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Il caglio, di Pier Luigi Nanni

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Il caglio

di Pier Luigi Nanni

Lo Zingarelli definisce caglio, dal latino goagulu, “sostanza acida tratta dall’abomaso di ruminanti lattanti, che aggiunta al latte lo fa cagliare”. Nel periodo neolitico - 6000 a. C. - l’uomo primitivo si trasforma da cacciatore in pastore, per cui dalla Mesopotamia la pastorizia si estende in Europa. Omero descrive le varie attività inerenti alla pastorizia dei suoi tempi ed alcuni studiosi sono concordi nell’affermare che il ciclope Polifemo, figlio di Nettuno, nella propria grotta produceva i caci coagulando il latte col succo di fico - ficus carica -.

È risaputo che il succo dei fichi coagula il latte. Si deve procedere come nella preparazione della ricotta scaldando il latte nel quale si sarà spremuto precedentemente il succo dei fichi, fino a 75-80°C, oppure se necessario, fino all’ebollizione. Si raccolgono le parti solide che si saranno separate sotto forma di coagulo: si ottiene così una cagliata verdastra il cui colore, poco accattivante, non deve dare adito a perplessità e tantomeno impressionare. In India si versa il succo dei fichi anche per la preparazione del formaggio.

Nel V° sec. a. C., Ippocrate, padre della medicina, per primo cita nei suoi scritti il caglio animale come alternativa al succo di fichi e pure Aristotele, nel III° libro delle sue “Opere biologiche” riporta che “… tutti i ruminanti hanno caglio e che quello di cerbiatto è il migliore”.

Altri agenti coagulanti come l’aceto, il caglio di lepre o di capretto e quello di agnello, sono citati dallo storico Marco Terenzio Varrone - II° sec. a. C. - nel trattato “De re pecuaria”, mentre il cardo silvestre, i semi di cardamo, considerato il falso zafferano, i pinoli verdi ed il timo triturato, sono riportati nelle pagine di Lucio Moderato Colummella. - 50 d.C. -. Anche Plinio il Vecchio - I° sec. d. C. - evidenzia l’uso del latte d’asina come caglio, mentre Rutilio Tauro Emiliano Palladio - VI° sec. d. C. - riferisce delle proprietà coagulanti dei ventrigli di pollo.

Si giunge così nel medioevo, ma le testimonianze scritte sono sempre alquanto scarse, decisamente imprecise e prive di fondamenti pratici e tecnici.
Alberto Magno esalta le virtù del caglio di lepre, anche dal punto di vista terapeutico.

Nel tardo medioevo sono utilizzati soprattutto coagulanti vegetali ricavati dai fiori di cardo selvatico - cynara cardunculus -, latte di fichi, zucca, gocce di balsamo di erba carlina - carlina acaulis -.

Nel rinascimento, precisamente nel 1447, si pubblica il trattato lattiero-caseario “Summa lacticiniorum” del medico Pantaleone da Cofienza, in cui si prendono in considerazione le cause della coagulazione ed i differenti metodi per ottenerla e pure le varietà dei formaggi rispetto alle diversità dei cagli stessi.

Tra il 1558 ed il 1575, un’altra significativa testimonianza dell’impiego di coagulanti nel latte, è il trattato ”Le venti giornate dell’agricoltura e dei piaceri della villa” del bresciano Agostino Gallo. Pier de’ Crescenzi, a metà del XVI° sec. scrive l’opera “Trattato dell’Agricoltura” ancora molto considerata per le scoperte e deduzioni tecnico-scientifico riportate, mentre qualche anno dopo, Vincenzo Tanara, ne “Economia del cittadino in Villa”, esalta il ventricolo caprino come il più ricercato.

Nel XVIII° sec. si hanno testimonianze sempre più tecniche e particolareggiate. La prima notevole e ricca descrizione dell’arte di produrre formaggi tipici in Italia, si deve ad un noto astronomo francese, J. J. de Lalande. Lo scienziato, nel testo “Voyage en Italie” scritto tra il 1765 e l’anno successivo, si sofferma su alcune tecniche di lavorazione dei formaggi con caglio in pasta, nella zona di Brescia, e con fiori di cardo per la produzione del cacio marzolino in Toscana.

Nel 1821, Galliardo, nel suo “Catechismo Agrario” consiglia come alternativa all’impiego di pellette di vitello, lo stomaco di maialino lattante addizionato a uova, crema e chiodi di garofano.

Nelle pagine elaborate dal canonico Ignazio Malenotti si legge, per la prima volta, la “raccomandazione” ad abbandonare l’uso del caglio animale a favore della “presura”, come era chiamato dai contadini, il coagulo del fiore di carciofo selvatico.

Al medico Luigi Cattaneo si devono le prime dettagliate distinzioni tra due diverse lavorazioni dei cagli animali. Ai primi del ‘900 si diffondono le prime preparazioni presamiche industriali, soprattutto in Francia, Germania ed anche in Italia, caratterizzate dal caglio liquido o in polvere.


