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Viaggi enogastronomici

La Bastarda rossa dell'Amiata: Arcidosso e Seggiano (PrimaParte)

di Luigi Bellucci

MappaArticolo georeferenziato

Ormai anche le birre artigianali d’Italia sono all’eccellenza. Una bella medaglia d’oro hanno conquistato per il loro Birrificio Amiata Claudio e Gennaro Cerullo in quel di Strasburgo, scusate se è poco, tra oltre 200 concorrenti. Bastarda rossa, si chiama la loro birra, ma non perché tra loro vi sia un rapporto di amore / odio, bensì perché è una birra scura che si ottiene lavorando insieme all’orzo e al luppolo anche un tipo di castagna dell’Amiata che si chiama appunto Bastarda rossa in quanto incrocio tra la domestica e il marrone, e che ha ottenuto di recente il riconoscimento IGP. Siamo andati a trovarli, grazie anche all’interessamento di Max Ricciarini, mago del cibo da strada e aretino DOC. Li abbiamo conosciuti e apprezzati, non solo per la bastarda rossa, ma anche per tante altre loro gradevolissime produzioni. E lì, sull’Amiata grossetana, abbiamo trovato tante altre sconosciute realtà, il pub Chiaroscuro di Nico e dei suoi amici e il forno pasticceria di Bagnoli ad Arcidosso, il museo itinerante dell’olio a Seggiano e il suo travolgente indotto di idee e progetti, sostenute e coordinate da Fabio Menchetti e da tutta l’Amministrazione comunale, il pastificio Deli, il caseificio Seggiano di Governi e Fabbri, sempre a Seggiano, e poi i vini di Donatella Martellini, l’olio di nonno Adamo, i vini e gli oli eccezionali dell’Azienda La Poderina Toscana e del ristorante l’Olivastra di Davide Borselli e di papà Fausto, un’azienda sorprendente, completamente biologica e ad energia rinnovabile al 100%. Una scoperta singolare, così come la Taverna del Prete di Carlo Innocenti, partito dai tubi di metallo e arrivato alla poesia della cucina tradizionale attraverso avventure che ci vorrebbe la penna di un Dumas o di un Hugo per raccontarle come si deve. Non ultime le bellezze dei luoghi, dai castagneti alle abetaie, dalle vigne agli uliveti, dalle cime dei monti al Parco Faunistico con i suoi 120 ettari e le migliaia di cerbiatti, camosci, daini, cervi, lupi, rapaci e chirotteri che Lorenzo Fazzi ci ha fatto conoscere e visitare. Una collaborazione tra produttori capaci e intelligenti e amministrazioni lungimiranti come quelle di Arcidosso e Seggiano, che non disdegnano di muoversi lungo l’Italia e l’Europa per conoscere altre realtà e ricavarne stimoli per nuove idee e nuove iniziative che valorizzino il territorio di questa fettina d’Italia, ancora una volta esempio per tanti, che passano il tempo a lamentarsi, perché ricca di spirito di sacrificio e buona volontà.

Vedi anche La Bastarda rossa dell’Amiata: cibi, vini, oli, natura e altro. (Seconda Parte)

Martedì 6 dicembre 2011

Parto da Genova verso le quattro del pomeriggio. Mi aspettano quasi 400 chilometri e vorrei arrivare per l’ora di cena. Il viaggio è tranquillo. È la prima volta che proseguo oltre Pisa sull’autostrada fino a Rosignano e poi continuo sull’Aurelia bis fino a Grosseto, la oltrepasso e risalgo in direzione Siena e Montalcino.

