia al lascito e tutta la proprietà subisce i danni dell'abbandono per qualche decennio. Oggi la ristrutturazione operata dal Comune di Vaiano e da alcuni privati che si dividono la proprietà del complesso, lo hanno riportato agli antichi splendori.

Ma torniamo alla festa. Al centro del cortile interno sta una tavolata che mette in mostra i prodotti che verranno poi preparati nel cucinone della villa a mo' di dimostrazione. Attorno al tavolo gli artefici di ogni gruppo di prodotti: la cuoca Agnese con la sua maglietta rossa e grembiulino bianco a raccontare il suo stufato di Calvanina (una chianina cresciuta nei prati della Calvana, con pascoli poco generosi ma con una carne magra e molto saporiti, ideale per stufati e spezzatini a lunga cottura) che ha lasciato per ben cinque ore sul fuoco lento. Vicino ad Agnese Simone che ha preparato un arcobaleno di marmellate: di pere, vinsanto e uvetta, di fichi e susine, di more, di pomodori verdi. Con esse riempie stampini di vol au vent già pronti sulla tovaglia bianca tra le altre specialità. Più in là Fabrizio e il figlio Federico che fanno biscotti morbidi e secchi di decine di gusti e sapori diversi, uno più buono dell'altro, che esportano in tutto il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti. Al centro della tavola le tagliatelle fatte con la farina dolce delle castagne della Val Bisenzio e il Vin Brusco della Tenuta di Capezzana, di un bel colore rosso rubino chiaro, brillante come le ciliegie che crescono e maturano qui nel mese di maggio quando sono illuminate dal sole di fine primavera. Infine Emiliano presenta lo stufato che Agnese ha preparato e parla di queste manze di razza chianina di piccola stazza che crescono nella Calvana.

Mentre tutto il pubblico ascolta le presentazioni la festa è allietata dalla musica e dai canti in costume medievale di due artisti che sembrano usciti da una novella del Boccaccio, Silvana Fedi e Gabriele Ara, che si alternano nel suono del liuto medievale, della cornamusa italiana o baguette bergamasca (da bag - sacchetto), del tamburo, del flauto, danzano e cantano pezzi trobadorici dell'anno mille in lingua provenzale. Silvana e Gabriele hanno messo su un circolo culturale e lo hanno chiamato Octava Rima o Compagnia di Teatro e musica, e vanno in giro a proporre le loro interpretazioni che suscitano emozioni e interesse in chi ha la fortuna di ascoltarli, proprio come il bravissimo Pino Petruzzelli in terra di Liguria.

Per la dimostrazione di come si preparano i piatti si passa in cucina. Due panche di legno accolgono gli ospiti seduti ad assistere alla performance del cuoco Gianni, che si cimenta con le tagliatelle di castagne mentre alla sua destra nel grande camino della villa un fuoco vivace tiene al bollore l'acqua che gorgoglia nel grosso caldaio di ferro appeso al gancio fissato alla catena che pende dal centro del camino e riscalda tutto l'ambiente. Un gruppo di ragazze e ragazzi in costume sembrano usciti da quadri del Brunelleschi. Uno di loro con i suoi bei riccioli neri che gli cadono sulla fronte sembra uscito dall'autoritratto del giovane Caravaggio. Alle spalle di Gianni chiacchierano sottovoce tra loro commentandone i gesti e fanno da cornice al suo lavoro mentre lui mescola le due farine (due parti di castagna e una di grano duro) passandole al setaccio, poi le amalgama con un uovo fresco e dell'acqua tiepida e un pizzico di sale, impasta il tutto e lo lavora fino a farla diventare una bella palla morbida che lascia riposare per una mezz'ora al fresco prima di tirarla definitivamente con il matterello e tagliare la sfoglia con il coltello per farne le fettuccine marroni che andranno poi cotte per due - tre minuti nell'acqua bollente e saranno condite con lo stufato che sta a scaldare nel grande tegame a fuoco lentissimo. Insieme alle tagliatelle sono serviti i deliziosi ceci rossi con a fianco una fetta di pane di Prato con mollica morbida e crosta croccante, di quello fatto in casa nelle pezzature grosse, da chilo, e si bagna il tutto con il vin brusco dai sentori vinosi e leggermente speziati, che ne esaltano il sapore antico.

