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Viaggi enogastronomici

Torre Fornello per "UNA" emozione continua e profonda

di Luigi Bellucci

MappaArticolo georeferenziato

Lunedì 8 Ottobre 2012.
Ancora una volta da Enrico, che ci stupisce con il suo millesimato, l’Olubra, un metodo classico da uve botritizzate da cui si sviluppa ogni grammo di zucchero per ottenere un vino secco che conservi i profumi gradevoli della terra piacentina, sentori trasmessi dalla terra all’uva e da questa al suo “liquor”. La serata è piacevolissima. Sparse per le stanze le opere luminose e coloratissime di Camilla Sala, le sue ceramiche, le sue didascalie. Un piacere per l’occhio e uno stimolo per la mente, con i versi e le riflessioni che suscitano pensieri ed emozioni e ricordi d’infanzia. Intanto che si gira per la casa Enrico versa Olubra nei bicchieri d’assaggio. È un extra dry, vendemmia 2009 e sboccatura luglio 2012, di 12 gradi dal lotto L80.

Il vitigno base è il Marsanne, portato fin qui dai soldati di Napoleone, cui si aggiunge solo un 10% di Malvasia aromatica di Candia. Si forma con una lunghissima fermentazione di 24 mesi durante i quali resta a contatto dei lieviti.

Lo guardi e ammiri quelle bollicine minute che salgono fitte e persistenti dal fondo del calice fino alla zona di galleggiamento di quel liquido di un bel colore giallo paglierino chiaro e pian piano arrivano al naso. Qui ti stupiscono la strepitosa eleganza e la finezza, ma anche le note fruttate decise e persistenti, cui seguono quelle balsamiche che salgono all’ipotalamo fino quasi a stordirti.

Quando lo avvicini alle labbra ne avverti subito la freschezza e la pienezza e infine la persistenza lunghissima e la piacevole sapidità per andarsene in gola con un retrogusto di mandorla fresca leggermente amara.

Non posso dargli meno di 89 centesimi, per un prodotto di vera eccellenza.

Intanto dalla cucina arrivano gli stuzzichini in accompagnamento, il saporito salame piacentino, le scaglie di grana padano di 24 mesi, grissini freschissimi e croccanti e poi gli assaggi caldi, le deliziose polpettine di olive taggiasche, acciughe e capperi, i crostini con la mousse di fegatini e una riduzione di Malvasia UNA di Torre Fornello e fragoline di bosco, invitanti e stuzzichevoli, anzi “stuzzi-tanti”; in breve, da urlo.


La Dogana

Prima di arrivare a Torre Fornello da Enrico e da Eliana ci fermiamo a La Dogana, l’agriturismo dove passeremo la notte. È un luogo caratteristico che deve il nome al fatto di essere sul confine tra austro ungarici (oggi provincia di Pavia) e ducato di Parma e Piacenza, proprio dove passava la strada di confine. All’esterno ha una bella tinta gialla e azzurrina, che ricorda il colore del solfato di rame che si dà alle viti. All’interno ha subìto una ristrutturazione rustica ma elegante, con tanti dettagli piacevoli, sia nel ristorante a piano terra, sia nelle camere ai piani superiori.

Ti stupiscono i colori, i disegni, gli arredi d’epoca, ancora perfettamente funzionali.

Ci accompagnano Manuela e Luca con i due bimbi, Francesco, ancora troppo piccolo per godersi la campagna, e Giovanni, che va a sedersi a cavalcioni della mucca pezzata bianca e nera, sdraiata sul prato. Non ha paura, sia perché ha l’incoscienza dei suoi tre anni, sia perché la mucca resta immobile sotto i suoi calcetti, proprio “come una statua”.

Dal prato si gode una vista incantevole sulle colline piacentine con vigneti a perdita d’occhio e boschetti e qualche prato o campo coltivato e dall’altra parte il borgo di Castello di Luzzano e la sua chiesa a pianta ottagonale e il campanile sottile che s’innalza al cielo.

La stessa vista che avremo la mattina successiva al risveglio aprendo la finestra sulla vallata verso Fornello, prima di scendere a pian terreno per la colazione preparata da INA. Caffè o tè e brioches o pane tostato con marmellata in ciotoline e burro, spremuta d’arancia in caraffa e una vista bucolica sul giardino e sulla “siepe che all’ultimo orizzonte il guardo esclude”.


