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La cioccolata, il cibo degli dei, di Pier Luigi Nanni

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La cioccolata, il cibo degli dei

di Pier Luigi Nanni

Alzi la mano colui che non è mai stato colto in fragrante assaggio della soave cioccolata posta in un barattolo, o prendere di nascosto un cioccolatino dalla lucente ed affascinante carta stagnola? I bambini, e non solo costoro, per piacere o golosità, hanno da sempre "attinto" il dito in questa cremosità decisamente unica e particolare, riscontrando in se stessi una sensazione indescrivibile di godimento. Da quando questi piccoli semi, cibo degli dei, giunti nei nostri salotti elaborati in forme e sapori inimmaginabili, sono trascorsi appena poco più di due secoli, sicuramente intensi e vivi di particolarità, ma soprattutto stimolanti ed accattivanti!
La cioccolata rappresenta qualcosa di più di un semplice cibo, poiché può rappresentare e diventare una mania, un vizio: sicuramente è uno dei piccoli piaceri che può migliorare giorno dopo giorno, la qualità della nostra vita. Inoltre, si tratta di un piacere benefico in grado di apportare sostanze nutritive utili non solo al benessere fisico, ma anche psichico. Le pagine che seguiranno, voglioso essere una semplice introduzione al fascinoso mondo della cioccolata, necessari per sfatare certi luoghi comuni, alcuni decisamente limitativi ed altri ricchi di peculiarità che il tempo non ha ancora reso merito: l'universo cioccolatiano non conosce confini e tanto meno limitatezze.

Il cibo degli Dei

Nel 1773 lo scienziato naturalista svedese Carl von Linnè, meglio conosciuto col nome latino di Linneo, a seguito delle riconosciute proprietà uniche, decide di chiamare l'albero del cacao col nome di "Theobroma Cacao" da -theos- divinità e -broma- bevanda.

Tra leggenda e storia

Secondo i botanici, l'albero del cacao cresceva spontaneo già 4000 anni prima di Cristo nei bacini dell'Orinoco e del Rio delle Amazzoni, a non oltre 20° di latitudine dell'equatore. I primi a coltivarlo furono probabilmente i Maya, che lo introdussero nello Yucatan durante le migrazioni del XVII° sec. a.C. e successivamente si diffuse più a sud, nell'attuale Messico, tramite i Toltechi, il popolo che precedette gli Atzechi nella storia del centro America. Il dominio azteco implicò la sottomissione di toltechi, olmechi e di tutti quei popoli che costituirono l'immenso impero degli adoratori del sole e del serpente piumato, cioè Quetzalcoalt, dio fondatore della stirpe e della cultura precolombiana in Messico: proprio a costui facevano risalire l'origine del cacao.
I suoi semi erano un bene prezioso al quale si attribuiva un valore mistico e religioso.

Usati come forma di pagamento ed unità di calcolo: 400 semi di cacao costituivano uno zontli, mentre 8000 formavano uno xiquipilli, ma la loro funzione più importante era, non a caso, culinaria. Dopo essere stato tostato, macinato, mescolato con un liquido e sbattuto fino a diventare spumoso, il "cacao" veniva servito come ingrediente principale di una bevanda schiumosa chiamata xocolatl. Tale preparato, amaro e scarsamente appetitoso, somigliava molto poco al cacao dolce e gradevole che apprezziamo oggi, tuttavia, gli aztechi sapevano che una tazza di xocolatl eliminava la fatica e stimolava le forze fisiche e mentali, per cui era strumento per la sopravvivenza e per la trascendenza.

Come per tutte le piante di elevato significato sociale e simbolico, anche il nostro cacao vantava origine divina.
Narrava infatti una leggenda atzeca che una principessa, lasciata a guardia delle ricchezze dello sposo, un grande guerriero partito a difendere i confini dell'impero, venne assalita dai nemici che, invano, tentarono di costringerla a rivelare dove fosse nascosto il tesoro. Per vendetta la uccisero e dal sangue versato dalla fedele sposa, nacque la pianta del cacao, il cui frutto nasconde un tesoro di semi, amari come le sofferenze dell'amore, forti come la virtù , lievemente arrossati come il sangue: era il dono di Quetzalcoatl alla fedeltà pagata con la morte, la stesa fedeltà che, nell'immenso impero azteco, legava i sudditi all'imperatore.


Si stanno addensando nubi sull'impero azteco

Probabilmente i primi europei ad entrare in contatto con la pianta ed i frutti del cacao sono stati gli uomini di Colombo nel corso del quarto viaggio esplorativo, tra il 1502 ed il 1504. Le navi spagnole, approdate all'isola di Guanaja, al largo dell'Honduras, si videro venire incontro una canoa indigena condotta da venticinque vogatori: era carica di tessuti, armi, vasi e anche piccoli semi scuri che venivano usati dagli indios come moneta: erano i frutti dell'albero del cacao. Naturalmente i navigatori spagnoli non potevano saperlo e tanto meno potevano immaginare il tesoro che si nascondeva in quei piccoli semi, ed inoltre, sarà stato un grande stupore vederli usati come denaro: senza dubbio si saranno chiesti quale valore celassero, ma le cose in questa fase non andarono oltre.

