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Viaggi enogastronomici

Vino in Villa: Fratelli Bortolin, Ca' di Rajo, La Tordera e il Salis (Terza Parte)

di Luigi Bellucci

MappaArticolo georeferenziato

Fratelli Bortolin

Lascio la piacevole compagnia di Stefano, Elisabetta e dei due colleghi dell’est per spostarmi verso Santo Stefano di Valdobbiadene, dove mi aspetta la visita a Fratelli Bortolin. Diego è in cantina mentre Andrea sta raccogliendo gli altri ospiti per la visita, in giro per il territorio. Iniziamo la visita con Diego, enologo come il fratello. L’azienda ha 22 ettari vitati, 20 come DOCG e 2 come Cartizze. La produzione annua è di 300.000 bottiglie distribuite su 9 etichette, tra le quali un passito con sole 600 bottiglie, ad usio poco più che famigliare. La famiglia discende da viticoltori che già nel 1800 operavano in zona e che nel 1951 hanno iniiato una spumantizzazione, veri pionieri del Prosecco.
 
Vedi anche Vino in Villa: bollicine crescono (Prima Parte)
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Oggi l’uva viene raccolta in cassoni piccoli, da 250 chili e poi passa, dopo una breve selezione, in presse pneumatiche da cui esce il mosto, che fermenta a 18 gradi per circa quindici giorni. Seguono un primo travaso e una fase di affinamento. La produzione senza solforosa viene mandata direttamente in vasca come mosto senza travaso allo scopo di evitare una seppur minima ossigenazione.

Il vino in stoccaggio viene spumantizzato una volta al mese a otto gradi. Si usano sempre lieviti selezionati e alla fine della seconda fermentazione si lascia un paio di mesi sui lieviti agitandolo ogni tanto, con procedure automatiche e programmate in anticipo. Mentre si chiacchiera sui vitigni, Diego racconta che già a Siena nel 1931 era stato premiato il Prosecco come vino da focaccia. Allora si presentava come vino di Valdobbiadene ed era un mix di Glera, Verdiso, Perera e Bianchetta in parti pressoché uguali. Di Fratelli Bortolin assaggiamo due buoni esemplari, un extra brut da 4 g/l ancora un po’ amarognolo, seppure ben pastoso e coinvolgente, il loro Millesimato, gradevole ed elegante e infine il loro Passito 2008.


Ca’ di Rajo

Lascio Diego e mi sposto verso sud fino a San Polo di Piave per visitare Ca’ di Rajo. Qui le colline sono sparite e mi trovo in una bellissima campagna pianeggiante dietro la Chiesa di San Polo di Piave. Mi aspetta Simone Cecchetto, un giovanissimo imprenditore, sveglio e attento alla qualità e al marketing. L’azienda possiede 25 ettari vitati, cui si aggiungono 300 ettari acquistati, per una produzione complessiva di oltre un milione di bottiglie..

La produzione non è solo concentrata su Prosecco Brut ed Extra Dry, ma riguarda anche uno straordinario Raboso, che poi avremo modo di assaggiare e altri autoctoni, tra cui il Manzoni. Il nome Raboso deriva, dice Simone, da “rabbioso”, per la grande tannicità e per il lungo ciclo vegetativo. Il loro mercato si sviluppa prevalentemente sull’estero, con il 70% della produzione che va prevalentemente in Europa, poi per fette minori, in Asia e Usa, con molte etichette. 

Negli anni ’70 nel trevigiano si producevano per il 70% vini a bacca rossa, e di questi il 70% era Raboso. Il Prosecco riguardava circa il 6% della produzione complessiva.. oggi le proporzioni si sono completamente capovolte, moltissimo Prosecco e poco rosso di cui il Raboso è una minima parte. Con Simone si fa un giro tra le vigne seduti sul sedile di un vecchio trattore ancora funzionante, fumoso e rumoroso.  I vigneti vicino casa sono di Marzemina bianca a sistema Bellussi, una sorta di pergola alta con viti molto distanziate. All’interno della proprietà una bella chiesa del 1600, che sarebbe da ristrutturare e nelle vicinanze i resti di una già poderosa torre medievale.

L’assaggio dei vini inizia con un Le Moss, Prosecco col fondo, non filtrato, con il 100% di glera. Lo beviamo non shakerato. Lo troviamo ancora magro ma di buona beva. 

Secondo Vino: Cuvée del Fondatore Brut con soli 4 g/l. appare corto al naso ma pieno in bocca. Le uve provengono dalle zone di Guia e Colbertaldo. 

Terzo Vino: Sauvignon IGT della Marca Trevigiana 2013, da clone R3. Si presenta esuberante al naso e piacevole mentre in bocca è ancora snello. 

Quarto Vino: Marinò, Marca Trevigiana IGT rosso 2010, di 14 gradi, un uvaggio di Merlot per il 50%, Cabernet per il 30% e Raboso vendemmia tardiva o surmaturo per il rimanente 20%. Il vino è dedicato al nonno, un arzillo vignaiolo ancora in perfetta forma e di grande simpatia. Al naso è pulito mentre in bocca lo senti pieno e armonico, di ottima beva e ampia piacevolezza. Di questo vino Simone ne ha prodotto 12000 bottiglie. 

Quinto Vino: Sangue del Diavolo – Raboso del Piave DOC 2009, di 13,5 gradi. Un rosso di tutto rispetto con note di amarena, di cuoio e balsamiche evidenti. Diecimila bottiglie quelle prodotte per quest’annata.

