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Viaggi enogastronomici

Allegrini e la Galzèga: Verona e Valpolicella (Prima Parte)

di Luigi Bellucci

MappaArticolo georeferenziato

Le emozioni non finiscono mai, in questo meraviglioso e incomparabile mondo del vino. Questa che sto per raccontare è solo l’ultima, in ordine di tempo, ma è di sicuro tra quelle che si ricordano più a lungo e che rimangono impresse a fuoco nella memoria, come il marchio a fuoco sulla pelle delle pecore sarde o delle mucche nel far west americano di fine ottocento. Emozioni legate a una terra, a un luogo, a una famiglia, a un vino, a una festa.

La terra è quella veneta, del nord ovest veronese verso il lago di Garda, quello dell’Amarone, per intenderci.

Il luogo è Villa della Torre e la sua magia storica e ambientale, ma soprattutto le vigne che la circondano per come sono coltivate e per quello che trasmigrano dalla terra ai grappoli e ai singoli acini.

La famiglia è Allegrini, che nasce come azienda a Fumane di Valpolicella nel 1854, ma che dal punto di vista enologico nasce con Giovanni, nella prima metà del 1900 e poi prosegue con i tre figli, Walter che si occupa dei vigneti e che scompare prematuramente lasciando un validissimo sostituto nella figlia Silvia, Franco, l’enologo, un profondo conoscitore del territorio, della vinificazione, della qualità che si deve trasferire nel vino, e infine Marilisa, quella che ha una marcia in più in termini di entusiasmo, di gioia di vivere, di capacità manageriali e di marketing.

Vedi anche Allegrini e la Galzèga: Grola e Poja a Fumane di Valpolicella (Seconda Parte)
Vedi anche Allegrini e la Galzèga: Hemingway, Lessinia e Baldo a Villa della Torre (Terza Parte)

Il vino è quello buono, che ti ricordi perché se lo hai bevuto ti ha toccato le corde giuste, che ti dà piacere da giovane, ma anche dopo dieci o venti, o cinquant’anni perché è ben fatto e lo senti sempre fresco e pieno e armonico e piacevole. Il nome del vino può essere Amarone, ma anche Brunello o Chianti o Toscana IGT o vino da tavola, non importa. Tu senti solo che è buono e va giù bene e ti dà piacere e benessere. Per la famiglia e i loro vini parlano i fatti, parlano le vendite e i fatturati, che nonostante la crisi che attanaglia il mondo occidentale tutto, a cavallo dell’Atlantico ma anche quello orientale, in misura minore, sia nel 2010, sia nel 2011, si incrementano di una percentuale a due cifre, e così si prevede anche per l’anno in corso. Un’azienda che dal 1989, sei anni dopo la morte di Giovanni, continua a investire nel mondo del vino di alta qualità. Ai possedimenti storici di famiglia si sono aggiunte nel tempo quelli attorno a Fumane, con Villa della Torre e dintorni, poi la tenuta di Naiano sede del marchio Corte Giara, vicino al Lago di Garda,  l’azienda Poggio al Tesoro a Bolgheri (sì, quello dei cipressi carducciani) e infine San Polo a sud est di Montalcino.

La festa è quella della Galzèga, una festa dove si mangia e si beve, si danza e si canta, si recita e ci si diverte per festeggiare la fine della vendemmia, nel nostro caso, ma può essere la fine del raccolto dei campi o la fine della costruzione di una casa. Una festa che mi ha ricordato la Panarda abruzzese, come l’avevo vissuta nel lontano 2007 nel pescarese (Vedi Gli eroi d'Abruzzo e la Panarda  e anche Abruzzo - Sono sopravvissuto alla Panarda).

Franco e Marilisa e tutta la loro famiglia si sono prodigati per tutta la giornata di sabato 17 novembre per farci percorrere insieme a loro i sentieri più significativi del territorio, farci visitare il vigneto della Grola, con la Corvina, la Rondinella e il Corvinone, farci toccare le foglie delle viti della Poja, il loro cru di tutta Corvina, farci salire fino ai 500 metri della nuova vigna a Villa Cavarena dove matura il Syrah con le nuove tecniche di agricoltura “sostenibile” ideate da Franco per migliorare ancora, se possibile, la qualità dei loro vini e dove si gode di una vista a 360 gradi su tutto il veronese, da Negrar e Marano verso Est a Sant’Ambrogio e Volargne verso Ovest, fino al Lago di Garda, che si vede nei giorni più tersi.

