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Viaggi enogastronomici

Montiferru di Sèneghe - Abbardente e canto a tenores (Terza Parte)

di Luigi Bellucci

MappaArticolo georeferenziato

Mercoledì 20 Febbraio 2013

Anche oggi la mattinata è assai impegnativa, con ben 42 oli in assaggio. Stavolta i difettosi sono 13. Durante una delle pause tra le sestine di oli mi chiama Sergio dalla Brinca per una prossima degustazione di vino da lui, in quel di Ne, in Val Graveglia. Quando gli dico dove mi trovo mi descrive con entusiasmo questi luoghi che lui conosce bene perché da anni ci viene in ferie, sulle spiagge di Is Arenas e Is Arutas, che definisce senza esitazione “le più belle del mondo” e poi mi esalta la squisitezza delle carni del bue rosso che si alleva a nord di Oristano. Lo ringrazio e gli confermo che l’assaggio delle carni del bue rosso è previsto già dalla cena di stasera.

Vedi anche Montiferru di Sèneghe – Olio e tradizione (Prima Parte)

Vedi anche Montiferru di Sèneghe – Olio, spiagge e cantine (Seconda Parte)

Vedi anche Montiferru di Sèneghe – Tecnologia, Alta Marea e Mondo (Quarta Parte)

Vedi anche Montiferru di Sèneghe – Sa Tanka, Saluti e Cagliari (Quinta Parte)

Finiamo verso le 14.30 e alle 15 siamo tutti in Hotel per il pranzo.

Il cuoco Marcello oggi ha preparato una buona insalata di polpo e sedano per antipasto, giustamente leggera e rinfrescante, ne abbiamo bisogno perché il rapporto calorie ingerite / calorie consumate è nettamente a favore delle prime, e questo, alla lunga, non va bene.

A seguire due tipi di riso, il primo al nero di seppia e il secondo al nero di seppia cosparso da una grattugiata di bottarga. Me ne concedo una cucchiaiata per ciascuno dei due piatti.

Per secondo una squisita spigola al forno con crema di patate.

Per completare una insalata verde e rossa e le ultime fette della torta di compleanno portata da Barbara e festeggiata lunedì 18.

Carlo Pische a Santu Lussurgiu

Il tardo pomeriggio si parte dal Villa delle Rose per Santu Lussurgiu, un paese di estrema attrattiva a Nord di Oristano, per visitare le Distillerie Lussurgesi di Carlo Pische.

Carlo sa della nostra visita. Arriviamo al numero 14 di Via delle Sorgenti che è già quasi buio perché il paese si distribuisce su una collina piuttosto ripida che sta all’interno di un antico cratere vulcanico ormai completamente spento, al centro del Montiferru. La casa e il laboratorio di Carlo sono un tutt’uno nella parte alta del paese.

Lui è il tipico personaggio di una Sardegna antica e tradizionale, ci tiene alla sua lingua, ci tiene alle sue tradizioni culturali, ci tiene al suo abbigliamento caratteristico. È una persona rara, un pozzo di informazioni e un vulcano di idee, che non posso fare a meno di associare nella mente al grande Mario Pojer di Faedo, come tipologia umana. Persone che vedrei benissimo a condurre questo nostro paese oggi così sgangherato e traballante. Ma torniamo all’incontro.

Carlo ci racconta che fin dal 1700 Santu Lussurgiu, insieme a Villacidro, erano conosciuti in Italia e in Europa come centri di distillazione del vino per la produzione dell’abbardente, la loro particolare acquavite estratta dal vino e non dalle vinacce.

Alla fine dell’800 veniva prodotto ed esportato il famoso Cognac Sardegna del Professor Nicolò Meloni e poi del figlio Deodato Meloni, alle cui ricette in un certo senso anche Carlo si ispira.