Sesto Vino: Notti di luna piena – Raboso del Piave DOC 2007 di 14,5 gradi. Ne sono state prodotte 70000 bottiglie, con un 30% di uve appassite in fruttaio e affinamento di 36 mesi in botte grande. Un vino di eccezionale struttura, con aromi ampi e complessi, con una piacevolezza e pienezza di beva che ne fanno davvero un grande vino.

 
La Tordera

Ci arrivo poco prima delle undici della mattina e mi accoglie Elisa, che si occupa di relazioni e di back office. Siamo alla periferia di Vidor, in aperta campagna. Vi accorgete che siete arrivati quando vedete le tre bandiere al vento. È un’azienda a conduzione familiare: genitori Vettoretti e quattro figli, che fino al 2003 erano viticoltori e conferivano le loro uve ad altri produttori. Il nome dell’azienda è quello di un terreno in Cartizze nel quale ci si appostava per dare la caccia ai tordi che venivano poi cucinati allo spiedo e serviti con la polenta. Erano anni di vacche magre in cui tutto andava bene per fare sera e mettere comunque qualcosa in pancia.

Nella casa di Tordera nasce il nonno di Pietro, Bepi, capostipite della famiglia. Oggi l’azienda possiede 50 ettari vitati, DOCG per 20 ettari, e DOC. La produzione 2013 è stata di 850.000 bottiglie, tra Glera, Verdiso, Bianchetta, Perera, Pinot grigio e Chardonnay. Producono anche uno spumante rosato extra dry, da un uvaggio di Merlot per il 70% e Incrocio Manzoni 13025  (Raboso e Moscato d’Amburgo) per il 30% rimanente. Il mercato prevalente è quello nazionale (65%), tra Horeca e Agenti. La parte estera (35%) si sviluppa in Olanda, USA, che sono i due mercati più importanti, e altri 20 paesi.

Dopo una visita alla struttura torniamo ad assaggiare alcuni loro vini. 

Primo Vino: Otreval Rive di Guia, un Brut con zero gr/l di zuccheri. Al naso prevale la nota minerale insieme a quella floreale. In bocca lo senti armonico e cremoso. La produzione è attorno alle diecimila bottiglie.

Secondo Vino: Brunei, ancora Brut con nove gr/l di zuccheri. Al naso avverti netta la nota fruttata di mela, accompagnata da una bella mandorla. In bocca ne percepisci la grande freschezza, una bella pulizia e lo senti discretamente armonico e pieno. La produzione è attorno alle centomila bottiglie.

Terzo Vino: Serrai Extra Dry con quindici gr/l di zuccheri. Al naso avverti una nota prevalente minerale seguita da una balsamica. In bocca ne avverti una buona sapidità e pienezza di beva. La produzione è attorno alle centomila bottiglie.

Quarto Vino: Tittoni Millesimato, Dry con ventitre g/l di zuccheri

Al naso la nota fruttata si alterna con una piacevole mineralità, che gli dà struttura. In bocca lo senti armonico, pieno, con una evidente nota abboccata. La produzione è attorno alle trentamila bottiglie.

Quinto Vino: Prosecco Superiore di Cartizze, Dry con ventidue gr/l di zuccheri. Al naso si alternano la nota floreale e quella fruttata in un mix di rara eleganza. In bocca lo senti pieno, sapido, armonico.. Il vigneto è uno dei più storici dell’azienda e la produzione è di sole cinquemila bottiglie.

Sesto Vino: Gabry Rosé, Extra Dry con quindici gr/l di zuccheri. Nasce da un uvaggio di Raboso per il 70% e Incrocio Manzoni 13025 per il 30% rimanente. Al naso avverti piacevolissima la nota vinosa, che poi si affina nel sentore di lampone, fragoline di bosco e lieve sensazione di rosa canina. In bocca lo senti equilibrato, pieno e di tutta piacevolezza. La produzione è attorno alle settantamila bottiglie.

Settimo Vino: Calchéra Metodo Classico, Prima fase 2007, sboccatura 2013. Da uve Glera al 70% e Chardonnay al 30%. Al naso avverti la pienezza dei lieviti, note di miele di castagno e di pane tostato. In bocca ne avverti la freschezza, grazie alla buona acidità, con sentori di nespola italiana in retrogusto. È un vino molto particolare che ha bisogno, a mio parere, ancora di un discreto affinamento, sia in fase di preparazione che di studio.


Ristorante SALIS

Con Elisa ci spostiamo per il pranzo a Valdobbiadene, al ristorante Salis di Chiara e Marco. Una vista incredibile su tutta la zona di Cartizze ti allieta la pausa sulla terrazza, all’ombra, circondato da vigne, boschetti e casette e castelli vari. Prendiamo Tortelli alle ortiche e un eccellente Stinco di agnello alle spezie. Per fortuna Chiara serve anche vini a bicchiere, così possiamo provare il Bianco ZOF Sonata, un Friuli Colli Orientali DOC 2011 di 14 gradi, da un uvaggio di Chardonnay e Sauvignon fermentati in barrique con i tortelli. Mentre con lo stinco l’abbinamento più indovinato è con il Raboso di Cecchetto 2009, di 13 gradi, che avevo già conosciuto ieri nella versione 2007.

La compagnia, il panorama e il pranzo sono tutti di alto livello e ti sembra di stare in una bella favola, ma purtroppo il tempo è tiranno, così devo ritornare con i piedi per terra e riprendere la strada per il prossimo incontro.


Foto Credit: Gabriella Repetto.

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