La taverna di Carlo

Alle otto o poco più arrivo in vista delle luci rossastre del castello aldobrandesco di Arcidosso. Ma non arrivo al centro. Il Tomtom mi porta lungo una ripida salita che fiancheggia la chiesa della Madonna fino alla collina di Case Panardi, dove c’è La Locanda del Prete, la mia meta ultima. Mi spiega Carlo che il nome non ha a che fare con la chiesa, ma con il personaggio che all’inizio del 1900 la gestiva. Costui amava creare matrimoni e invitava spesso le famiglie dei due “promessi”, in caso di attriti o malintesi, a riappacificarsi con una bella cena tutti insieme attorno ai tavoli della sua locanda e così era tanta la sua passione per questo hobby che lo chiamarono il prete e Case del Prete era anche il nome della frazione.
Oggi questa locanda o taverna o ristorante o bad and breakfast è la creatura di Carlo Innocenti. Ci vorrebbe davvero la penna di un Victor Hugo o di un Alessandro Dumas per raccontarne la vita avventurosa, la sua passione giovanile per la metallurgia e le sculture in ferro (notare il simbolo della concretezza più solida), poi le avventure delle sale da ballo, come impresario oltre che forse come ballerino, l’amore per la cinematografia, la passione per i viaggi e il commercio in argenteria, il viaggio di sei mesi che ha fatto a 35 anni attraverso la Grecia, la Turchia, l’Afghanistan, fino in India, dopo un’operazione per aneurisma, e ancora l’arte del costruirsi da sé i mobili in legno, e oggi quella per la cucina tradizionale ma leggermente rivisitata con tocchi d’ingegno e piccole sorprese quasi sempre riuscite. È delizioso quando ti racconta della su’ figliola che sta a Miami e del su’ figliolo che sta qui in locanda con lui e lo aiuta, dei tre nipoti Emily, Giulio e Francesca, della sua prima moglie, inglese, che ora non c’è più, e della seconda, che ora sta con lui, Pascale, parigina, alta, dai bei capelli rosso fuoco e riccioluti che sembra la Medusa, simpatica e di dieci anni più giovane di lui. Insomma Carlo è uno di quei “pezzi unici” così rari da trovare e così preziosi.
Carlo stasera è chiuso, come ristorante, perciò mi accompagna lui stesso in un pub di Arcidosso tra tifosi milanisti del posto che si guardano la partita. Mi siedo in un angolo e mi faccio portare una buona carbonara, bagnata da un bicchiere di vino rosso. Dopo una mezz’ora arriva Gennaro e andiamo insieme alla discoteca Kronos di Castel del Piano dove i ragazzi del posto stanno preparando il palco per il complesso che farà ballare gli ospiti del locale per la sera dopo.
Poco prima di mezzanotte torno alla Locanda per la notte.

Mercoledì 7 dicembre 2011

Arcidosso e il Comune

Alle nove, dopo una notte riposante, prendo un caffè dalla Nespresso che Carlo ha messo in tutte le camere (ma che idea!) e poi scendo in sala al piano di sotto per la colazione. Mi aspetta una deliziosa fetta di finocchiona con pane fresco, un bel caffè d’orzo e latte caldo, marmellata di prugne, un bicchiere di spremuta d’arancia. Alle dieci parto per Arcidosso. Trovo subito il Comune e salgo al primo piano. Nella sala consiliare si tiene la conferenza stampa dedicata alla giornata delle eccellenze dell’Amiata, di Arcidosso e Seggiano e dintorni, organizzata da Max Ricciarini, patron e precursore del Cibo da Strada con annessi e connessi.
In sostanza si festeggia la medaglia d’oro che il Birrificio Amiata dei fratelli Cerullo ha ottenuto lo scorso ottobre a Strasburgo grazie alla Bastarda Rossa, la loro eccellente birra ottenuta dalla omonima castagna IGP dell’Amiata. Rompe il ghiaccio Gennaro Cerullo che racconta la sua breve storia, nata nel 2006 dalla passione sua e del fratello Claudio di farsi in casa la birra da soli. Dalla sfida al successo mondiale su oltre 200 concorrenti il passo è stato breve, grazie anche alla collaborazione dell’amministrazione comunale e degli enti locali e del territorio.
Nel 2006, racconta Gennaro, c’erano in Italia circa 90 birrifici artigianali. Oggi sono oltre 400. il loro obiettivo è di realizzare una birra a chilometro zero, come reperimento della materia prima, che al momento è limitata all’acqua del Fiora, elemento fondamentale per la qualità della birra finale, allo zafferano e al miele, altri elementi locali usati in qualche tipo di birra, e alla castagna IGP Bastarda Rossa del Monte Amiata. Restano ancora fuori l’orzo e il luppolo e alcuni lieviti di provenienza belga. Occorre continuare a insistere sull’importanza di fare sinergia tra tutti i produttori del territorio ancora non coinvolti.
Tocca poi al Sindaco Emilio Landi. All’inizio dell’avventura ricorda il viaggio fatto fino alla Fabbrica Birra Busalla, a curiosare da Stefano come facevano la birra di castagne e come veniva, un birrificio che esisteva già dal 1929, ma poi era sparito e aveva ripreso l’ultimo anno del secolo scorso, il 1999.
Lì ottenemmo altri elementi per proseguire nella nostra iniziativa, nata sulla proposta di Gennaro e Claudio e da loro realizzata. Arcidosso e paesi limitrofi oggi non sono solo birra e castagne, ma anche olio, formaggio, vino, pasta, pane, dolci, tutti uniti nella grande iniziativa Verde Oro che proseguirà nei prossimi giorni con la festa dell’olio e dell’Olivastra seggianese DOP a Monte Laterone.
A seguire Giulio Mazzarelli e Franco Ulivieri, assessore al turismo e Presidente dell’Unione dei Comuni dell’Amiata rinnovano le eccellenze del loro territorio, oltre alla birra e l’olio, anche i biscotti e altri marchi importanti.
Infine Lorenzo Fazzi, Presidente della Strada della Castagne dell’Amiata ripercorre la storia che ha portato dalla castagna alla birra, nata nel 2002 – 2003 con “castanea”, il meeting internazionale che unisce associazioni di coltivatori di castagna dal Portogallo alla Francia all’Italia e oltre. Un’altra bella iniziativa legata alla castagna e ad Arcidosso è il convegno sui dolci a base di castagna, con ospiti anche dalla Francia. Si procede con queste iniziative di successo per aiutare a sostenere economicamente questo settore di per sé piuttosto povero.
Per ultimo Enzo Rossi, assessore provinciale all’agricoltura, ricorda che le condizioni naturali del territorio grossetano aiutano la qualità dei prodotti grazie alla sua struttura morfologica di origine vulcanica. Dall’industria mineraria iniziale si sono sviluppate attività e aziende turistiche e agro-alimentari che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti DOP e IGP.
Usciamo dalla sala consiliare per una sosta al Panificio Pasticceria Bagnoli, dove la ricchezza delle paste e delle creme e i profumi di cioccolata, di crema, di nocciola, di pane ancora caldo, ti fanno inebriare mentre prendi il caffè magari con una delle loro paste secche sgranocchiate di sfuggita. Una vera chicca.

