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Viaggi enogastronomici

Lison Pramaggiore, la strada che incorona Venezia

di Luigi Bellucci

MappaArticolo georeferenziato

Tre giorni per un Educational Tour nelle Venezie meno conosciute, che ci porta alla scoperta di un territorio pieno di sorprese e di interessi, dal mare ai monti, attraverso antiche paludi bonificate, con storie di giovani volenterosi e capaci che promuovono la loro strada e la valorizzano con idee nuove e tradizioni antiche rivisitate.


Giovedì 8 Marzo 2007

Di ritorno da Nizza, ieri sera, ci portavamo nel cuore il calore del sole che aveva accompagnato la nostra passeggiata sulla Promenade des Anglais. A Genova ci aspettava ancora una serata di pioggia. Stamattina però splendeva il sole e le previsioni davano bel tempo già dal pomeriggio anche a Venezia, dove eravamo diretti per il Tour organizzato dalla Presidenza della Strada dei vini di Lison Pramaggiore.

Il viaggio scorre liscio e riscaldato dal sole fino al nodo della bretella di Mestre. Da anni questa striscia di strada attende una soluzione. È un territorio piatto, senza montagne di granito da bucare o da scavalcare. Sarebbe uno scherzo pianificare e costruire alternative di affiancamento alla strada che unisce Padova al Friuli toccando Venezia. Qualunque laureando in architettura potrebbe suggerire più di una soluzione valida. È così semplice che da lustri dicono che non si riesce a fare. Evidentemente ci sono di mezzo interessi di caste, anzi egoismi da vecchi litigi di condominio, di quelli più gretti e stupidi, per cui si manda in malora tutta la casa piuttosto che darla vinta e così tutti ne subiscono gli effetti. Ore di coda, miliardi di energia sprecata, miliardi di ore perse ad aspettare che l'ingorgo si sciolga. Anche il cielo è disperato da questa situazione incancrenita perché si è rimesso a piovere proprio adesso e continuerà a piangere per tutto il tempo che impieghiamo a uscire dalla tangenziale, poi tornerà il sole.

Comunque arriviamo finalmente a San Stino di Livenza. Appena usciamo dal casello smette di piovere e il nostro albergo è proprio sulla prima rotonda che porta via il traffico dell'autostrada. In questo periodo la rotonda è un cantiere per la preparazione della bretella tangenziale che dovrà convogliare il traffico tra il mare e l'autostrada. L'Hotel da Gigi e le sue tre stelle si vedono già mentre si paga il pedaggio al casello. È un albergo nuovo, stile motel, pulito, curato e con personale giovane e sveglio. Ci attende Lisa Giacomel, sorridente e disponibile, la segretaria della Strada che attende gli ospiti nella hall dell'albergo, che è anche bar del paese, esposizione enotecaria e sala scommesse per Totip e altro. Oltre il bancone c'è Enrico, che ci assegna una camera al primo piano.

Ci accompagna ma non prende le valigie nemmeno a Gabriella. Il suo pensiero è distratto dall'attesa degli altri clienti e dal poco tempo che ha, ma non fa nulla! Siamo in camera. Dalla finestra si vede un piccolo stagno di acqua verdastra in questo pomeriggio di cielo coperto ma non più piovoso. Una famigliola di anatre sguazza qua e là completamente padrona del territorio. Un pontile disabitato fa pensare ad attracchi di barche improbabili, oggi. Prati attorno, e vigne, di Cabernet, Merlot , Refosco e Lison (il Tocai dei nostri vecchi) in un paesaggio piatto e uniforme.


L'azienda "Le Carline"

Alle sedici e trenta ci siamo tutti e si parte in pullman per la prima conferenza stampa e la visita all'azienda del Presidente della Strada dei vini Lison Pramaggiore, "Le Carline" di Daniele Piccinin, un quarantenne rampante, deciso, in gamba, con idee chiare e sufficienti cognizioni per gestire al meglio questa piccola - media azienda vinicola, come ci racconterà più tardi. Il nome dell'azienda deriva da un appezzamento di terreno adiacente all'azienda, che nelle vecchie mappe austro-ungariche era denominato Inferno, ma che tutti chiamavano Le Carline e che era sempre stato coltivato a vigneto.

L'edificio è nuovo, costruito con tecniche moderne, tese al risparmio del superfluo e all'impiego di materiali classici, legno, mattone e cotto assemblati con tecnologie recenti, efficienti e di alta resa, a costi ridotti. La scuola tecnica di Daniele gli è servita per capire l'importanza di certe innovazioni. Letture intelligenti e determinazione per contrastare i tecnici tradizionali a cui doveva per forza affidarsi per realizzare le sue idee, discussioni a non finire e la soddisfazione di avere scelto la strada giusta, a lavori conclusi. E amicizie rinsaldate da questa cocciutaggine ingegnosa. Anche in questi atteggiamenti emerge il carattere e l'origine di Daniele, metà veneto e metà friulano, gente risoluta, pulita, concreta.
Si arriva sul piazzale delle Carline con la vista del Monte Cavallo, a una quarantina di chilometri, imbiancata dalla neve che è scesa proprio stanotte e che ora brilla nella luce diafana e biancastra del sole che filtra tra le nubi che laggiù si stanno diradando. Sotto Monte Cavallo si stende l'altopiano del Cansiglio, anch'esso innevato, che abbiamo ancora negli occhi da quel gennaio 2002 quando con Luigi e Marina lo avevamo percorso verso il rifugio.

Un primo benvenuto sul piazzale della casa, sotto l'ampio porticato, insieme alla moglie, la Signora Diana, una figurina deliziosa, con una bella cornice di capelli neri attorno al viso di donna solida e molto riservata, ma non meno importante per Daniele e per le scelte fatte insieme, come quella di rinunciare al proprio lavoro di insegnante per dedicarsi ai due figli e alla famiglia, all'azienda e alla collaborazione attiva nella sua conduzione.

L'azienda ha di suo quindici ettari vitati e altri quindici li acquisisce da fuori per un totale di circa 300.000 bottiglie. Le coltivazioni sono rigorosamente biologiche dalla fine degli anni '80 quando Daniele dopo avere perso il padre a causa di un tumore causato da chimica spinta, hanno detto i dottori, ha deciso di cambiare il proprio tipo di vita, senza abbandonare la campagna ma diventandone alleato. Ora combatte le malattie della vite con insetti utili e con batteri contro la tignola. Ci racconta come combatte il ragno rosso, che attacca la foglia della vite nel momento più caldo, tra luglio e agosto, mediante insetti predatori che nel giro di cinque - sette giorni sterminano tutte le colonie di ragni rossi, riequilibrano naturalmente l'ambiente biologico e salvano la produzione, almeno all'80%. Ha ripreso ad usare gli stessi prodotti che si usavano in campagna alla fine della guerra, a cominciare dalla poltiglia bordolese distribuita quando ce n'è bisogno. Come Daniele, altre sette aziende hanno scelto la via del biologico. Oggi si contano oltre 400 ettari vitati tutti biologici.