Ci hanno aperto la loro casa e ci hanno ospitato a pranzo nella sala del mascherone, ci hanno inebriato con le due verticali del loro Veronese IGT, quella della Grola, con il 1997, il 1998 e il 2001 e quella della Poja, con i campioni del 1997, del 2000 e del 2001, chiuse con una delle ultime bottiglie del loro strepitoso Recioto del 2000 dal colore nero ebano.

Ci hanno infine deliziato con la recita di Alessandro, Raffaella e Tommaso che hanno cantato, raccontato, suonato per narrare la storia di Lessinia e Monte Baldo e del loro corteggiamento e del loro matrimonio concluso con la nascita della Valpolicella e del suo vino.

Dopo la recita l’aperitivo serale nel cortile della Villa con un Soave, un Valpolicella e anche un Vermentino di Toscana e una marea di stuzzichini, caldi e freddi.

Infine la cena nelle sale a pian terreno della Villa, al calore dei camini accesi con legni secchi e al calore della musica trasportata da una sala all’altra dai Sisoni, Roberto con la fisarmonica, che mi ha ricordato le mani magiche dei Grandi della fisarmonica, artisti come Wolmer Beltrami o Peppino Principe, Daniele con la chitarra e con un repertorio ricchissimo di musiche popolari, folk, rock e anche classiche e infine Mary con il tamburello a fare da accompagnamento con grazia e sensibilità tutte femminili.

Non potevamo chiudere meglio la festa che nella prima ora della domenica con il taglio a sciabola Dom Perignon delle bottiglie di Champagne Pierre Peters Propriétaire Récoltant, recente acquisizione Allegrini,  nelle versioni extra brut e Reserve da parte di Ivano, miglior sommelier italiano del 2008.

Ma ora chi vuole può scorrersi le cronache di viaggio

 

Venerdì 16 Novembre 2012

 Palazzo Victoria

 Erano decenni che non viaggiavo più in treno tra Genova e Milano. Ci torno oggi pomeriggio per arrivare a Verona in serata. Fino a Lambrate tutto ok. Da Lambrate prendo il regionale veloce (così lo chiama Moretti, ma non si vede la differenza sostanziale tra il regionale e l’Intercity) che tocca Brescia, Verona e arriva fino a Venezia. Non lo ricordavo così strapieno (si fatica a salire per la gente ammassata nei corridoi e nelle piattaforme di salita e discesa) e almeno fino a Chiari non scende praticamente nessuno. Poi per fortuna si libera qualche posto e riesco a sedermi. Arrivo a Verona con venti minuti di ritardo e di qui in taxi fino in centro, al Palazzo Victoria, al numero 8 di Via Adua.

Poso i bagagli ed esco a fare due passi per il centro, da Porta Borsari a Piazza delle erbe, poi Via Mazzini, l’Arena e piazza Bra, Via Roma e Porta Palio, e torno per il Castelvecchio e Via Cavour.

È bello passeggiare per questa città antica e storica, che non ha nulla di meno di Firenze, che mi sono goduto la settimana scorsa. Squisita la gentilezza dei negozianti cui chiedo informazioni, come il proprietario del Ristorante Castelvecchio e albergo Il Relais, al numero 21 di Corso Castelvecchio, dove mi fermo attirato dalla bellezza delle due facciate ad angolo e dell’interno elegante del ristorante dove già i primi clienti stanno cenando. Peccato che in molte strade (a parte quelle principali del centro) manchi la targa con il nome della via, per cui ti giri a destra e a sinistra per capire dove ti trovi e non vedi nulla. Evidentemente i veronesi non ne hanno bisogno, ma per i turisti e per quelli che arrivano a Verona per la prima volta, sarebbe una manna se sapessero in che strada sono.

Al rientro al Victoria, più rilassato e attento, noto come la vista diretta rende giustizia alla sua bellezza ed eleganza, molto di più di quanto non faccia il sito internet che ricordo come troppo scuro e per nulla invitante. Invece “dal vivo” apprezzi il bianco dei divani e dei tavoli bassi nella hall, la cascata continua d’acqua sulla parete laterale di fondo, la sala biliardo con le luci giuste e poi in camera l’arredo classico con mobili raffinati (a parte il kitsch della cornice finto barocco che contorna il televisore).

