Il Cachi è il simbolo di una stagione particolarmente generosa come può esserlo solo l’autunno. Un po’ di storia. Il Kaki o Cachi nel linguaggio comune, chiamato anche Diospiros, o pomo, o loto del Giappone o mela d’oriente, è originario delle regioni calde della Cina dove è considerato l’albero delle sette virtù: lunga vita, grande ombra, assenza di nidi e tarli, grandi foglie con cui si può giocare e possono essere bruciate per l’inverno e per concimare la terra. Oltre mille anni fa, l’albero giunse in Giappone dove cominciò ad essere coltivato.
In Europa è arrivato alla fine del ‘700 però solo come pianta ornamentale, mentre in Italia il primo albero di cachi fu impiantato nel 1871 nel giardino di Boboli a Firenze. Pare che Giuseppe Verdi fu conquistato dalla dolcezza del frutto.
La coltivazione estensiva è iniziata nel salernitano a partire dal 1916: esistono diverse varietà coltivate da nord a sud, ma il primato della produzione se l’aggiudica la Romagna, in particolare la zona di Faenza con lo squisito “Loto di Romagna”.
Il Cacomela, considerata una speciale varietà in quanto a differenza dei cachi tradizionali si può consumare subito dopo la raccolta poiché la delicata ed aromatica polpa non è assolutamente allappante. La pianta è talmente resistente alle avversità da non necessitare di particolari trattamenti antiparassitari.
Occorre distinguere i cachi in due gruppi ben distinti: quelli che si formano tramite la tradizionale fecondazione operata dal polline trasportato da insetti e dal vento, e quelli che nascono senza fecondazione. Questi ultimi danno frutti apireni, cioè senza semi e non immediatamente commestibili a causa dell’elevata presenza di sostanze astringenti, quali il tannino, che si riducono man mano che avviene la maturazione.
In Italia la varietà più diffusa è la “Kakitipo” e relativi cloni, che danno origine al cachi senza semi che comunemente si trova in commercio. Invece quando il frutto si forma per effetto della fecondazione, contiene un numero di semi da uno ad otto ed è subito commestibile. La buccia va dal giallo all’aranciato, polpa gialla compatta e leggermente fibrosa con striature brune; sapore tendente all’aromatico e di spezie dolci quali la vaniglia e può essere mangiato a breve tempo. L’attesa del giusto grado di maturazione e l’utilizzo del cucchiaino per gustarne la polpa dopo averlo tagliato in due, sono le principali concause del ridotto consumo di questo frutto così atipico.
Il cachi è molto ricco di vitamina A e C ed oltre ad una buona quantità di zuccheri e tannini, contiene potassio, betacarotene e la criptoxantina a cui si deve il caratteristico e lucente colore arancione. Ottimo ricostituente del sistema nervoso e del fegato, inoltre è un potente antibatterico nelle gastroenteriti. Se non si vuole correre il rischio di ritrovarsi con la lingua “legata”, meglio scegliere i cachi con la buccia sottile, quasi trasparente e con la polpa più tenera. I cachi si conservano anche fuori frigo, che ne accelera la maturazione, ma non per molti giorni.
Ottimi per le confetture, la gelatina di frutta sulle crostate. Per dessert, se non si vuole servirli al naturale, dopo averli lavati, asciugati ed eliminati i piccioli, tagliarli a metà orizzontalmente e disporli su un piatto: cospargerli di zucchero di canna ed irrorare con brandy o un liquore a base di arancio, e riporli in frigo per almeno venti minuti prima di servirli.
[Foto credit: onlinetrees.com.au]
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