I vecchi vigneti sono stati sostituiti pressoché integralmente da nuove installazioni già dagli anni '90, con una densità di 3000-5000 piante per ettaro orientate a una produzione di qualità.
Il 70% della produzione delle Carline va all'estero, Stati Uniti e Germania in primis. Un vanto di Daniele è il suo Verduzzo passito, un esperimento iniziato a metà anni '90 e ormai pienamente consolidato, con una zona della cantina dedicata proprio all'appassimento dei grappoli, aiutato da una ventilazione interna naturale che mantiene a un livello ottimale la temperatura e il livello di umidità.
Un altro punto di forza della produzione delle Carline è il nuovo Lison. È il nome che qui hanno voluto dare al vecchio Tocai italiano, da quando la diatriba con gli ungheresi per lo sfruttamento del vecchio nome si è risolto a favore di quelli. Mi sembra molto saggia l'idea di proporre questo nome "autoctono" a questo vecchio vitigno che comunque andava ribattezzato. Per cui avanti con il Lison classico, un signor bianco di aromi minerali e fruttati e di corpo, sapido e persistente. Mentre si prende l'aperitivo non si può non notare una targa premio per il Pinot Grigio Le Carline 2005 che vince la medaglia d'argento alla Fiera di Norimberga del Febbraio 2007.
Quando ci siamo tutti, si entra nell'edificio, in una saletta per l'assaggio di un aperitivo con Prosecco extra-dry di giusta temperatura e bollicine, con netti sentori di mela verde e ben equilibrato, accompagnato da piccoli grissini e salatini.

Al termine ci raggiunge l'assessore all'agricoltura della Provincia di Venezia, il Dottor Scaboro, con il quale si sale al primo piano nella sala degustazione dove ci aspettano gli assaggi di un bianco Lison Classico e un rosso Refosco dal Peduncolo rosso.


La conferenza stampa e gli assaggi

Oltre al Presidente Piccinin sono presenti anche i vice presidenti, Antonio Geretto e Adriana Marinato (che produce il Musacardo, un Sauvignon biologico profumatissimo). L'assessore introduce la conferenza stampa: "… c'è molto da lavorare per far conoscere questo territorio … La sfida di questi anni è prima sulla qualità e poi sul prezzo, in cui occorre essere molto bravi per raggiungere un giusto equilibrio tra i due … La qualità ha bisogno di ricerca continua per migliorare, la ricerca richiede finanziamenti ed è compito delle strutture pubbliche fornire l'adeguato sostegno a queste realtà produttive …". Ancora il Presidente Piccinin accenna ai prodotti tipi che potremo conoscere e assaggiare in questi giorni, a cominciare da questo momento.
Arrivano così in tavola degli assaggi di formaggio Montasio della Latteria di Sumaga di media stagionatura, abbinati a un Lison classico (Tocai) del 2006, di 12 gradi, alla giusta temperatura. Si sposa molto bene la freschezza del formaggio con questo bianco di colore giallo paglierino, limpido e con riflessi tra il dorato e il verdastro. Al naso emerge la mandorla e nette sono le note minerali, in secondo piano lievi sentori di pera. In bocca sapidità e freschezza sono le caratteristiche emergenti, che lasciano poi spazio a una discreta salivazione e a una buona persistenza. Il vino è stato ottenuto mediante criomacerazione sulle bucce.

Non poteva mancare l'abbinamento con il vino rosso per cui a seguire si assaggia un Refosco dal peduncolo rosso del 2004, di 12,5 gradi. Il colore è rosso rubino brillante. Al naso emerge un carattere vinoso discretamente intenso con lievi note speziate e sentori di frutti rossi maturi. In bocca mostra freschezza, buona acidità, equilibrio, cui si accompagna un buon corpo, che tutti insieme danno un vino di pronta beva a tutto pasto, con lievi note amarognole dovute ai tannini e un retrogusto gradevolissimo di ciliegia.
La qualità è indubbiamente presente in entrambi i vini e i prezzi sono comunque interessanti perché si va dai 4 agli 8 euro (più iva) per la gamma dei vini che produce Le Carline, dal vino più comune allo spumante, ai vini da invecchiamento. Alla fine degli assaggi il Presidente riassume il programma delle prossime due giornate, prima l'incontro con la Venezia minore, quella meno conosciuta, quella di Spina Longa (o Giudecca) e delle isole della laguna e poi i quattro itinerari enoturistici che hanno predisposto per questo incontro: "Il sentiero incantato", "La strada delle antiche città sospese tra i vitigni", "Attraverso il bosco degli elfi e delle fate", "Il rifugio segreto di bacco dormiente".

Prima della cena, prevista alla trattoria Al Cacciatore di Giuseppe Marchesin, a Blessaglia di Pramaggiore, si discute del leone di Venezia e del libro e delle diverse iconografie che si possono incontrare gironzolando in quel libro aperto di storia che questo territorio e i suoi resti architettonici rappresentano. Il leone che tiene la zampa sul libro aperto è simbolo di pace, quando invece il libro è chiuso si è in guerra o la si sta preparando.
Intanto si scende al piano terra dove una quindicina di pannelli raccontano la storia del vino e della vite nel Lison Pramaggiore, dai Romani ad oggi. Un lavoro molto interessante che potrà essere oggetto di un futuro approfondimento.

Mentre scendiamo in cantina, a visitare la barricaia, il Presidente spiega che la sua produzione è biologica per quanto riguarda la coltivazione delle uve mentre la trasformazione in vino è ancora tradizionale.
Chiacchierando siamo scesi fino alla barricaia, un locale interrato, a temperatura costante grazie all'intercapedine d'aria tutta attorno all'edificio che mantiene costanti i 15-18 gradi per tutto l'anno, con una umidità tra l'80% e l'85%. In terra cotto, e legno sul soffitto. Finestre a bocca di lupo che danno aerazione e pietrisco sotto le barrique. Le cento barrique saranno affiancate o sostituite da un numero adeguato di grosse botti. Da un'idea di Daniele è venuto l'esperimento delle barrique cubiche da 225 litri, brevettate da Veneta Botti. Hanno il vantaggio che il legno, dopo l'utilizzo non deve essere buttato ma si può riutilizzare ad esempio per fare parquets in legno, irrobustito dalla vetrificazione che produce la stasi del vino nel recipiente e già pronto di un colore rossastro, simile al cotto scuro. Da non trascurare il fatto che queste botti costano circa la metà delle barrique tradizionali, pur essendo costruite con lo stesso legno, proprio per via della mancata curvatura delle doghe e alla fine dei tre anni si possono rivendere ricavandone comunque un utile.