Passeggiata in cantina tra ‘400 e ‘600

Enrico ci accompagna lungo la scala a chiocciola in discesa nella cantina che sta sotto il piazzale di scarico delle uve, con cisterne in acciaio, presse a polmone, bottiglie in attesa di essere riempite, bottiglie in attesa di essere etichettate, spedite e … bevute.

Mentre l’occhio gira qua e là per la cantina, Enrico racconta la sua avventura nel vino, dai primi tre anni, 1995, 96 e 97 passati a imparare a fare il vino e poi a commercializzarlo in un’altra azienda, ai successivi, a partire dal 1998 quando ha iniziato a ristrutturare l’azienda di famiglia e a fare i “suoi” vini. La sua filosofia è di dare ampio spazio alla tradizione in vigna e alla tecnologia in cantina con controllo della temperatura e pressature iper soffici e bassissime rese per una qualità di eccellenza e di abbandonare la chimica. Enrico ha mantenuto una grande modestia ma oggi possiamo affermare che i suoi sono già dei grandi vini, frutto di studi, di ricerca, di sperimentazione attenta e geniale per vini mai uguali, mai ripetitivi, mai banali.

Fino al 2005 il suo enologo è stato Donato Lanati. Dal 2006 lo affianca Nico Danesi, giovane quarantenne con una solida preparazione spumantistica cresciuta in Franciacorta e anche nella Francia occidentale.

I rossi di Enrico hanno una macerazione che va dai 5 giorni e può arrivare anche ai 25 – 30 per certi tipi di vino. Dopo la macerazione si fa acciaio per la maggior parte delle tipologie e una minoranza finisce in barrique, che vengono sfruttate da nuove per i bianchi e poi, fino anche al quinto anno, per particolari rossi.

Nel 2012 i vini piacentini hanno avuto un successo inaspettato in termini di premi e apprezzamenti, nazionali e internazionali, sia con l’Ortrugo, sia con il Gutturnio. Enrico ha un cruccio. Pur trovandosi in Emilia non può produrre il Lambrusco perché il piacentino è al di fuori della zona del disciplinare di quel vino.

Torre Fornello ha 60 ettari vitati e produce un’ampia gamma di varietà e tipologie enologiche.

Dalle cantine escono circa un terzo di milione di bottiglie, ma il potenziale potrebbe essere il doppio.

Il suo amore per le sperimentazioni lo porta anche a collaborare con altre aziende e produrre conto terzi uno Charmat con uve aleatico. I suoi vini sono Ortrugo, Gutturnio, Bonarda frizzante, Pinot grigio, Sauvignon e la Malvasia, secca e dolce in mille sfumature piacevolissime e infine gli spumanti metodo classico con Marsanne, Pinot nero e Chardonnay.

Queste le etichette di Torre Fornello, per i vini:

ORTRUGO frizzante D.O.C.

MALVASIA frizzante D.O.C. Colli Piacentini

CHARDONNAY frizzante D.O.C. Colli Piacentini

SAUVIGNON frizzante D.O.C. Colli Piacentini

PRATOBIANCO I.G.T. Emilia

DONNA LUIGIA Malvasia D.O.C. Colli Piacentini

CÀ DEL RIO Sauvignon D.O.C. Colli Piacentini

GUTTURNIO frizzante D.O.C.

BONARDA frizzante D.O.C. Colli Piacentini

SINSÄL Gutturnio superiore D.O.C. Colli Piacentini

DIACONO GERARDO 1028 Gutturnio riserva D.O.C. Colli Piacentini

LATITUDO 45 Bonarda D.O.C. Colli Piacentini

… e i Cru millesimati

ENRICO PRIMO Chardonnay Spumante di qualità

PINOT ROSE’ Pinot Nero Spumante di qualità

OLUBRA Marsanne Spumante di qualità

MALVASIA DOLCE frizzante D.O.C. Colli Piacentini

Intanto ci siamo spostati nelle antiche cantine, quelle del 1600, costruite su tre falde acquifere che mantengono un ambiente costantemente umido al 70%, ottimale per l’affinamento dei vini rossi nelle barrique, ciascuna delle quali si beve circa dieci litri di vino all’anno.