La catena spezzata

Finita la conferenza stampa ci spostiamo verso nord fino a Seggiano, un paese dove stanno nascendo iniziative interessanti in campo olivicolo e di coinvolgimento della popolazione. Il primo incontro è nei locali del Cassero, che diventeranno Museo dell’Olio. Ci accoglie Fabio Menchetti, responsabile dell’Urbanistica del Comune di Seggiano, con un buon bicchiere di Intregona, un IGT Maremma Toscana bianco da uve da agricoltura biologica, un uvaggio di Malvasia, Trebbiano e Moscato, accattivante e armonico, dell’Azienda La Poderina Toscana, ben accompagnato al pecorino a latte crudo del caseificio di Seggiano.
Saliamo al piano superiore per il pranzo, ma prima, visto che ne ho l’opportunità, assaggio tre oli:
Primo olio: Olio di nonno Adamo, dell’azienda La Querciola, da cultivar Olivastra Seggiano 95% più 5% di moraiolo (detto anche giogliaio). Gli ulivi stanno a 600 metri s.l.m. quindi niente problemi di mosca o simili. Si sente subito dall’assaggio la pulizia e la nota delicata del fruttato, ma con un bel tocco sia di amaro sia di piccante che lo rendono piacevole e adatto per completare zuppe e stufati, ma anche per un buon pinzimonio. L’azienda appartiene alla famiglia Piccini già dal 1860 quando Adamo Piccini, nonno dell’attuale titolare dell’Azienda, sposa la Sig.ra Filomena Turcheschi e si dà con passione alla coltivazione dell’olivo
Secondo olio : Abbraccio, prodotto da Mirko Rossi. È anch’esso di monocultivar seggianese, di fruttato medio, armonico ed equilibrato, con note amare e piccanti medie.
Terzo olio : Hortulanus, prodotto da Hortulanus s.r.l. Società Agricola. È sempre un monocultivar seggianese, di fruttato leggero, ma con note amare e piccanti ben decise e persistenti.
Dunque tre ottimi oli, puliti e di buona armonia.
Intanto sono arrivate in tavola le bruschette e le innaffio con i tre oli per valutarli sul pane caldo. Ancora ottimi.
A seguire un bel piatto di tortelli di Deli con pecorino e olio. Un piatto davvero eccellente e al 100% a chilometro zero perché tutti gli ingredienti sono di Seggiano, pasta, ripieno, formaggio e condimento.
Abbiniamo un vino Maremma Toscana Rosso IGT di 13,5 gradi dal lotto L30102011, bottiglia n.19 di 3.000, da uve biologiche dell’azienda Hortulanus.
Ecco un altro piacevolissimo piatto, i Pici di acqua e farina (lo si vede dal colore bianco come la pelle delle geishe) conditi con un piacevole sugo rosso all’aglione.
Per pietanza il prosciutto crudo di cinta senese, il salame, il capocollo, tre tipi di formaggio di pecora a media stagionatura. Il vino è Opera, un Montecucco Sangiovese DOC 2008 di 13,5 gradi dal lotto L245/09 dell’azienda agricola La Silva di Seggiano, Località Podernuovo.
Con il dolce allo yoghurt e cioccolata e il salame di cioccolato e alchermes (o rosolio), l’ottimo Vin Santo della casa, davvero unico e … perfetto.
Per il caffè si scende al bar nella piazza sotto il Museo.
Il bello viene ora perché per digerire Fabio ci porta a visitare le meraviglie del paese. Iniziamo dal vecchio frantoio Ceccherini, ancora con le macine in pietra, ma mosse non dalla solita forza dell’asino che le faceva ruotare lentamente, bensì da una piccola centrale elettrica ancora installata, probabilmente dallo stesso Meucci o di un suo discepolo o collaboratore. Un pezzo che andrebbe ripreso e rimesso in opera per mostrarlo alle scolaresche ma anche a tanti adulti che di elettrico conoscono solo il tostapane o poco più. Sotto al frantoio il locale della raccolta della acque di risulta, con vista diretta sui campi dove andavano a finire nel secolo scorso.
Una seconda visita ancora più interessante è quella alla antica cisterna dell’acqua, oggi dismessa e coperta in superficie. Ebbene qui sarà piantato il prossimo anno un ulivo con le radici che saranno visibili dal basso, all’interno della cisterna, e la pianta sarà alimentata da soluzioni minerali per via radicale ma aerea, in collaborazione con un’università della Toscana. Di fronte allo spiazzo sulla cisterna si vede bene il tempio della Madonna della Carità, sul versante opposto che risale le pendici verso il Monte Amiata.
Rientriamo poi nel vecchio palazzo comunale, dove all’esterno sta ancora appesa la “catena spezzata” che simboleggia la fine della dipendenza di Seggiano da Castel del Piano. Qui dentro c’è ancora la lapide storica del 1860 che riporta il risultato del plebiscito per l’adesione alla monarchia costituzionale dei Savoia e riusciamo a vedere anche un bellissimo video che mostra i pensieri dei bambini di Seggiano e Arcidosso sull’olio e sull’olivo. Una regia superba del filmato e sguardi puliti e pensieri acuti e “filosofici” di questi bimbi e bimbe delle elementari.