La cena "Al Cacciatore"

È ora di cena. Si risale sul pullman e via verso la trattoria di Giuseppe Marchesin.
Nonostante il nome "Al Cacciatore" Giuseppe è un ottimo cuoco di piatti a base di pesce. Il locale è caldo e accogliente. Il servizio pronto, il cibo delizioso e i vini all'altezza delle aspettative.
Il menù prevede un primo antipasto di Canocie, piovra, crema di dentice e insalata di seppie da mandar giù assieme allo Spumante brut della cantina Ca' Corniani e a seguire un secondo antipasto di Schie fritte e seppie in umido con polenta, un piatto eccellente, ben accompagnato da uno Chardonnay 2005 della Tenuta Mulin di Mezzo di Lazzarin, un bel vino di 13 gradi alcolici.

Per primo un risotto alla marinara in bianco, molto ben fatto, insieme a un Tocai Lison 2006 dell'azienda agricola Bellotto, ben fresco e sapido anche in bocca con i suoi 12 gradi. Da urlo il piatto forte, un branzino al forno, freschissimo e ben condito, con patate e insalata mista, cui si abbinava egregiamente il Refosco 2005 dell'azienda agricola Le Contrade di Savian Arnaldo e William. Un vino di 12 gradi con vendemmia selezionata (tengono due chili d'uva per ceppo) e affinato circa 6 - 7 mesi in bottiglia. Infine una crostata di frutta, bagnata in bocca da un Verduzzo Soandre di 12 gradi dell'Azienda Agricola Bosco del Merlo della Famiglia Paladin. Alle 22.30 si risale sul bus per tornare all'hotel. Domani ci aspetta la giornata a Venezia


Venerdì 9 Marzo 2007
In viaggio verso Venezia e la Giudecca

La sveglia alle 7 con il pigolio della campagna e delle piccole anitre che sguazzano nell'acqua sotto il pontile che si vede affacciandosi alla finestra del primo piano dell'albergo mi mette di ottimo umore. Mi affaccio a respirare l'aria fresca della mattina, un velo di bruma copre i prati in lontananza e poche auto scorrono sonnolente sulla strada oltre i campi, verso nord. Scendiamo per la colazione, come al solito piuttosto abbondante per non sentire i vuoti di stomaco verso le undici, quelli che ti invogliano a riempirli con qualche farinaceo e sono deleteri per la linea.Alle 8.30 tutti sul pullman per Venezia.

Stamattina non c'è la coda al nodo di Mestre, comunque il nostro autista conosce strade secondarie e in pochi minuti arriviamo al parcheggio fuori Venezia dove si deve acquistare l'autorizzazione ZTL a entrare in città con il pullman e poter sostare nelle zone a traffico limitato. L'autorizzazione per il pullman costa sui 500 Euro.
Con l'adesivo ZTL in vista prendiamo la direzione Venezia e imbocchiamo il Ponte della Libertà, disteso sulla laguna che è rivestita di chiazze azzurre, chiare e scure, con sprazzi di argento e un velo rosa sopra i mille campanili che svettano da lontano sui tetti della città sul mare. È davvero uno spettacolo unico, questa Venezia così amata da tanti scrittori che ne hanno fatto spesso l'ambiente per storie d'amore o di avventura. Immagino le emozioni che potesse provare uno straniero dei secoli passati che arrivava qui per la prima volta e si avvicinava da terra, a piedi, a passi lenti, verso questa visione così suggestiva con qualsiasi clima e in qualsiasi stagione.

Dal ponte entriamo a Venezia e andiamo al Tronchetto dove ci aspetta il battello per portarci tutti verso l'isola della Giudecca. Il Tronchetto è un parcheggio costruito negli ultimi anni su uno spiazzo che è stato completamente rubato alla laguna. Alla discesa dal pullman ci aspetta il Presidente dell'APT di Venezia, Morandina, con le sue collaboratrici, una più graziosa dell'altra. Si va a piedi verso il pontile dov'è attraccata la barca che ci deve accompagnare. Sorpassiamo una fila di turisti giapponesi che sono in attesa ordinata della loro barca un po' in ritardo. Ci guardano un po' stupiti che li precediamo!

Via in barca sul canale della Giudecca. L'acqua attorno a noi sembra quasi voler entrare in barca, ma ci sono quei trenta - quaranta centimetri che ci tengono più in alto e ci proteggono mentre i nostri piedi sono nettamente sotto il livello dell'acqua. Erano parecchi anni che non venivo a Venezia e mi ero dimenticato questa sensazione strana di penetrare nell'acqua osservandone le increspature mentre l'effetto ottico te le fa sentire appena sotto il naso.

Il canale della Giudecca ha una profondità tra i dieci e i dodici metri e può essere percorso, unico tra i canali di Venezia, anche da navi un po' più grosse di questi traghetti per il trasporto locale.
L'isola che sta dall'altra parte del canale è la Giudecca. Una volta si chiamava Spina Longa perché vita dall'alto ha la forma stretta e allungata che la fa assomigliare a un'enorme spina di pesce. Poi fu chiamata Giudecca. Esistono due versioni sull'origine di questo nome, una di tipo linguistico propriamente veneziano, deriva dal fatto che nel secolo nono furono assegnati dei terreni di quest'isola, come risarcimento, ad alcune famiglie nobili veneziane che erano state "zudecà" o "giudicate" e poi mandate in esilio. In effetti è proprio da questo periodo storico che l'isola comincia ad avere insediamenti nobiliari mentre in precedenza era stata abitata solo da pescatori. L'altra, più verosimilmente storica, ma non documentata, trae origine dalla circostanza che i primi ebrei o "giudei" che arrivarono a Venezia prima del 1300, si insediarono in questa isola.

Mentre si passa Sacca Fisola, l'isola più piccola vicina alla Giudecca, osservo la riva sinistra del canale e rivedo i quadri del Cataletto, i suoi scorci assolati, gli stessi colori dei palazzi che si riflettono sull'acqua chiara di questa mattina limpida, con un'aria tersa che ricorda la primavera.
Eccoci arrivati. Sbarchiamo alla Giudecca.


Il Molino Stucky

La prima meta è il cantiere all'interno del vecchio Molino Stucky. È un edificio imponente, a sette piani. Assomiglia parecchio nella sua struttura esterno ai Magazzini del Cotone restaurati dopo l'intervento di Renzo Piano nel Porto Antico di Genova. Sono i mattoni rossi che ti colpiscono. Il cantiere è nella sua fase finale. L'esterno è stato ripulito dai segni del tempo, ma conserva la sua struttura originaria, di quando era un vero mulino per la macinatura delle granaglie che arrivavano a Venezia via mare. L'idea di adibire quest'isola a sede di un mulino fu di Giovanni Stucky, svizzero di nascita, ma di origini veneziane, che già nel 1833 pensò di sfruttare l'acqua per il trasporto del grano, molto più veloce che la via di terra. Di qui la farina veniva distribuita sulla terraferma.