Il caglio oggi

Tuttavia, le fasi principali che fin dai tempi più antichi segnarono il procedimento mediante il quale il latte si trasforma in formaggio, sono rimaste le stesse.
La prima fase consiste nella coagulazione del latte, che può avvenire spontaneamente allorché il latte stesso, invecchiando, inacidisce, e tale aumento ne provoca la coagulazione: di norma è attivata, più rapidamente, con l’aggiunta di presame o caglio.

Gli antichi ebrei, durante il loro esodo dall’Egitto, usavano come caglio pezzi di stomaco dei ruminanti che dopo essiccazione, salatura e riduzione in polvere, venivano mescolati al latte che posto in recipienti di pelle di capra, cominciava a cagliare. Anche se oggi si è riusciti ad ottenere estratti vegetali ed enzimi capaci di far cagliare il latte, si usano ancora come caglio i succhi gastrici dello stomaco - abomaso - del vitello, dell’agnello e del capretto, che contengono un enzima coagulante chiamato chimosina; inoltre, si usano anche i cosiddetti cagli microbici prodotti dalla fermentazione di microrganismi che producono a loro volta, enzimi coagulanti.

Secco e salato, viene posto a macerare in una salamoia al 10% alla quale è stato aggiunto, come antisettico, dell’acido borico. La quantità di latte, misurata in ‘cc’ o in ‘grammi’ che si coagula da un cc o da un grammo di caglio alla temperatura stabilizzata di 35°C. in un tempo prefissato di quaranta minuti, è il titolo del caglio, per cui, generalmente onde ridurre la durata della coagulazione a parità di altre condizioni, occorre aumentare in proporzione la quantità del caglio, poiché il tempo della coagulazione medesima varia inversamente proporzionale alla quantità di caglio aggiunto.

In commercio si trovano principalmente tre tipologie di caglio: liquido, polvere, in pasta.

Il caglio liquido è quello più usato ed ottenuto dalla macerazione delle pellette, cioè ‘pelli dell’abomaso’ essiccate o congelate, con rapporto di 1:10000, ed è quello che risulta avere le qualità migliori, in quanto ha un ottimale rapporto tra chimosina e pepsina bovina. La chimosina contiene proprietà prettamente coagulanti producendo un coagulo dalla particolare tessitura estremamente fitta che consente di trattenere una maggior quantità di grassi; la pepsina contiene proprietà proteolitiche, cioè favorisce una rapida maturazione del formaggio senza conferirgli dei sapori che possono risultare sgraditi.

Il caglio in polvere, dieci volte più concentrato di quello liquido, è ottenuto per evaporizzazione a bassa temperatura da quest’ultimo e sotto vuoto aggiungendo sostanze saline: si utilizza principalmente per i formaggi a lunga stagionatura.

Il caglio in pasta è generalmente di origine caprina o ovina: si ottiene dai ‘caglioli’ che sono gli abomasi interi essiccati o conservati sotto sale e successivamente macinati per formare una pasta compatta ed omogenea. Tale pasta accentua il processo di lipolisi, poiché intensifica la sensazione di piccante e l’aroma dei formaggi, favorendo così una più rapida stagionatura.

- formaggi a pasta filata stagionata: cagli in pasta per la propria attività lipolitica.

- formaggi media stagionatura la concentrazione di chimosina bovina è pari al 70%.

- formaggi lunga stagionatura: cagli liquidi, alta concentrazione di chimosina, oltre 90%.


La coagulazione

Il processo di coagulazione consiste nella modificazione delle proteine contenute nel latte ad opera degli enzimi: la caseina si trasforma dallo stato solubile a quello di insolubile o gelatina, formando così un reticolo solido che racchiude i globuli di grasso imprigionando la fase acquosa del latte stesso di cui è un componente.
Per consistenza s’intende la massa gelatinosa che tende, in modo spontaneo, a contrarsi o sineresi, e successivamente espellere la fase acquosa: si ottengono la cagliata solida ed il siero liquido.

La coagulazione del latte è ottenuta tramite due diversi principi.

1) Coagulazione acida
Si ottiene tramite l’acidificazione del latte che provoca il passaggio della caseina da solubile a gelatina quando il latte stesso ha raggiunto l’ottimale concentrazione acida di pH = 4,6 ed i tempi della coagulazione si calcolano in ore, in quanto sono lunghi, poiché il latte deve prima acidificare, cioè il lattosio si trasforma in acido lattico e favorisce così l’ambiente adatto per la ‘flocculazione’ della caseina, ad una temperatura di circa 30°C. Il coagulo che si sta formando è molto friabile, poco consistente e scarsamente elastico, in quanto il reticolo gelatinoso è morbido e cremoso e non permette la perfetta separazione del siero dalla materia secca ed è a basso contenuto di sali minerali: è intervenuta l’azione di demineralizzazione che ha fatto passare il calcio nel siero ed a sua volta eliminato con lo spurgo. Questo tipo di coagulazione, è chiamata anche acido-lattica ed è caratteristica e tipica del latte fermentato, formaggi freschi e di innumerevoli caprini.