Da pochi mesi l’Hotel è passato nelle mani di MPg, Marcello Pigozzi e figlio, un self-made man partito dalla gavetta e con lunga esperienza imprenditoriale anche all’estero.

Decido di cenare nel ristorante dell’albergo, il Borsari 36.

L’arredamento è moderno, con sedie in plexiglass alternate a poltroncine in legno e pelle, molto più comode, oppure sedili lunghi a panca sui tavoli negli angoli più riservati.

La cucina, dove vedi Carmine Calò e la sua equipe mentre preparano i piatti, è a vista, ma senza alcuna parete divisoria, neppure in vetro, con la sala, anzi i cuochi sembrano quasi lavorare su un tavolo della sala. In realtà molto di ciò che fa il cuoco è oggi un‘attività di composizione e quasi di creazione di un quadro artistico in cui la tela è la ceramica del piatto e i colori sono le salse di verdura, di frutta, le creme di decorazione, i fondi e il suo pennello è il cucchiaino piuttosto che il sifone o la “poche” da cui escono le creme morbide.

L’aspirazione è ben progettata perché non si sentono odori in sala. La musica di sottofondo è ben calibrata e consente di parlare, anche con sussurri, senza grida, pur continuando a percepire il suono, sempre gradevole perché non invadente. Su un’altra parete della sala sono esposti i vini su un’antica cassettiera da pastai, unico pezzo rustico, insieme allo specchio ovale appeso alla colonna centrale, che danno al locale un tocco di storia e di romanticismo. Sui tavoli vasetti bianchi con rametti di rosmarino fresco e profumato, che fanno pendant con i tre alberelli di ulivo nel loro vaso.

Intanto che osservo la sala mi arrivano dalla cucina, ancora caldi, i grissini e il pane della casa, bianco, alle noci, alle olive, buonissimo nel filoncino croccante. Una cameriera mi propone un assaggio di olio col pane. Chiedo un bicchiere per un assaggio vero e, non è la prima volta, il solito olio difettato, stavolta si sente già il rancido, dietro al naso stanco e fioco. Peccato! Non mi resta che spostare in fondo al tavolo piattino e bottiglia per non guastarmi la cena.

Inizio con un appetizer di Crema di patate con uovo di quaglia “pochée” e uova di aringa. Gradevole l’accostamento, anche se la crema di patate l’avrei preferita un po’ più consistente, diciamo come l’uovo di quaglia per apprezzare al meglio il piatto.

Il piatto forte che ho scelto è il Carrée d’agnello, cotto a perfezione, con l’interno ancora rosa intenso, tenero e gustosissimo, con topinambur grigliato (un po’ in eccesso perché si sente un leggero odore di bruciaticcio che sale dal piatto).

Lo accompagno con un ottimo Valpolicella di Allegrini a bicchiere, giustamente fruttato e di rotonda armonia, che bene pulisce la bocca dal boccone di agnello e contorno.

Un pre dessert di sorbetto di ananas su granella di nocciole rompe gli otto minuti di attesa che servono a preparare la Sfoglia calda croccante con crema e amarene, da me scelta come piatto conclusivo. Peccato che il croccante delle sfogliatine venga spento e annullato dall’immersione nella crema calda e morbida che le rende flosce e umidicce.

Col dessert Michele, il responsabile di sala, mi propone un Passito Gocce d’Inverno, dell'Azienda Agricola il Pignetto di Bussolengo, un uvaggio di Garganega, Trebbiano e Cortese, equilibrato ed elegante.

Mentre attendo il caffè mi servono un vassoietto di meringhe, al cocco, alla nocciola e al cacao, cantuccini e brutti buoni, che prepara un simpatico aiuto cuoco napoletano, che sa fare anche ottimi babà, che assaggerò la prossima volta perché stasera sono già sazio.

Faccio due passi all’aria fresca della sera verso Porta dei Borsari per digerire, prima di rientrare incamera. L’eleganza della Porta risalta con la sua facciata bianca e le monofore allineate su due ordini sovrapposti a sovrastare il doppio arco della porta stessa e senti quasi il rumore dell’Adige che scorre sotto Ponte della Vittoria, verso destra in fondo a Via Diaz.

 Foto Credit: Gabriella Repetto

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Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...

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