Il mulino divenne ben presto una fabbrica continua, funzionante 24 ore su 24 e ampliato nel tempo più volte. L'ampliamento del 1895 fu affidato all'architetto Ernest Wullekopf, autore della facciata neogotica dell'edificio. Giovanni fu ucciso nel 1910 da un proprio dipendente. Da allora il figlio Giancarlo non fu all'altezza del genitore, non rinnovò i macchinari, non contrastò la concorrenza e all'inizio del secondo dopoguerra chiuse i battenti e la struttura fu abbandonata a sé stessa. Oggi è di proprietà della società dell'Acqua Pia Antica Marcia, che nel 1998 ha ottenuto la concessione di recuperare tutta l'area. L'opera di ristrutturazione ha riguardato l'interno, che è stato trasformato in un albergo di lusso, affidato in gestione alla società Hilton con un accordo di franchising. L'area di intervento si estende su 7.500 metri quadrati e potrà ospitare nel suo centro congressi fino a 2000 persone. L'albergo, inaugurato nel mese di giugno 2007, conta 380 camere, di cui 100 executive rooms e 50 suites. Il top è la suite presidenziale di 250 metri quadrati su due piani, tipo doppio attico sulla laguna. Infine una terrazza panoramica al settimo piano da mozzafiato, sala da the, centro fitness con sauna, idromassaggio, solarium e beauty farm. Oltre al molo di attracco privato, l'ultimo piano prevede un ristorante e un bar esclusivi, con vista sulla città vecchia.

In tutto il complesso si prevedono ben cinque, tra ristoranti e bar: il raffinato Aromi Restaurant & Terrace, con tavoli anche in terrazza, Il Molino Restaurant, in due edifici originali nel cuore dell'hotel, per oltre 200 persone, lo Skyline Bar per conquistare una donna ubriacandola della vista mozzafiato su Venezia dall'alto dei suoi venti e passa metri, il Rialto Bar & Lounge. A gestire la ristorazione lo chef Franco Luise, nato a Padova, cresciuto a Venezia e di nonna veneziana, con un'esperienza trentennale di grandi cucine stellate, sostenitore di una cucina naturale e di territorio, con utilizzo di prodotti locali freschissimi e di qualità. Dunque cucina di pesce e di tradizione, per gourmet raffinati e accompagnata dai grandi vini locali, per un abbinamento perfetto.

Il cantiere è grandioso. Oltre all'ex-mulino comprende gli edifici di stoccaggio delle farine, i silos e gli ex-uffici dello stabilimento, oltre all'ex-pastificio. I pavimenti ricoperti di marmo sono circa due ettari di superficie e altrettanti quelli coperti a moquette. In tutto il complesso sono stati installati 22 ascensori.
Visitiamo il cantiere a gruppetti, anche per non disturbare troppo gli operai al lavoro che devono sistemare i dettagli dell'arredamento con precisione.

Mi ritrovo su uno dei 22 ascensori da solo fra sette donne. Mi accorgo di osservare i particolari di ogni volto, a dieci, venti centimetri di distanza dal mio sguardo, i riccioli con gli sprazzi di luce di alcune, gli occhi profondi di un'altra, , il collo rosa e profumato di una terza, le guance di un'altra ancora e a un certo punto avverto come una sensazione di timore, come lo spettatore al cinema davanti a un primo piano gigante del viso di una donna come ce ne sono tante. All'improvviso mi sento Mastroianni / Snaporaz (in riminese: solo un poveraccio) nel film di Fellini "La città delle donne". Prima che emergano altre fantasie l'ascensore si ferma e siamo al settimo piano.

Andiamo a visitare la suite presidenziale, quella da 14.000 Euro a notte. È un attico su due piani di 250 metri quadrati. Gli operai stanno finendo di costruire alcuni mobili nella parte superiore della suite.
La vista è indescrivibile. Solo venendoci uno si rende conto della bellezza e dell'unicità di questo edificio. La stessa vista si gode dalla terrazza annessa al bar di questo settimo piano. San Marco è qui davanti e tutta Venezia è sotto di noi, tranne qualche campanile. Il tempo poi oggi è qualcosa di fantastico. Un sole tiepido scalda l'aria invernale e la natura sembra già essersi risvegliata con i colori dei prati in lontananza, con gli uccelli che volano sopra la laguna in lontananza.


La Giudecca e alcune sue bellezze

Scendiamo a piedi dallo Skyline bar per i sette piani di comodissime scale ricoperte di cartoni per la protezione dei marmi ancora vergini. Lungo la banchina della Giudecca andiamo a visitare la Chiesa del Redentore, tra la Fondamenta di San Giacomo e la Fondamenta della Croce, davanti al Campo del Redentore. La nostra meta è l'orto del Deserto, dietro la chiesa, un gioiello di coltivazioni con ulivi, cipressi, piante aromatiche, rosmarino, ciliegi già pieni di fiori rosa, la carciofaia di San Erasmo e viti, che danno un vino che sa di salmastro, molto curioso e particolare. Sul fondo dell'Orto un chiostro da cui si vede la laguna con la sue isole meridionali. A fianco del canale navigabile, delimitato da lunghi pali che affiorano dall'acqua e segnano la strada sull'acqua, si vedono qua e là allevamenti di cozze o peoci e di vongole. Vicino al chiostro esiste ancora l'antica Cavana, sia casa di pescatori, sia ricovero delle barche.

Ritorniamo sul campo del Redentore per ammirare la facciata della Chiesa, terminata a fine 1500 da Antonio Da Ponte ma disegnata e avviata dal grande Andrea Palladio. Fu il Senato della Repubblica, nel 1576, a ordinare la costruzione di una chiesa dedicata al Redentore per esorcizzare la pestilenza che dal 1975 aveva colpito Venezia e continuava a mietere vittime. La prima pietra fu depositata nel maggio del 1577 e nel luglio dello stesso anno Venezia era dichiarata libera dal contagio. La terza domenica di luglio del 1578 si celebrava solennemente la prima ricorrenza della liberazione dalla peste. Fu steso un ponte di barche sul Canale della Giudecca, dall'Ospedale dello Spirito Santo alle Zattere e dietro al Doge si sviluppò la processione fino alla Chiesa. Ancora oggi la festa del Redentore è una delle più sentite dal veneziani della città e del circondario.
Dal campo del Redentore ci spostiamo verso l'hotel Cipriani, il cinque stelle lusso della Giudecca, che apre oggi per la nostra visita.