Alla fine un grazie a Marzia per questa bella festa, un saluto al Presidente della Provincia di Prato, Massimo Lolli e un'ultima chiacchierata con il sindaco di Vaiano, la Dottoressa Annalisa Marchi, grande appassionata di libri storici, di cucina e altro, che si sta dando veramente da fare con passione per ricostruire e riportare alla luce una trentina di ricette antiche recuperate qua e là tra i racconti di Agnolo Firenzuola, l'abate che qui visse nel 1500. Il recupero è possibile grazie alla pazienza dei bibliofili che hanno trascritto e ridotto in modo semplice le vecchie ricette, ma soprattutto grazie alla maestria e alla dedizione delle donne di Vaiano e dintorni che si sono offerte per realizzare una per una queste ricette. L'obiettivo è radunare questi sforzi in una pubblicazione che dovrebbe vedere la luce nel prossimo mese di Luglio, ancora qui a Vaiano. Cercheremo di esserci.

Si ritorna all'agriturismo San Giorgio dopo una breve passeggiata per il centro storico di Prato, per la sua bella piazza con il Duomo che ha sul lato destro della facciata, per chi guarda, un raro baldacchino esterno con copertura. È il pergamo del Sacro Cingolo, di Michelozzo e Donatello (i putti e i decori esterni), della prima metà del quattrocento. Di qui certamente gli abati offrivano i loro sermoni alla popolazione su tutta la piazza e di qui ancora oggi, in alcune solennità religiose, viene mostrata ai fedeli la reliquia del Sacro Cingolo, la Sacra Cintola donata, secondo la leggenda, a San Tommaso apostolo dalla Vergine Assunta e trasportata da Gerusalemme fin qui nel dodicesimo secolo, dal mercante pratese Michele Dagomari e donata poi alla Pieve di Santo Stefano dove ancora si conserva nell'omonima cappella interna. Bellissimo anche il palazzo Pretorio sulla piazza del comune che sta a metà di Via Mazzini e, di passaggio, indugiamo ad osservare le locandine per il recupero della grande Piazza Mercatale, oggi dedicata a mega parcheggio ma che dovrà tornare a quello spazio aperto a tutti i pratesi per i loro incontri domenicali e non, com'era in passato.

Al San Giorgio nonno Adelindo e nonna Amelia ci danno il benvenuto dalla loro calda cucina con il camino acceso e io mi sento tornato indietro di quarant'anni, nella cucina della casa del Doccio con nonna Caterina e gli zii Guri, Marino e Teresa, che vivevano ancora con lei, mentre gli altri suoi otto figli erano andati in giro per il mondo perché lì erano in troppi e la poca terra non permetteva a tutti di sfamarsi adeguatamente.


Domenica 14 Gennaio 2006

Le ante interne della finestra che dà sulla valle del Bagnolo e sui tetti delle case del paese chiudono bene e la luce del mattino non arriva a colpire gli occhi perciò mettiamo la sveglia alle otto per poter arrivare a Genova per il pranzo. Appena alzati un velo di foschia separa i nostri occhi dalla vista della valle sottostante, ma pian piano si alza e cominciano ad apparire i tenui colori pastello dei prati verdi, i tetti rossi e il cielo tra il celeste e il grigio rosastro. I cani nell'aia di sotto giocano tra loro ma senza disturbare.

Dal finestrino del bagno si vede il bosco che si distende fino alla cima del monte con i suoi alberi alti e frondosi. Scendiamo per la colazione al tavolo vicino a una coppia di francesi, di Avignone, che si fanno una vacanza in questa rilassante fattoria toscana. Barbara ci ha preparato una ciambella ancora calda (di quelle col buco al centro e l'impasto giallo di pasta frolla dolce e zuccherata), biscotti di due tipi, fette di pane toscano fresco, due fette di prosciutto del loro, caffé, latte, miele, marmellata fatta da nonna Amelia, spremuta d'arancia.

Prima di lasciarci mi faccio raccontare qualcosa dai nonni. Loro sono nati a Stia, nel Casentino. Facevano i pastori e ogni anno portavano in transumanza i loro greggi in Maremma. Adelindo e Amelia erano della stessa parrocchia. Si sono sposati all'inizio della seconda guerra mondiale e dopo la guerra sono "emigrati" dal Casentino fino a Montemurlo, dove si trovava lavoro come operaio tessile. Poi il nonno ha deciso di darsi al commercio, un bar e infine il gelataio fino alla pensione. Allora è tornata la passione giovanile della campagna e delle pecore. Insieme ai figli hanno deciso di comprare questo podere ai bordi meridionali del Monferrato toscano e ricominciare ad allevare le pecore, a cui si sono aggiunti alcuni maiali e qualche animale da cortile per le uova fresche. Mentre termina il racconto arrivano alcuni operai per visionare lo stato degli ulivi che hanno bisogno di qualche messa a punto delle chiome e del controllo delle gemme per la fioritura molto in anticipo. Speriamo 'un arrivi una brutta gelata, sennò l'annata l'è andata.
Raccogliamo da Barbara gli acquisti e ci salutiamo con il proposito di incontrarci in una prossima visita che ci auguriamo più lunga e meno movimentata di questa.