Paste e Formaggi

Salutiamo Fabio per visitare il Pastificio Deli di Seggiano. Iniziamo dall’ingresso dei fornitori e seguiamo il nostro cicerone, Luca Ciccarini, lungo l’itinerario attraverso la stanza di rottura delle uova (proprio così, ci vuole un locale dedicato esclusivamente a questa operazione). Proseguiamo nel laboratorio di lavorazione delle farine, che devono avere un basso contenuto di ceneri, per la qualità ottimale della pasta e del prodotto finito, poi il locale di preparazione dei ripieni, l’impastatrice a cilindro, la tortelli era a due rulli, l’essiccatore a 88 gradi e il posizionamento della pasta nei vassoi per l’inserimento nell’abbattitore che li porta a due gradi.
Ogni prodotto finale ha la sua linea dedicata, c’è quella dei tortelli, quella degli gnocchi, della pasta lunga e da gennaio ci sarà anche quella della pasta corta, che per adesso non è in catalogo.
La produzione sforna 30 quintali di pasta la settimana, con l’obiettivo di arrivare ai cento che già sarebbero possibili con l’impianto attuale e le cinque persone dipendenti a tempo pieno. Oltre la linea di confezionamento, che chiude l’itinerario, c’è lo spaccio aziendale in cui i seggianesi possono venire a comprare direttamente.
Usciamo dal pastificio e, proprio di fronte, visitiamo il caseificio di Governi e Fabbri. Ci accompagna Roberto nella visita al locale della pastorizzazione, dove tutte le mattine arriva il latte di pecora con cui essi lavorano. Quasi 15.000 litri al giorno. Alla fine della lavorazione il formaggio viene messo negli stampi e rivoltato sui carretti in attesa che scenda il ph (si aspetta 24 ore). Si fa poi una doppia salatura, di 48 ore e si manda in stagionatura per uno, tre, sei mesi. Per ora la stagionatura la fanno a Montefiascone, ma è già prevista la preparazione di locali nell’area vicina che saranno pronti dal prossimo anno. Molte operazioni sono ancora svolte completamente a mano come la salatura a secco, la giratura o i trattamenti in crosta dei vari prodotti. Il siero viene recuperato per farci la ricotta, squisita, con un nome bellissimo, fiocco di neve, indovinatissimo per il bel colore bianco quasi abbagliante che ti si presenta davanti agli occhi. Le rese sono del 20% per i formaggi e del 5% per la ricotta. Roberto e Gabriele hanno una decina di dipendenti con cui mandano avanti la loro attività.

Foto Credit: Gabriella Repetto

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Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...

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