Nei cortili all'interno del Cipriani esiste una bella vigna di bianco e rosso (prevalentemente Cabernet e Merlot) le cui uve sono vinificate a Gaiole in Chianti e danno un vino salso interessante. Lo chiamano Casanova, questo vino, in ricordo del giovane Giacomo che passava in questo campo per visitare il convento delle Zitelle qui vicino. Come racconta nelle sue memorie c'erano a Venezia almeno diecimila cortigiane, che egli descrive così dettagliatamente insieme alla Giudecca e ai suoi "padiglioni". Il complesso delle Zitelle è il nome popolare della Chiesa di Santa Maria della Presentazione e dell'ospizio per giovani povere annesso alla chiesa.
All'interno del Cipriani è stato preparato un buffet attorno alla piscina. Al saluto degli assessori all'agricoltura e al turismo della Provincia di Venezia e del Direttore dell'hotel, Signor Rusconi, segue un assaggio di vini del territorio, abbinati agli spuntini sui vassoi che escono dalle cucine.

Eccellente il Musacardo biologico, un Sauvignon molto aromatico, di un bel colore giallo dorato vivo e brillante, esuberante al naso e sapido e di buon corpo in bocca per i suoi dodici gradi alcolici, con un retrogusto di fiori e note minerali evidenti. Buono anche il Tocai di Mòsole, di colore giallo paglierino e naso fine e delicato che esplode in bocca con un corpo pieno e un leggero squilibrio finale dato da una nota amara un po' troppo accentuata.


Il Galeone dei Pirati

Dall'Hotel Cipriani raggiungiamo la Fondamenta di Sant'Eufemia dove ci aspetta un galeone con veri pirati, con il fazzoletto sulla testa, l'occhio bendato e il pugnale al fianco. Ma sono pirati gentili. Ci hanno preparato un buffet ricco sulla loro nave e ci porteranno in giro per la Laguna delle isole minori, mentre seduti sulle panche all'interno del Galeone, alcune vicine alla Cambusa, potremo saziare i nostri appetiti.
Fiamminghe di risotto fumante e piatti di pesce fresco sono preparati sul tavolo al centro del Galeone. Si comincia con uno spumante brut Savian e assaggi di crostini con crema di baccalà, alici marinate col limone, sarde in saôr squisite, moscardini, saporiti neretti con olio e limone, vongole e peoci all'aglio. Altri vini da abbinare a questi antipasti e poi agli altri piatti, il Lison Classico La Fassinella, il Pinot Grigio Collovini, il Sauvignon Terre Piane, il Merlot di Casa Geretto per chi ama il rosso, oppure il Refosco dal peduncolo rosso di Borgo Stajnbeck, o anche il Cabernet Franc Bervini. Poi si comincia con i primi, una polenta bianca, uno squisito risotto al nero di seppia. A seguire delle ottime seppie in umido ancora calde fumanti. Per finire i dolcetti secchi con Verduzzo spumante Il Moletto.

Mentre i Pirati ci rifocillano il Galeone costeggia l'isola di San Giorgio, San Servolo, San Lazzaro degli Armeni e arriva fino all'Aeroporto Nielli, punta estrema del Lido. Ecco ancora l'Isola della Certosa: con i resti del chiostro dell'antico convento, gli alberi ad alto fusto e una piccola radura nella zona Nord. Una delle più affascinanti, anche dal punto di vista storico, è l'Isola delle Vignole l'antica Biniola o isola "delle sette vigne". Era uno dei luoghi privilegiati di villeggiatura degli abitanti di Altino prima e poi di Venezia. I latini la apprezzavano moltissimo, tanto che Marziale ricorda la magnificenza delle delle ville, che superava quelle di Pozzuoli. Si intravedono una piccola cappella e un campanile, ciò che rimane di una chiesetta costruita nel settimo secolo. Infine costeggiamo San Erasmo i cui abitanti erano specializzati nella produzione di carciofi e uve il cui vino ha un sapore salmastro del tutto particolare. Sull'isola il governo napoleonico alla caduta della Serenissima, dopo il 1797, aveva costruito il forte di San Erasmo, che faceva parte di una linea di fortificazioni della città e non si può non notare la Torre Massimiliana appena restaurata.

La delicatezza della laguna con i suoi colori tenui, con la calma dei paesaggi delle isole minori, il procedere lento sull'acqua silenziosa facevano da cornice al nostro breve viaggio fino all'attracco del molo dove ci aspetta l'autobus per riportarci in albergo scivolando lungo le strade interne della laguna nei colori pastello del tramonto invernale. Tocchiamo ancora con lo sguardo San Francesco del Deserto, Burano, Torcello e Santa Cristina per concludere la nostra navigazione fino a Preporti, dove ci aspetta il pullman per un breve rientro in albergo.


L'Azienda Ai Galli

Si riparte dall'albergo per la visita alla "Ai Galli". Al centro del territorio fra il Livenza a ovest e il Tagliamento a est, a Pramaggiore, questa bella cascina di nuova costruzione, ben attrezzata, ci ospita per un assaggio dei suoi vini e una visita alle cantine. Elide Buziol e il marito hanno iniziato la loro produzione negli anni '80 e oggi gestiscono questo moderno complesso dedicato alla produzione del vino con circa 50 ettari di vigneto. Hanno iniziato con il rinnovo dei vigneti, piantando barbatelle a una densità da 3.000 a 5.000 ceppi per ettaro. Poi hanno rinnovato la cantina e le attrezzature.

Visitiamo subito le cantine, ampie, pulitissime, in cui nascono e si affinano i vini bianchi e rossi dell'azienda. Vasi vinari in cemento vetrificato e in acciaio, e poi una barricaia con una trentina di fusti per una produzione annua di circa 500.000 bottiglie. L'impianto di imbottigliamento ed etichettatura può lavorare fino a 16.000 bottiglie l'ora. Nella sala degustazione al primo piano della casa Giampiero Rorato ci racconta l'evoluzione della vite in queste zone. Al tempo dei Romani i vitigni conosciuti e coltivati erano il "picim omnium nigerrima", da cui discendono il Refosco e il Terrano, e il "pucium" da cui deriva il Prosecco. Altri vitigni autoctoni sono il Raboso e il Tocai, che per motivi amministrativi non può più essere chiamato con questo nome e si sta proponendo di chiamarlo Lison.

I vitigni attualmente più diffusi, come il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc, il Merlot, lo Chardonnay, sono stati importati dalla Francia dopo l'inverno successivo alla disfatta di Caporetto, quando le popolazioni locali, per scaldarsi durante l'inverno rigido, hanno dovuto tagliare gran parte delle viti che crescevano nella pianura veneta. Dei vitigni attualmente coltivati il Cabernet Franc è il più produttivo, seguito dal Carmener, che gli assomiglia. Dello Chardonnay in azienda ci sono solo 5 ettari. Inizialmente era chiamato erroneamente Pinot bianco, poi fu riconosciuto come Chardonnay dopo un confronto ampelografico e strutturale.
Iniziamo la degustazione che è preceduta da una distribuzione di un assaggio di baccalà mantecato, importato qui dalla cultura spagnola e portoghese. Viene conservato sotto sale, alla romana.