Ci è sembrato carino proporre qui la sintesi della locandina della giornata "Sapori e odori ispirati ai piatti contemplati nelle opere del magnifico abate Agnolo Firenzuola", preparata da Marzia in collaborazione con il Comune di Vaiano, che descrive la Pasta di farina dolce, la carne di razza Caldana e infine un cenno ai ceci rossi, con una breve ricetta dello Stufato di Caldana per quattro persone.


La Pasta di farina dolce

Viene sempre preparata mescolando assieme farina di castagne e farina frumento tipo 0. A seconda della zona variano un po' le proporzioni, ma si può dire che non si vada molto lontano dal giusto, usando il rapporto di 6 etti di farina di castagne e 4 etti di farina di frumento. Anche il numero di uova da aggiungere all'impasto varia da 0 a 8 a seconda dell'estro del cuoco. Tre o quattro uova per ogni chilo di farina pare essere una dose ragionevole. La preparazione è semplice, poiché è sufficiente impastare le due farine mescolate fra di loro con acqua tiepida salata e le uova. Si lascia riposare per una mezzora poi si tira lo pasta non troppo sottile con il matterello e si taglia nella forma di tagliatella, lasagna, maccherone o pappardella, a piacere . Si cuoce piuttosto al dente in abbondante acqua salata (da 5 a 15 minuti a seconda della ricetta usata).


La carne di razza Calvana

La Calvana è una razza derivata dalla chianina, che si è adattata alla specificità della catena carsica della Calvana. Buona pascolatrice, rustica, allevata allo stato brado, la mucca di razza Calvana è in grado di sfruttare bene gli ambienti più marginali e i pascoli più magri dell'Appennino ma, contrariamente all'asprezza: degli ambienti in cui ama vivere, ha una carne decisamente saporita, magra e di eccellente qualità, che si adatta bene alle cotture prolungate (spezzatinr stracotti o brasati).


I ceci rossi

I ceci rossi sono una coltivazione reliquia, presente oramai solo in alcune parti del Casentino. Un tempo diffusi in diverse zone della Toscana, erano particolarmente apprezzati tanto che Agnolo Firenzuola, molto attento alla rappresentazione degli aspetti della vita quotidiana del suo tempo, li ricorda, e li elogia, in diverse poesie e sonetti.


La ricetta per lo Stufato di Calvana

Ingredienti per 4 persone
700 gr. polpa di carne di razza Calvana (muscolone, tenerone, reale, etc ... )
1 cipolla
1 gambo di sedano
1/2 carota
1 bicchiere di vino bianco secco
olio
sale

Preparazione
Tagliare la carne a tocchi grossi non meno di una noce (una volta cotti si restringono molto), togliendo lo maggior parte del grasso. Scaldare una casseruola con un filo d'olio e farvi rosolare il trito di cipolla, il gambo di sedano e la mezza carota, aggiungendo alla fine la carne e sale quanto basta. Quando lo carne è quasi colorita su tutti i lati (5-8 minuti), si stempera il tutto con del vino bianco e si lascia su fiamma viva per qualche minuto, poi si continua lo cottura fino al termine aggiungendo dell'acqua o del pomodoro, a piacere.

Infine, per i più golosi altre idee di piatti della zona raccolte dai ragazzi della scuola media statale "Salvemini - La Pira" di Montemurlo in un "librino" a quadrettoni verdi e gialli come il buon olio toscano. Il "Ricettario dei piatti tipici di Montemurlo", così si chiama il "librino", raccoglie ricette legate alla cucina dei nonni, che hanno raccontato nelle interviste quello che mangiavano da piccoli:


Erbi con i ciccioli (la parte erbacea delle rape che servivano per l'alimentazione delle mucche e dei vitelli).
Cavolo nero rifatto con le salsicce.
Fagioli in umido con le salsicce.
Frittata di rigatina (la rigatina è la pancetta, o ventre del maiale, così chiamata per via delle strisce della carne magra che risaltano sul bianco latte del lardo che le circonda)
Polpette
Frittelle di riso
Frittelle nicce (fatte con la farina di castagne e mangiate con la ricotta fresca)
Berlingozzo (una ciambella croccante fuori e morbida dentro preparata in occasione dell'ultimo giorno di Carnevale detto anche Berlingaccio)
Papero in umido
Coniglio in umido
Polenta con il baccalà in umido
Braciole impanate in umido
Frittata con il lesso

Per i più curiosi e appassionati, nel "librino", distribuito a cura della Pro Loco e del Comune di Montemurlo e dell'APT di Prato, ogni piatto è accompagnato dalla sua ricetta con gli ingredienti, le modalità di preparazione e un simpatico disegno dei ragazzi della scuola, con le iniziali degli autori.

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Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...

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