UNA Cena e UNA verticale

Alle otto e mezza siamo nella sala grande della cascina antica, attorno al tavolo già apparecchiato, sotto l’occhio vigile di Isa, dai suoi collaboratori.

Un grande tavolo rettangolare accoglie 21 persone, Enrico, Roberto, Camilla, Nico l’enologo e i loro ospiti.

Davanti a ciascuno quattro bicchieri diversi per forma in cui saranno versati gli assaggi di UNA, di quattro annate diverse, ciascuna abbinata a un piatto particolare. Nico ha scelto la forma dei bicchieri, Roberto ha scelto l’abbinamento dei piatti all’annata del vino, Isa ha preparato le pietanze, Camilla ha disegnato e costruito i piatti per contenere le pietanze, Enrico è il creatore del vino, per dirla in inglese, il designer e il producer. Quello che si dice un vero lavoro di squadra, dove ciascuno dice la sua anche sul compito degli altri, in tutta onestà e collaborazione.

Da parte mia mi sono permesso di dare un voto al piatto, in decimi, e al vino, in centesimi.

Mentre si aspetta, Enrico racconta la storia di UNA.

Il vitigno è la Malvasia di Candia aromatica, di cui in azienda ne esistono 12 ettari, ma quello da cui deriva UNA è una piccola area di quattro particelle per un totale di 8.500 metri quadrati, piantati nel 1974, dunque nel pieno della sua maturità. Un cru sulle sponde del Rio Volto, in cui sulla Malvasia si forma naturalmente la botritis cinerea che la caratterizza. Il progetto che lui aveva in testa all’inizio ha preso corpo e si è trasformato strada facendo. La prima idea era di farne un vino dolce. Eravamo nel 2000. Poi si è sperimentata una fermentazione via via più prolungata, che trasformasse tutti gli zuccheri in modo da ricavarne un vino piuttosto secco. Il primo vino prodotto è stato quello della vendemmia 2007, che berremo con il terzo piatto. Oggi la fermentazione si completa in tredici mesi.

Molto eloquenti nell’etichetta sia il nome, che richiama le quattro particelle di mappa da cui proviene, la 141, la 142, la 143 e la 144, e ne ricalca i confini sia la seconda lettera, che puoi vedere come N (UNA) ma anche come V (UVA) o anche come Y rovesciata (AYU, un quasi sardo ayò piacentinizzato), sia infine il commento di Roberto: Una Vigna, Una Varietà, Una Vendemmia, Una Mano, Una Bottiglia Racchiude Un Pensiero, che così spiega: “L’origine di questo vino è UNA VIGNA, dove Enrico raccoglie UNA VARIETA’ (Malvasia Aromatica di Candia), dedicandogli UNA VENDEMMIA a parte. UNA MANO, la sua, che decide di coltivare e raccogliere rispettando l’ambiente, confrontandosi con il microclima. Oltre al vino, UNA BOTTIGLIA racchiude UN PENSIERO, il mio, che ha trovato subito l’appoggio di Enrico”.

In una ciotola disegnata da Camilla, per ciascun commensale tre tipi di pane e i mini grissini.

La cena comincia con una cosa apparentemente strana, almeno per me, come il fegato grasso d’oca con castagnaccio, limone candito e crunchy di riso al pepe.

Il vino è UNA 2010, l’ultima annata, la più fresca. Il colore è un giallo ambrato pieno di miele di zagara e dal bicchiere salgono note fruttate di mela e pesca bianca, che si trasformano poi in sentori agrumati che ricordano l’arancio e il mandarino candito.

Il piatto è semplicemente sublime. Ogni piccolo morso diventa una poesia in cui i denti sprofondano lentamente nella pasta morbida ma consistente del castagnaccio e del foie gras che sono messi a strati sottili nel piatto e il cubetto di limone candito conferisce al boccone un tocco esotico di freschezza, come il bouquet di fiori a un bel vestito da sposa. Qui Isa ha fatto il suo capolavoro.

Dieci e lode al piatto, 89/100 al 2010 e ottimo anche l’abbinamento.

Il piatto successivo è il Porcino di zucca su fonduta di Montebore, abbinato al 2008.

UNA 2008 riconferma sia l’eleganza del colore ambrato già avvertita nel 2010, sia la piacevolezza del naso agrumato con note di arancia, cui si aggiungono sentori balsamici straordinari per pienezza e persistenza.