Il primo vino in assaggio è uno Chardonnay Ai Galli Lison Pramaggiore DOC 2006 di 12,5 gradi, dal lotto 126, di colore giallo paglierino limpido e brillante, al naso esuberante nei profumi floreali e fruttati di ananas e frutti esotici, con evidenti note minerali e sentori di crosta di pane. In bocca è armonico, equilibrato e persistente, di buon corpo. Al fruttato maturo e alle sensazioni di note minerali si accompagna un retrogusto di mela verde e mandarlo che ne fanno un vino di eccellenza. Il vino successivo, un rosso, lo accompagniamo alle frìtole, il tipico dolce veneziano che viene fritto con il grasso delle oche "incoconate" o ingozzate, perché sembra che siano più leggere in quanto non assorbe il grasso.

La tradizione delle oche da ingrasso, con cui i francesi fanno il foie gras, sembra risalga addirittura agli antichi egizi, che le costringevano all'immobilità con la tecnica barbara e odiosa di inchiodarne al terreno le zampe palmari. Ma veniamo al vino, il Probus, un Lison Pramaggiore DOC 2002 di 14 gradi, dal lotto 11-6. Si ottiene con 60% di Merlot e 40% di Cabernet Franc ed è affinato in barrique. Al Vinitaly 2005 ha vinto il diploma di gran menzione del 13° concorso enologico internazionale.

Il colore è rosso rubino pieno e brillante, con lievissime note aranciate sull'unghia. Al naso sentori di frutti rossi maturi si accompagnano a note piacevolissime di cioccolato. In bocca si rivela per un vino di buona struttura, caldo, armonico, equilibrato. Dà discreta salivazione, indice di freschezza e giovinezza. Al retrogusto si avvertono la prugna matura e i frutti rossi.


La cena al Barco

Al termine della degustazione risaliamo sul bus per spostarci all'Hotel Ristorante Al Barco, per una cena tipica veneta. Siamo a Corbolone, frazione di San Stino di Livenza. La casa è a due piani e da fuori ha l'aspetto e il fascino della vecchia casa di campagna rimessa a nuovo. Presiede la cena, al piano superiore del ristorante, il presidente del Venezia Wine Forum, il professor Vasco Boato, responsabile anche della scuola enologica di Conegliano Veneto. Parla dei programmi attuali e futuri del Forum e si dice pronto a lasciare il posto a un giovane che possa validamente sostituirlo, riferendosi ovviamente a uno dei presenti, che ricopre già importanti cariche. Siamo a tavola con Carlo Paladin e altri soci della strada del vino, gente aperta e simpatica, che ti mette a tuo agio.

Porge un caloroso saluto anche l'assessore al turismo della Provincia di Venezia Danilo Leonardelli che sottolinea il legame tra Venezia e il suo territorio, dotati entrambi di straordinaria bellezza, di un solido carattere e con un forte vincolo tra acqua e terra, per una reciproca valorizzazione.
Un apprezzamento particolare alla bella Tania, testimonial della strada dei vini, imbarazzata dai complimenti e dagli sguardi ammirati di tutta la sala. Una cascata di capelli neri su un corpo da modella e un viso che ricorda le madonne di Raffaello o di Leonardo.

La cena inizia con uno spumante di Genagricola, Tenuta S.Anna a base Pinot bianco e Pinot grigio, metodo Charmat, che accompagna gli antipasti, la soppressa "de casa", il formaggio "cot" e il radicchio "trevisan".
Mentre assaggiamo Carlo racconta le sue etichette e ci parla di Fabrizio Plessi, un artista veneziano che opera nell'isola di San Servolo, nell'ex manicomio adibito a residence per studenti.
Il primo piatto è pasta e fagioli "da misiar coi radici e un fìà de oio, aseo e pevare", cui si abbina un Tocai italico / Lison Classico La Braghina 2006, di 13 gradi, dal lotto B0170524, in cui spiccano i sentori minerali e floreali e in bocca si rivela di buon corpo e con un retrogusto leggermente amarognolo che ben si sposa con il piatto.
Il secondo piatto è la faraona al forno "col tociet e a poenta", insieme a verdure "cote" e le patate al forno.
Per dolce una deliziosa crostata "de pomi e mandoe e nosee".

Questa sera abbiamo bevuto proprio bene con Casa Geretto che ha proposto "Le vigne di casa", un Lison Pramaggiore DOC 2005 di 12 gradi, risultato di un uvaggio di Cabernet Franc al 60% e Cabernet Sauvignon al 40%. Altri vini proposti in abbinamento il Bosco del Merlo di Annone Veneto con il Vineargenti Plessi, Rosso delle Venezie IGT 2000 di 13 gradi, un uvaggio di Cabernet al 60% e Refosco al 40%, dal lotto ST40000. Il colore è rosso rubino con riflessi aranciati sull'unghia. Al naso è tipico il vegetale, di media intensità, fine e persistente. In bocca è armonico, pieno e persistente, abbastanza fine ed equilibrato e lascia un retrogusto di amarena e prugna. Perfetto con la faraona al forno.

Con la crostata è proposto il Verduzzo Le Carline, Veneto IGT bianco dolce, di 13 gradi, con un delicato sentore di miele di castagno e retrogusto piacevole di miele. Come curiosità assaggiamo un bianco salso dell'azienda Santa Cristina 2003. il 2003 è l'ultima annata in cui si sente il sale nel vino. Le annate successive sono state ottenute dopo lavori di incanalamento di acque dolci nei terreni della vigna, per attenuare la sensazione di salso. Il vino è un Ammiana rosso del Veneto IGT, ottenuto da vigne dell'isola Ammiana in Venezia. Un vino di 13 gradi dal lotto L358. La cena deliziosa e la piacevole conversazione hanno fatto venire le ore piccole. Si torna sul bus per il trasporto all'albergo. Domani ci aspetta un'altra giornata di visite e assaggi.


Sabato 10 Marzo 2007
A Portogruaro

Ancora una giornata di sole. Mi alzo di buon ora e osservo dalla finestra il cielo. È limpido come un bianco di Lison Classico. Colazione veloce in albergo e via con il bus e la guida attraverso la strada del vino e le sue meraviglie. Oggi si va a Portogruaro lungo la Triestina. Appena usciti da San Stino si passa vicino alle Cantine Geretto. La campagna è viva e rigogliosa. A destra la campagna bonificata, a sinistra quella disboscata. Ora è tutto un vigneto. Incontriamo alcune delle aziende socie: Boschetto, Teracrea, la Braghina, Mazzolada.
Arriviamo a Portogruaro, sugli scavi dell'antica Concordia Sagittaria. Ci fa da guida Mariangela.

Attraversiamo a piedi il giardino del Parco della Pace, annesso alla Villa Comunale cinquecentesca, già proprietà degli Stucky di Venezia e poi Marzotto. Sono tre ettari di parco con piccoli sentieri per attraversarlo e ospita il Museo Paleontologico con fossili provenienti dal Veneto e dalla Carnia.
Con Mariangela arriviamo in un attimo in Piazza della Repubblica, sede del Municipio per il saluto del sindaco Antonio Bertoncello, che però è assente per altri impegni. Al suo posto ci riceve l'assessore al turismo Giorgio Barro.

