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Entre'

di Pier Luigi Nanni

Se per innumerevoli motivi l’antipasto non è stato servito, si può iniziare degnamente il convivio con altre specifiche portate che lo potranno sostituire degnamente, appunto, le entré: in altre parole, piatti delicati e sfiziosi come momento d’avvicinamento per il successivo proseguo del desinare. Dal crostone alla pizza, alle barchette e ai pirozsky, la perizia delle dita e il perfezionamento dei forni, hanno guidato l’ingegno, portando, sino a settant’anni fa, a invenzioni meravigliose. L’analfabetismo gastronomico di ritorno ha quindi impoverito le tavole e i manuali, devolvendo all’industria dei semilavorati tutta un’arte. E vi è di peggio: la torta e il sale divorziano nelle case, o si fanno raramente vedere insieme al ristorante. La memoria culinaria viene potata partendo dai rami più alti, irraggiungibili. La sfogliata e gli antipasti caldi da un lato, le gelatine dall’altro. Resiste la pizza, anche se non immune da surrogati pronti al consumo, invecchia la farinata e muore il vol-au-vent …

Malgrado questa decadenza, la pasticceria salata conserva un qualche prestigio: la barchetta si lascia divorare nei buffet, le crêpes incuriosiscono all’inizio del convivio, la torta rustica è un solo servizio e tutto un pasto, mentre un fagottino rappresenta un arguto stile di servire il formaggio. Alcune ricette che tuttora sono preparate, ma molto poche, sono il riflesso di questa innaturale agonia e l’antidoto per scongiurarla, in quanto accolgono le basi in commercio, le facilità d’uso e insegnano a profittarne: in effetti, non si può attendere placidamente la fine, senza ricordare la sagacia dei maestri e la pazienza delle cuoche autodidatte.

Cominciamo dalla vetta: cioè la sfoglia.
Poche o pochi, ancora la sanno preparare, anche se è alquanto vetusta, in quanto ha l’età del “paradiso” di Dante, ed è andata perfezionandosi nel corso dei secoli successivi. Il lato più spinoso’? Incorporare il burro migliore alla temperatura giusta e saper ripiegare l’impasto rettangolare, spianato sul marmo, con perfetta maestria. Un giro e un riposo di venti minuti al freddo, ripetendo l’operazione perfino otto volte! Come affermava Andrè Guillott, probabilmente uno degli grandi e poliedrici chef-pâtissiers, è una questione di ‘aritmetica’ che fa le sue dita dava numeri magici: un pezzo di sfoglia di 100 g tagliato a forma di rettangolo, 20 cm di lunghezza per 7 cm di larghezza e 2 mm di spessore, uscendo dal forno saliva a 10 cm di altezza con soli 20 g di burro: cosa dire di tanta abilità e performance? Nulla e imparare …

Chiunque vi abbia imparato a priori, può consacrarsi alla ‘pâté à foncer’ o ‘brisée, cioè la pasta per i fondi, disponendo a corona due parti di farina e una parte di burro a tocchetti. Con le punta delle dita si proceda dolcemente all’impasto aggiungendo l’acqua e incorporare la farina, con un movimento circolare delle falangi: si possono dare due giri velocemente per ottenere un miglior risultato, quindi riunire l’insieme e lasciar riposare al fresco. Servirà spianata, distesa su stampi, per barchette e tartellette. Dosando o eliminando lo zucchero, ma sempre con un pizzico di sale, la si destina ai dessert o agli antipasti.

Nel gradino basso dell’arte, sino dal ‘400 si trova una piacevole testimonianza inerente alle focacce. Niente giri veloci sul marmo e riposo al fresco. Il dettato del Platina, Bartolomeo Scappi, il cuoco “segreto” di Papa Pio IV°, fa parte dei rudimenti, se si considera l’infanzia della cucina italiana come i primi cenni dell’umano istinto a pasticciare: “ … il fornaio impasti di quantità di farina e di acqua che occorre per fare una focaccia, poi vi aggiunga semi di finocchio selvatico e lardo a pezzetti o burro o olio e manipoli a lungo l’impasto fino a ridurlo a una massa omogenea, dopo di che lo prema con le mani dandogli una forma orbicolare. Infine lo metta in una teglia al forno, insieme col pane, oppure lo faccia cuocere sul focolare sotto la cenere e la brace … “. Per quanto antica, non vi è ricetta che non susciti vaghe reminiscenze, il desiderio di provare e il timore di fallire.

Visto da dietro, osservando pizze, crostoni e cartellette, il tempio della musa pasticcera è una cascina rustica dalle travi secolari, imboccando l’entrata principale, è invece l’accademia della professionalità, l’ateneo dei cuochi-gastronomi, l’atelier d’addobbo, decorazione e travestimento di carni e pesci. Con un poco di farina e di burro si può ricostruire il mondo in sala ridotta o avvolgerlo in mille foglie leggere, anche se è più facile incontrare il vol-au-vent dipinto in una fotografia, sepolto in un libro di casa o intirizzito nella vetrina di un salumiere …

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