Con l’abbardente che produce, Carlo prepara anche una crema di cioccolato con cui riempie i suoi deliziosi cioccolatini all’abbardente. Ci fa assaggiare uno strepitoso panettone artigianale, farcito alla stessa maniera dei cioccolatini. Un muretto sovrastato da una pietra lavica nera divide la zona assaggio dal laboratorio dove Carlo estrae le sue meraviglie.

La distillazione del vino si può fare in qualunque periodo dell’anno, perciò Carlo non è legato a una stagionalità, come sarebbe se producesse da vinacce, che possono essere utilizzate solo alla fine della pigiatura delle uve. La sua produzione è di qualche migliaio di litri all’anno. Eccellenti anche i suoi cioccolatini al mirto “de judu”, che in sardo sta a significare “ben fatto, fatto come si deve, fatto a regola d’arte”. Sta lavorando alla prossima produzione del suo Brandy di Sardegna, invecchiato per cinque anni, alla francese, nella prosecuzione storica del metodo del Professor Meloni, e se si lascia trasportare dall’entusiasmo e dalla passione è capace di trascinare anche i suoi ospiti e allora ti fa assaggiare le sue quattro grappe, di cui due da monovitigno, cannonau e malvasia, le sue cinque acquaviti, il suo amaro di olivastro e mirto, il suo particolare liquore da melograno, il “De Abbastu”, che non delude le aspettative, completo, che ci puoi contare. Siccome noi siamo assaggiatori non gli sembra vero di farci provare tutto il campionario. In questi casi non ti devi far trasportare dall’avidità dell’assaggio, ma devi centellinare con assoluta parsimonia ogni bicchierinjo che ti porti alle labbra, lasciandoti guidare molto dall’olfatto, che i prodotti di Carlo non deludono assolutamente, anzi invogliano ad inghiottire.

Eccellenti e meravigliose ho trovato l’acquavite secca da vino bianco e quella con note erbacee da radice di liquerizia. Interessanti anche tutti gli altri assaggi, di mirto, limoncello, finocchietto, mela cotogna, corbezzolo e prunolo in infusione.

La stanzetta è anche un museo storico di etichette e oggetti legati alla distillazione e non solo, come ad esempio la “Bertula”, una doppia sacca da spalla in cuoio che serviva per il trasporto a spalla oppure a schiena d’asino.

Sa domo de sos sotzios

Alle 19.30 usciamo dal laboratorio di Carlo frastornati piacevolmente dalla sua accoglienza calorosa e Angelo ci porta per strade tortuose che danno un po’ fastidio ad Angela, fino al centro di Sèneghe, dove siamo ospiti a cena alla “Sa domo de sos sotzios”, la casa delle associazioni, al numero 22 di Via Roma. L’edificio è un’antica casa aragonese con un bel portale in pietra lavorata che dà sulla strada.

Il Presidente dell’Associazione del Bue Rosso, Celestino Moro, ha organizzato la serata per farci assaggiare la famosa carne e arriva in anticipo ad accogliere gli ospiti.

Una tavolata ad L con una trentina di coperti è già pronta con i piatti degli antipasti misti al centro della tavola, con coppa, lardo aromatizzato, testa in cassetta con carote e olive, straccetti di salame di bue rosso, pomodori secchi e olive in salamoia. Per aperitivo una vernaccia bruna con assaggi di “casizolu” stagionato tre, quattro mesi.

A tavola arrivano ancora piatti di formaggio acido vaccino, tipo ricotta dura, accompagnato da cipolle rosse sott’olio.

Tra una serie di portate e le successive un “coro a tenores” di quattro voci esegue pezzi tipici, profani e sacri, trasmettendo in quelli come me che non avevano mai udito dal vivo questi tipi di canti, emozioni e sentimenti del tutto particolari. In un certo senso mi hanno fatto tornare bambino quando, negli anni 50 e 60 c’erano ancora, a Genova, gruppetti di amici che giravano per osterie a bere e intramezzavano le bevute con dei canti simili nello stile del tralalero genovese, o trallallero.