Mentre l'assessore ci dà il benvenuto e ci racconta della fiera di maggio in cui vi sarà un convegno su vino e territorio con la cerimonia del gemellaggio con Bordeaux e Porto, ammiriamo l'interno di questa splendida Loggia Comunale, costruzione gotica in mattoni che risale al 1284, rifatta a fine 1300 e completata nelle parti posteriori all'inizio del 1500. interessante la facciata con merlatura ghibellina con una finestra trilobata e un'ampia scala ad angolo in pietra bianca. I cinque blocchi di marmo scolpiti ai piedi della scala provengono da un ponte sul Lèmene, il fiume che attraversa Portogruaro. Di fronte al palazzo un pozzo risalente alla fine del 1400, del Pilacorte, sormontato da due gru in bronzo, che simboleggiano la città. Al centro della Piazza il monumento ai caduti della prima guerra mondiale di Gaetano Orsolini.

Intanto Mariangela ci racconta le origini della città. Portogruaro nasce come un porto fluviale sul fiume Lèmene, un corso d'acqua risorgiva che nasce nella bassa friulana e sfocia a Caorle.
La tradizione vuole che la città nasca nel 1140 come atto di donazione da parte di Gervino, vescovo conte di Concordia Sagittaria a "portolani" e "negotiatori" di un territorio chiamato Ponte di Covra con il diritto di costruire case sulla riva sinistra del fiume. La radice del nome sembra sia "groa", palude o laguna in latino. Dalla stessa radice deriva il nome gru, o uccello di palude. Le due gru compaiono anche nello stemma della città a fianco della Torre Campanaria. Intanto ci spostiamo sotto alla piazza, sulla riva del fiume, ad ammirare i due mulini rimasti. È uno scorcio affascinante, con l'acqua che fa girare le ruote di ferro, che oggi non sono più collegate agli ingranaggi delle macine. I mulini sono diventati sede di una Galleria di Arte Contemporanea. Il paesaggio è arricchito dalla tipica fauna fluviale, papere e piccioni in superficie, trote e altri pesci d'acqua dolce nell'acqua.

Sulla riva del fiume resta la Loggia della Pescheria, dove i pescatori di Caorle venivano a vendere il pescato, e il bellissimo Oratorio della Pescheria, in legno lavorato. L'oratorio risale al 1648. Fu costruito su permesso del Podestà di Caorle e dedicato alla Vergine delle Grazie, rappresentata su un affresco del 1627.
La città fu anche il territorio preferito da Ippolito Nievo che nelle Confessioni di un Italiano racconta l'infanzia di Carlino, il protagonista. Mentre percorriamo Via della Mercanzia Mariangela ci legge proprio un brano del libro che descrive la strada e la vita di allora e apparentemente nulla sembra cambiato. Passeggiamo verso sud tra i banchi degli artigiani fino a Porta San Giovanni, quella della Torre, già Porta Banni nel 13° secolo. Passano donne in bicicletta con la borsa sulle ruote, qualche cane randagio scodinzola frettoloso, pedoni e carrozzine con bimbi che "ciàcoano", angoli di palazzi che sembra di stare a Venezia e qui si vede l'influenza della Repubblica Veneta sulle costruzioni del 1500 e del 1600.

Si torna verso Torre Sant'Agnese per Via del Rastrello. Il rastrello era una forma di difesa molto usata anticamente e consisteva in una catena che si faceva scendere sotto i ponti per chiudere l'accesso via acqua alla città. Si notano lungo il fiume, gli accessi all'acqua dal retro dei palazzi, tramite porte che sembrano inutili, ma che invece servivano per caricare e scaricare merci, o per salire direttamente in barca per gli spostamenti sul fiume.

A Torre Sant'Agnese visitiamo il Museo della Città, che raccoglie pàtere, dischi in pietra o marmo per decoro o protezione scaramantica odi lotta tra il bene e il male o simbolo di amicizia o comunque di significato allegorico.
Si risale poi per Via Cavour, una volta "strada dei Siori". Vecchi cancelli in ferro lavorato danno un senso di armonia ed eleganza. Colonne in pietra decorate, bifore, trifore testimoniano i segni del tempo e i rumori di artigiani in qualche bottega accompagnano la nostra passeggiata nei secoli.
Imbocchiamo il percorso sulle rive del Lèmene, voluto dal Comune per valorizzarne le bellezze naturali. Due giganteschi platani a V e qualche scultura moderna, come il giavellotto in acciaio, proteso verso il cielo, fanno da corona alle panchine, che consentono di sostare a godersi il flusso sornione dell'acqua, che scende lentamente verso il mare.

Ritorniamo sulla strada per ammirare la curiosità di Villa Squadra - Della Frattina. La villa ha un porticato con colonne che poggiano su basi a forma di rombo e non quadrate. Questa eccentricità è dovuta alla volontà dei Della Frattina che hanno contribuito finanziariamente alla costruzione della Villa e hanno così voluto sottolineare che il porticato era "fuori squadra" in quanto l'altra famiglia non aveva le risorse necessarie.


Azienda Stajnbeck

Lasciamo Portogruaro e Mariangela per l'ultima visita. Saliamo sul bus e ci dirigiamo verso il Friuli. Si passa il Règhene verso Cinto Caomaggiore, si costeggia il cantiere dove sorgerà la mostra dei vini ed enoteca regionale. Il paesaggio si alterna tra fornaci abbandonate, laghetti, alberi già fioriti di rosa e di bianco. Dopo Pramaggiore di nuovo vigneti e una bella e comoda pista ciclabile a lato della strada, villette nuove con tanto prato intorno, qualche vecchia villa recuperata al degrado del tempo.

Oltrepassiamo la Cantina Sociale di Pramaggiore, che fa parte del gruppo Cantine di Jesolo, e ancora l'Azienda Musaragno, al 100% coltivazione biologica con eccellenti vini e riprendiamo la strada verso Belfiore, rivediamo l'Azienda Ai Galli. Ancora vigneti e zona di ripopolamento faunistica.
A Belfiore di Pramaggiore intravediamo il Molino della Pasqua con il Museo della civiltà contadina, prima dell'ultima sosta all'azienda Borgo Stajnbeck e all'azienda vinicola Valent.

Il nome dell'azienda non è una storpiatura del nome dello scrittore americano ma richiama una mappa del Coronelli del 1696 in cui sono segnati gli "Stagni bech". Il luogo fu rimappato dagli Austriaci nel 1815 in "Stainbach" o ruscello delle pietre. Il nome Valent invece risale a una pietra miliare che delimitava un territorio come "Pagus Valent." (probabilmente abbreviazione di Valentinianus). Anche Giuliano e la moglie aprono la loro cantina a mostre artistiche, a brevi spettacoli teatrali, a lettura di libri, a esposizione di quadri, a spettacoli di cabaret perché a loro piace accompagnare con l'arte la promozione delle loro bottiglie.
Uno dei loro manifesti recita "Coltiviamo Armonie" e un altro "Vigne, Passioni, Amicizie".

