Lo zafferano dell’Aquila, pianta tubero-bulbosa, è originario dell’Asia ed appartiene alla famiglia delle iridacee col nome scientifico di crocus sativus linneo, in onore allo scienziato svedese Linneo che per primo lo catalogò e ne definì le caratteristiche.
La storia dello zafferano
La mitologia dell’antica Grecia attribuisce la nascita dello zafferano ad una storia d’amore finita tragicamente. Il bellissimo Crocus, protetto degli dei, e la ninfea Smilace, favorita del dio Ermes, si amavano, e per vendicarsi del giovane, questo ultimo lo trasformò in un bulbo che quando fioriva aveva degli altrettanti stupendi ed iridescenti colori.
Lo zafferano, già noto ai tempi di Ovidio, Virgilio e di Plinio il Vecchio che ne enunciava le rare e preziose proprietà nel primo trattato naturalistico che si conosca, “Naturalis Historia”, se lo facevano venire dal lontano medioriente.
Andando ancora più indietro nei secoli, il fiore lo troviamo inciso nelle tombe dei faraoni, in quanto considerato sacro; come pianta ben augurante nell’esodo degli ebrei riportato nella Genesi ed ai tempi di Omero che lo descrive nel IX° e XII° libro dell’Iliade, in quanto le sacerdotesse troiane lo usavano per profumare i pavimenti dei templi.
Questo bello e cromatico fiore si coltivava in Cilicia, Barbaria e Stiria, in quanto i popoli dei sidoni e stiri lo usavano per colorare i veli delle loro spose, mentre i sacerdoti per profumare i templi durante le cerimonie religiose.
Dal medio e dall’ancora più lontano oriente, fu portato in Europa quasi sicuramente a seguito dell’invasione araba della Spagna nel 961, dove nelle zone di Albarete, Teruel, Toledo, Valencia e Murcia trovò l’habitat ideale e naturale per una produzione, oltre che di quantità, di qualità veramente sopraffina che tuttora è ancora molto attiva e fiorente. Col dominio dei mari da parte dei saraceni, vi fu un marcato aumento del consumo dello zafferano in tutto il bacino del Mediterraneo.
La città de L’Aquila, fondata attorno al XII° sec., acquistò rapidamente fama per la qualità dello zafferano che si produceva nell’altipiano di Navelli: da tale zona la produzione si estese in tutta la provincia sviluppando un fiorente commercio.
Il merito di essere arrivato in queste zone spetta ad un monaco domenicano della ricca famiglia latifondista dei Santucci. Costui, appassionato cultore di questo fiore, pensando alle terre inutilizzate che la famiglia possedeva sull’altipiano, ritenne che potessero essere adatte alla coltivazione di questo bulbo e cominciò ad allevarlo: i fatti gli diedero pienamente ragione e si sviluppò un prodotto di qualità superiore a quello già prodotto in altre zone.
Rapidamente la coltura si estese ai dintorni e le nobili famiglie aquilane dettero vita, in breve tempo, a grandi mercati con le città di Roma, Firenze, Bologna, Milano, Venezia ed addirittura con importanti centri esteri quali Francoforte, Norimberga, Augusta, Vienna, Marsiglia.
Nel 1317 re Roberto d’Angiò con un editto abolì le tasse sullo zafferano per favorirne ulteriormente il commercio, ma poco dopo la comunità de L’Aquila non contenta di tale liberalizzazione, si contrappose al re rimettendo le tasse e, anzi, le aumentò per poter realizzare importanti opere pubbliche come l’ospedale nuovo e la basilica dedicata a San Bernardino da Siena: lo zafferano prodotto nella piana di Navelli era diventata una spezia molto ricercata ed ambita dai più famosi scalchi delle corti italiane e straniere.
Nel 1444 fece scalpore il caso di un commerciante che sofisticava l’ottimo e raro zafferano aquilano.
Si narra che un certo Jobst Findenken di Norimberga, venisse personalmente a comperare lo zafferano e che durante il ritorno lo sofisticasse con altri tipi, sempre di zafferano, ma di qualità scadente e che arrivato a dimora lo vendesse come il prezioso ed originale de L’Aquila. Per fortuna, ben presto fu scoperto ed il 27 luglio dello stesso anno fu bruciato in piazza con tutto il prodotto falsificato.
“Proviamo ad immaginare che ciò succedesse anche oggigiorno? Ebbene, ci sarebbe un rogo in ogni piazza di città e paesi, visto il dilagare di sofisticazioni che tutti i giorni sono scoperti, ma sempre poca cosa rispetto al sommerso insaputo!!!”
Con l’arrivo dei Borboni sul regno di Napoli, fu data una nuova spinta alla coltivazione dello zafferano, in quanto negli anni precedenti si era notevolmente ridotta e trascurata. Nel 1830 si raggiunse la riguardevole produzione di 4,5 t. ma purtroppo verso la fine del secolo si ridusse notevolmente a causa dei conflitti tra produttori ed i commercianti che, causa la situazione generale di crisi, non volevano riconoscere il giusto prezzo a questa unica e pregevole pianta.
Si deve a Silvio Sarra la fondazione di una cooperativa e nel 1999 prese attività il Consorzio per la tutela dello zafferano dell’Aquila.