Era una squadra, in genere composta da almeno cinque voci: il tenore, detto in genovese “u primmu” il primo, perché intona il canto e gli dà la giusta tonalità; il contralto, detto “u segundu”, il secondo detto anche “a bagascetta” (la ragazzina), perché canta in falsetto; il baritono, o controbasso; la chitarra, “a chitâra”, che, con il baritono, tiene costante il ritmo del tralalero mettendo il dorso della mano davanti alla bocca, e accompagna il canto imitando appunto il suono della chitarra; infine il basso, anzi i bassi se sono più di uno, che accompagnano il canto con tonalità "scure", e fanno un po’ da coro do fondo.

Il coro a tenores è composto stasera dal basso gutturale Enzo Lotta, dal baritono Piero Làconi, dalla voce Salvatore Zanda e dal contralto Guido Lotta, fratello di Enzo. Un secondo elemento voce / baritono, Giorgio Mancosa, si alternerà nei canti alle precedenti, per dare una specie di cambio.

Il primo canto dei quattro tenores di stasera racconta di una ragazza particolarmente bella che viene corteggiata dal suo innamorato. La voce del basso nel canto a tenores viene sempre impostata nella tonalità “gutturale”, per esaltare la profondità sonora del pezzo.

Ci sediamo a tavola dopo il primo canto successivo all’aperitivo. Sono straordinari i sapori delle materie prime che sono state servite come antipasto.

Dopo gli antipasti una esecuzione dei tenores in un pezzo di ballo e canticu, un brano molto ritmato che può essere anche ballato, tipo tarantella. Di solito nelle feste succede, ma non stasera che è un po’ un’esibizione per noi ospiti non sardi. La storia racconta di un amore tradito da lei.

In Sardegna, mi dicono i componenti del canto a tenores tra una forchettata e l’altra, esistono almeno una cinquantina di comuni che ancora oggi hanno cori a tenores. Sono quasi tutti nel nuorese, più qualcosa nel sassarese e nell’oristanese, dove siamo stasera.

Oltre ai canti popolari il repertorio dei cori a tenores spazia molto anche sui canti sacri.

È da visitare il museo multimediale di Bitti, dedicato al canto a tenores.

A Sèneghe le feste più tipiche, con esibizione dei cori, si fanno nel periodo di Carnevale.

Ecco arrivare i primi piatti, le lorighittas (letteralmente orecchiette) con un ragù di salsiccia e zucchine, che mi ricordano gli strozzapreti romagnoli, fatte a mano.

Le accompagniamo con il cannonau sfuso già in tavola.

Il terzo pezzo dei tenores è intitolato “Lode” ed è sempre dedicato a una bella ragazza.

Il successivo è “Babbu nostru”, il padre nostro cantato, un brano del repertorio sacro.

Il coro di Sèneghe cura anche la crescita di elementi giovani reclutando, già a partire dalle scuole elementari, i ragazzi che vogliono entrare a far parte del coro, per il momento con un buon successo, nonostante gli abitanti del paese siano meno di duemila anime.

È ora il momento della carne di bue rosso cotto a straccetti in umido, teneri e gustosi e poi fegatini con patate lesse al prezzemolo di contorno, insaporite da un filo dell’olio nuovo seneghese dell’Oleificio sociale oppure da quello di Gianni Cosseddu, da cultivar bosana e terza.

Durante la sostituzione dei piatti prima del servizio dei dolci ancora un pezzo sacro dei tenores, il “Kyrie”, che predispone all’ultimo assaggio degli ottimi amaretti e pasta di mandorle in formati diversi, bagnati da moscato spumante. Infine mirto, liquerizia, arancino, acquavite e caffè per aiutare la digestione prima di tornare al bus e al Villa delle Rose.

Domani è un altro giorno

Foto Credit: Gabriella Repetto.

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