Il piatto stavolta è da otto, piacevolissimo alla vista per la zucca che fa da gambo alla testa di porcino appoggiata sopra, ma i sapori sono un po’ slegati. Ancora 89/100 al 2008. Discreto l’abbinamento.

Il terzo piatto è il Tortello di tartufo nero e foglie d’argento, con UNA 2007.

È la prima annata che Enrico ha immesso sul mercato. Il colore è un giallo ambrato intenso e pieno, ancora luminoso e solare. Il naso mostra la stessa pienezza dei suoi fratelli più giovani appena assaggiati, ma qui siamo di fronte a un vino ancora più elegante e ancora più ricco di sfumature aromatiche. In bocca lo senti immediatamente molto secco, ma nel retrogusto ti ricorda il miele, quasi di carrubo o di castagno leggero.

Il piatto è di nuovo sui livelli di eccellenza del primo per sapori e presentazione. Gli do un dieci senza la lode per la sfoglia che avrei preferito leggermente più sottile. A UNA 2007 invece 92/100 per la perfezione e indovinatissimo anche l’abbinamento in cui il tartufo nero sposa perfettamente la nota leggermente dolce amarognola del sorso.

Il quarto piatto il Suinetto di Morini con purea di patate al tabacco e pioppini croccanti, con il 2009.

UNA 2009 si differenzia dagli altri già per il colore che è un ambrato molto più chiaro dei precedenti e al naso senti un’esaltazione di sentori di tabacco e poi note di foglia di pomodoro e una leggera pietra focaia. In bocca lo senti subito secco e tale rimane fino alla fine della lunga persistenza, che si chiude con note tanniche quasi da vino rosso.

Per questo motivo ho trovato eccellente abbinarlo al maiale di Morini, così morbido e saporito e gustoso.

Nove al piatto di Isa e 91/100 al 2009.

Infine la Zuppa d’uva nella ciotola, insieme alla Tartara di fichi con cannolo alla ricotta. Il vino è Ottavo Giorno, del 2010.

Ottavo giorno perché per produrlo ce n’è voluto uno in più di quelli che il Creatore ha impiegato per produrre l’universo, dice Enrico. Si tratta di un’ennesima sperimentazione di quel genio creativo che Enrico appresenta. Lo fa con uva Croatina raccolta anticipatamente a inizio agosto, sì avete capito bene, e poi messa ad appassire sui graticci per almeno quattro mesi. A dicembre si fa una pigiatura soffice dopo averla adagiata su un letto di uve botritizzate. Si separa subito il mosto dalle bucce in modo che il liquido abbia un colore rosa antico. Poi si passa nelle barriques dove rimane per dodici – tredici mesi e dopo l’imbottigliamento affina ancora cinque mesi prima della vendita.

Sorprendente al naso e in bocca per la pienezza del fruttato, che ricorda il melograno, tanto che sembra, anche nel colore e nell’impatto in bocca, una spremuta di quel frutto che matura proprio in questi giorni. Si avverte piacevolmente anche la nota dolce in retrogusto con i suoi 90 g/litro di zuccheri residui.

Stupefacente il succo d’uva, uva saltata con un pizzico di vaniglia e scorza di limone, da dieci e lode, discreti i cannoli di ricotta su tartara di fichi, diciamo da sette e mezzo, forse perché i fichi erano un po’ indietro come maturazione e spegnevano la nota poco dolce della ricotta anziché esaltarla. Stavolta Ottavo Giorno la faceva da protagonista con i suoi 90/100 e il piatto era la sua spalla.

La cena si conclude con un buon caffè, per chi lo desidera e una piacevole conversazione con gli altri ospiti vicini di tavolo, a scambiarsi impressioni ed emozioni vissute grazie a UNA e a chi le ruota attorno.


Foto Credit: Gabriella Repetto

Letto 11519 voltePermalink[1] commenti

1 Commenti

Inserito da Filippo Ronco

il 22 ottobre 2012 alle 21:08
#1
Insomma, mi son perso una gran serata, mannaggia.
Sempre qui dietro a smanettare e voi a gozzovigliare ;)
Bel report Luigi, grazie.

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Sono nato in una torre malatestiana del 1350 sulle primissime colline del Montefeltro romagnolo, massi rotolati fino all'Adriatico...

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