La loro realtà è quella di produrre dei vini bianchi da bere giovani e affinare alcuni rossi per l'invecchiamento e la maturazione in una piccola barricaia di una ventina di recipienti, per non più di tre anni. Il taglio destinato all'invecchiamento è di Refosco al 70% e Cabernet Sauvignon per il 30% rimanente.
La cantina ha sia recipienti in cemento, sia in acciaio. La superficie destinata a vigneto è di 13 ettari, con una densità fino a 5.000 ceppi per ettaro per le vigne appena ripiantate. La produzione si aggira sulle 80.000 bottiglie annue. Giuliano e Signora hanno preparato un buffet con prodotti del territorio.

Il pane è stato preparato da Ezio Marinato, un signore che si è preso la soddisfazione di andare a vincere un primo premio al Concorso mondiale di Panificazione che si è tenuto a Lione, in Francia, nel Gennaio 2007. Ezio ci ha preparato pane con la polenta e pane con le patate, entrambi eccellenti. Mentre veniva servito il moscardino di Caorle al verde, Giuliano apriva dalla sua cantina del Tocai Lison Classico DOC 2005, di 13 gradi, dal lotto L0106. di questo vino ne fa 13.000 bottiglie. Il colore è giallo paglierino con riflessi verdognoli. Il naso è franco e pulito e in bocca armonico ed equilibrato con un bel retrogusto di mandorla verde.

Dopo i moscardini dei crostini al formaggio fresco con noci e Montasio di 60 giorni, poi del Formaggio Montasio di 4 mesi, media stagionatura e infine quello stagionato oltre dieci mesi. Non poteva mancare la lingua di Fabrizio Noris, servita su fette di pane casereccio e accompagnata da polenta bianca. Il salume lo considerano il padre della brontola friulana e della salama da sugo ferrarese.
In accompagnamento un Merlot Lison Pramaggiore DOC 2005 di 13 gradi dal lotto L06214, che non è passato in legno. Il vino ha un colore rosso rubino intenso e limpido. Al naso sono evidenti i sentori speziati e il vinoso di buona intensità e franchezza. In bocca unisce armonia ed equilibrio a un buon corpo e a tannini freschi per niente aggressivi per un retrogusto finale di frutti rossi di grande piacevolezza.

Altri vini assaggiati lo Chardonnay vendemmia tardiva barricato 2005, di 13,5 gradi dal lotto L0306 di colore giallo paglierino limpido con riflessi dorati. Al naso esprime sentori floreali delicati ma anche persistenti e in bocca ha una buona stoffa e una beva equilibrata e armonica. Poi ancora il Refosco Lison Pramaggiore DOC 2005 di 13 gradi dal lotto L06118. il colore rosso rubino intenso e vivo. Il naso speziato, franco e vinoso prelude a una bocca con buona acidità e corpo pieno ma non esuberante con un retrogusto di mirtilli e ribes.
Il dolce sono i Biscotti delle Abbazie, o Sbreghe con le mandorle, accompagnati da un buon passito di Verduzzo con fermentazione di 4 - 5 giorni sulle vinacce e poi affinamento in barrique.

A mescere in tavola il decano dei sommelier veneziani Guerrino Moretto e il giovane collega Luca Zuin. Guerrino oltre che sommelier è anche storico del vino e poeta e ci ha dedicato una sua composizione preparata al momento per le signore presenti, dal titolo L'amore nel bicchiere".


Le 14 D.O.C. "Lison - Pramaggiore"

Il Consorzio "Lison - Pramaggiore" comprende e tutela, nel disciplinare approvato con Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 29 maggio 2002, i seguenti vitigni:
Tocai Italico o Lison Classico D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Nella D.O.C. "Lison Pramaggiore", è prevista la specificazione "Lison Classico" per il vino ottenuto con uve prodotte nella più antica e vocata zona di produzione.
Pinot Bianco D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Pinot Grigio D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Verduzzo D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Chardonnay D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Sauvignon D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Riesling D.O.C. "Lison - Pramaggiore" e Riesling Italico D.O.C. Lison Pramaggiore.
Merlot D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Cabernet Franc D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Cabernet Sauvignon D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Refosco dal peduncolo rosso D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Malbech D.O.C. "Lison - Pramaggiore".
Verduzzo dolce D.O.C. "Lison - Pramaggiore".


Il Programma estivo

La Strada dei Vini DOC Lison Pramaggiore propone, da giugno a settembre, una rassegna estiva in cui la musica, il teatro , lo spettacolo e l'arte rendono omaggio al vino e al cibo. Ad ogni spettacolo segue una degustazione di vini e un buffet di piatti tipici della zona.
Questo il programma delle serate estive presso le aziende:
Venerdi 15 giugno - Azienda Agricola Ai Galli Concerto "Miti e Leggende"
Mercoledì 4 luglio: Azienda Agricola Principi di Porcia e Brugnera Spettacolo Teatro Danza "Salute, mia Regina"
Giovedì 12 luglio: Tenuta S.Anna Concerto "Arie Barocche e Canzoni da Battello"
Venerdi 27 luglio: Agriturismo Sette Sorelle "Boni Zocui e Boni Brocui" Compagnia Teatrale "Il gallo" di Corbolone In dialetto veneto
Giovedì 2 agosto: Az. Vitiv. Borgo Stajnbech "L'Ottocento in Musica":
Venerdi 31 agosto: Casa Gianotto - in collaborazione con il Comune di Annone Veneto (VE) Concerto Jazz: "L'improvvisare di vino"
Venerdi 14 settembre: Hotel Ristorante Al Barco Mostra d'Arte Contemporanea.
Altre manifestazioni pianificate per i prossimi mesi:
La Mostra dei Vini di Corbolone, (a metà settembre) all'interno della quale si svolge anche il concorso "Marengo d'Oro".
Incontri a tavola con i vini DOC Lison-Pramaggiore (in autunno) o Vini dei Dogi
Rassegna del Novello a Portogruaro nell'ambito della fiera di S. Andrea (a fine novembre)
Fiere e sagre locali (Annone, S. Stino di Livenza, Caorle, Pramaggiore), soprattutto nel periodo settembre-ottobre.


Il commiato

Ormai si è fatto tardi e riprendiamo la strada di casa con il cuore pieno di bei ricordi, la mente su Venezia e il suo splendido entroterra e il proposito di tornare senz'altro in questi luoghi così pieni di vita e di cose buone. Il viaggio è lungo ma senza intoppi e ci accoglie a sera la Lanterna con le luci del porto che la circondano.

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Luigi Bellucci

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Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...

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