Lo zafferano Dop
Lo zafferano è un prodottp DOP - Denominazione d’Origine Protetta - in quanto riconosciuto con Reg. CE 205 del 04/02/2005 - GUCE L 33 del 05/02/2005.
La coltivazione deve avvenire in zone delimitate e riconosciute poste ad un’altitudine compresa tra 350 e 1000 m. s.l.m. La particolarità biologica di questa pianta, è che si propaga solo per clonazione, in quanto sterile tripoloide, fa si che in mancanza di un’evoluzione genetica legata alla riproduzione gamica, la pianta mantenga inalterati nel tempo i caratteri. Questa specificità rende lo zafferano aquilano un fossile vivente, in quanto sia le proprietà botaniche della pianta che le caratteristiche culturali impiegate per la coltivazione, sono rimaste invariate o quasi, dai tempi dei faraoni.
A seguito di quanto, ne consegue che le piante così coltivate rappresentano una popolazione floreale che si possono definire cultivar o biotipo, poiché le minime modifiche biologiche che le distinguono da produzioni di altre zone, sono intervenute esclusivamente a causa delle condizioni pedoclimatiche dell’area.
I bulbi, già maturi per la semina, sono piantati nei mastri, ovvero i solchi, durante la prima metà d’agosto, e durante il mese ottobre inizia la fioritura che si protrae per circa 20 giorni: la raccolta dei fiori deve essere fatta esclusivamente a mano nelle prime ore del mattino prima che si aprano. Successivamente portati nei laboratori per le operazioni di sfioritura consistente nella separazione degli stimmi dal calice, costituito dai petali. Gli stimmi così ottenuti, sono raccolti in setacci e posti ad asciugare sopra le braci di legno di mandorlo o quercia, facendo attenzione a muoverli continuamente per ottenere l’ottimale tostatura, che può durare 15/20 minuti: con l’essicazione alla brace, lo zafferano conserva il color rosso porpora, la notevole fragranza ed il ricco aroma.
Il disseccamento ideale è quando lo stimma, premuto tra le dita, si frantuma completamente. I filamenti integri o la polvere, devono essere conservati in modo naturale, senza conservanti ed in ambienti asciutti e bui in sacchetti di carta o vasetti di vetro: lo zafferano è ottimale se consumato entro un anno dall’acquisto. Per un chilo di zafferano occorrono, mediamente, 160000/180000 fiori da cui si estraggono manualmente gli stimmi: è la spezia più costosa al mondo!
Terminata la raccolta, i bulbi devono rimanere nel terreno fino ai primi d’agosto dell’anno successivo, permettendo così lo sviluppo di altri bulbi.
Lo zafferano in cucina
Spezia di notevole pregio e ricercatezza, nell’arte culinaria dell’italico paese è impiegato per valorizzare ed aromatizzare la gustosità di numerose portate dai primi piatti, celeberrimo il risotto alla milanese, ai secondi come il coniglio alle olive e zafferano, la cui ricetta è riportata di seguito, e persino alcuni pregevoli desserts.
La famosa bouillabaisse, zuppa di pesce francese tipica della zona costiera del sud, così come la nota paella valenciana, non esisterebbero senza lo zafferano.
Se si utilizza lo zafferano in stimmi, è necessario farlo rinvenire preventivamente in una ciotola di brodo o di acqua di cottura tiepida, oppure in alternativa, quello macinato in bustina a cottura praticamente ultimata.
Inoltre, lo zafferano è un prezioso ingrediente anche nell’industria dei liquori.
Il fiore, piccolo a sei petali, è di colore che varia dal lilla al viola, mentre all’interno della corolla si trova un filamento bianco che termina con tre fili arancio o rosso che costituiscono lo zafferano propriamente detto, e due fili gialli più corti che non hanno nessun valore. I filamenti rossi contengono la “crocina”, sostanza che tinge di giallo e dona il particolare gusto alle diverse preparazioni culinarie.
Il termine zafferano deriva dal persiano “ZAA-FRAN” e dall’arabo “ZA-FRAN” che significa, semplicemente, “giallo”.
Allo zafferano sono attribuite molte proprietà terapeutiche quali il contrastare l’invecchiamento cellulare e l’accumulo dei radicali liberi; l’incremento delle difese immunitarie; riduce la pressione sanguigna; protegge il cuore e le arterie; allevia i sintomi della tosse; stimola il sistema nervoso ed il metabolismo; favorisce le funzioni digestive e riduce notevolmente sia il colesterolo che i trigliceridi che normalmente sono assorbiti con l’alimentazione; ricchissimo di vitamina B1, B2 e sali minerali.
L’industria farmaceutica impiega lo zafferano nella preparazione del laudano, medicinale che va assunto a gocce ed esercita un’azione sedativa ed antidolorifica. La medicina cinese e la moderna fitoterapia lo usano per le proprietà disintossicanti: gli effetti depurativi ed antinfiammatori sono sfruttati anche dalla medicina indiana che utilizza la spezia in molte preparazioni culinarie allo scopo di favorire la digestione e prevenire le infezioni gastrointestinali, che in quell’area del mondo sono molto comuni.
Dieci regole d'oro per lo zafferano
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