2) Coagulazione presamica o enzimatica
Prende tale definizione da ‘presame, cioè caglio’ e si ottiene dall’azione dell’enzima chimosina contenuto nel caglio che ha il compito di destabilizzare la complessa struttura molecolare delle caseine, le quali sono libere e disperse, in quanto sono le k-caseine che consentono ramificazioni esterne della struttura molecolare. La chimosina attacca queste ramificazioni esterne spaccandole a metà ed innescando nel corpo molecolare delle caseine - micelle - disorientamento e destabilizzazione: a tal punto interviene il calcio, minerale disciolto nel latte, che con il supporto del fosforo, unisce le micelle delle caseine favorendo il loro avvicinamento e creando così una fitta rete sotto fondo di coagulo gelatinoso, con struttura spugnosa ed in grado di trattenere il siero. Tale tipologia di coagulazione presenta il coagulo più consistente di quello ottenuto attraverso il tipo acido, in quanto è idrato ed elastico, ricco di calcio e netta separazione del siero; il minor contenuto di acqua della cagliata impedisce il forte sviluppo di batteri lattici, per cui i formaggi risultano più dolci e maggior resistenza alla maturazione che avviene più lentamente.

La coagulazione presamica è caratteristica dei formaggi con maturazione medio-lunga, meno acidi e maggior contenuto di caglio e netta struttura elastica.
Nella maggioranza dei formaggi, la cagliata è mista, cioè coagulazione acido-presamica, in quanto si sfruttano sia l’acidificazione del latte che l’azione del caglio, ottenendo così la coagulazione della caseina.

In alcuni formaggi prevale l’azione acidificante dovuta alla cagliata lattico-presamica ed è presente nei caprini, in quanto la quantità di caglio impiegata è ridottissima, mentre in altri prevale l’azione del caglio, cagliata presamico-lattica, dovuta alla ridotta acidificazione spontanea del latte, come avviene nei formaggi a pasta molle ed in diversi d’alpeggio a latte crudo.

La temperatura ottimale per la coagulazione è di 36/41°C. poiché inferiore ai 15°C non avviene, tuttavia può variare in relazione al grado di acidità del latte ed alle condizioni ambientali; il latte acido è più sensibile all’azione del caglio, per cui a parità di altre condizioni, il tempo di coagulazione diminuisce con l’abbassamento del pH, inoltre, il caglio non può agire in assenza dei sali di calcio.

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2 Commenti

Inserito da Riccardo Collu

il 12 aprile 2011 alle 14:12
#1
Raramente capita di parlare solo di caglio, discostandosi dall’argomento formaggio, quindi lo scritto è interessante perché può dare delle conoscenze di base a chi si avvicina alla materia formaggio e prodotti casari.

Belle anche le note storiche sul caglio, alle quali non si fa quasi mai riferimento parlando normalmente e in prevalenza di formaggi, quindi citando solo quelle che riguardano il prodotto finale.

Per integrare, non per correggere lo scritto, mi permetto di riportare quanto segue:
il caglio esiste anche microbico (ed anche ogm).
Il microbico è ricavato in laboratorio e la normativa non consente di usarlo nei prodotti tradizionali e Dop.
Il caglio, come citato nell’articolo è ricavato dall’abomaso il quarto stomaco (rumine, reticolo, omaso e abomaso) ma deve essere esclusivamente di un animale lattante, ovvero che non abbia ancora mangiato erba.
Il caglio liquido inoltre esiste anche con altri indici 1: 5000 ad esempio.
Il caglio di maiale, citato da Gallardo, viene usato ancora oggi per il pecorino di Farindola.

Da precisare il discorso sulle coagulazioni: la coagulazione acida pura non è praticamente usata in quanto il latte rimanendo per lungo tempo ad alta temperatura non darebbe un prodotto salubre, i batteri raddoppiano ogni 20’ e dopo 24 h a 30°c il risultato… non sarebbe ottimale.
Si usa una quantità minima di presame liquido a basso tenore come starter e si inseriscono dei fermenti derivanti da lavorazioni precedenti al fine di accelerare i tempi e operare a temperature inferiori.

Una curiosità, nella coagulazione presamica, la rennina o chimosina, come ben spiegato nell’articolo, taglia la K caseina esattamente fra l’amminoacido 103 e il 104 e oltre alla precipitazione della caseina avviene la separazione delle latto – proteine dalle siero – proteine.

Rinnovo i miei complimenti per lo scritto, che è riuscito ad essere originale parlando di un argomento a tutti noto ma da nessuno approfondito.


Riccardo Collu

Inserito da Filippo Ronco

il 12 aprile 2011 alle 14:27
#2
Grazie molte Riccardo per le integrazioni.

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