Quetzalcoatl era un dio assente, in quanto da millenni ormai aveva abbandonato il suo popolo, dopo che un altro dio, malvagio ed ingannatore lo aveva sconfitto, però aveva giurato che un giorno sarebbe tornato per vendicarsi e riportare allo splendore di un tempo il suo popolo azteco: dio bianco di un popolo dalla carnagione scura, aveva promesso che sarebbe tornato dal mare. Quando nel 1519 giunsero le navi di Hérnan Cortes e ne discesero uomini bianchi e barbuti, gli aztechi non ebbero dubbi: Quetzalcoatl era tornato, il dio bianco giungeva veramente e come promesso al suo popolo, dal mare! Montezuma, imperatore e sacerdote, accolse personalmente gli uomini di Cortés e rese omaggio all'uomo che di lì a poco avrebbe distrutto la sua vita ed il suo regno. Insieme ad altri onori, offrì la scura bevanda speziata del xocolatl, ma ai 'conquistadores' interessava una cosa solo: l'oro e non avevano né il tempo né la voglia di abbassarsi ai costumi di un popolo che ai loro occhi, era barbaro ed infedele, per cui, disprezzabile sopra ogni cosa.

Così l'impero azteco venne distrutto e le sue meraviglie scomparvero: tutto distrutto col ferro e fuoco. Ma le abitudini quotidiane non potevano essere cancellate così rapidamente. Anche sotto il dominio spagnolo i contadini continuarono a nutrirsi di mais ed a bere xocolatl: così potevano camminare per lungo tempo sulle impervie stradicciole di montagna e piegare la schiena per il duro lavoro coatto del raccolto senza avvertire, se non minimamente, la fatica. Nella mente degli spagnoli cominciò a farsi largo l'idea del perché quella bevanda, quella pianta, fossero considerate sacre e preziose per cui, da quel momento anche il cacao e la cioccolata divennero parte integrante del loro bottino di guerra. Cortés rimpatriò nel 1528 portando con sé anche i frutti dell'albero di cacao che presentò a Carlo V° e suscitarono un grande interesse tra i botanici, così pure l'attrezzatura per la preparazione della bevanda del xocolatl che entrò immediatamente a far parte delle abitudini degli spagnoli: seguirono la ricetta simile a quella usata dagli aztechi, aggiungendo però peperoncino ed altre spezie piccanti per contenere il sapore fortemente amaro. Non sapendo con esattezza la data di quando fu aggiunto lo zucchero a tale bevanda che divenne molto più gustosa e la sua popolarità aumentò piacevolmente.

La Spagna cominciò a piantare alberi di cacao nelle terre conquistate oltreoceano e l'aristocrazia spagnola era ancora l'unico consumatore di cacao in Europa e tenne segreta per circa un secolo questa "misteriosa pozione" che col passare del tempo, si cominciò a servire calda con l'aggiunta di vaniglia o cannella.
Bernardino de Sahagun, frate francescano, a metà del XVI° sec descriveva la pianta del cacao in una delle principali opere sulla cultura azteca "…chiamano l'albero da cui si fa il cacao cacahuacuàhuitl è di media grandezza ed ha foglie grandi col frutto che produce simile alle pannocchie di mais o poco più grandi e dentro ha grani di cacao: fuori è violaceo e dentro rosso. Quando è fresco, se se ne beve molto, ubriaca, altrimenti bevuto moderatamente, rinfresca". L'uso dei semi come moneta era così diffuso che esistevano perfino dei 'contraffattori', prosegue il francescano "…che cattivi commercianti di cacao vendevano semi di cacao falsi, ovvero piccoli che venivano lasciati a bagno in acqua calda perché si gonfiassero, oppure tostati nella cenere calda ed avvolti con creta o terra umida onde aumentarne le dimensioni, o addirittura, le bucce del seme riempite con un impasto nero ottenuto dall'avocado". Era un'abitudine talmente diffusa che nelle lingue locali, all'arrivo degli spagnoli, si usavano le espressioni -falsificare il cacao-cacao falsificato-falsificatore di cacao-.

Anche i maya dello Yucatan usavano il cacao come oggetti di scambio: frate Diego de Landa, più noto per essere il responsabile della distruzione della maggior parte dei codici maya ed allo stesso tempo autore dell'unico libro su tale popolo del XVI° sec., racconta che "… in quella regione barattavano sale, vestiti e schiavi per cacao". In realtà erano solamente i semi più grandi e di migliore qualità che venivano usati come mezzo di scambio "monetario": gli altri erano destinati alla preparazione della cioccolata. La cioccolata si beveva appena finito di mangiare e prima di fumare il tabacco, altra pianta originaria di queste terre. Nella preparazione, i semi di cacao si tostavano sopra un piatto da cottura -comal- prima di essere sbucciati e macinati a mano sopra un piano inclinato in pietra -metate- con un matterello: l'acqua per diluire la pasta così ottenuta doveva essere calda e le spezie per insaporirla erano di vari tipi, ma la più usata era il peperoncino, inoltre, se si voleva dolce, si aggiungevano vaniglia e miele, poichè lo zucchero come il latte non esistevano ancora in quelle terre.

I governanti, nobili ed i guerrieri non potevano ubriacarsi, pena la morte e la pubblica ignominia: a loro era riservata la bevanda di cacao con maggior quantità di schiuma e preparata usando solo cacao puro con la sola aggiunta di spezie. Sempre Sahagun racconta che nei banchetti "…appena finito di mangiare tutti si lavavano di nuovo le mani e poi si metteva davanti ad ognuno di loro il suo bicchiere di cacao e lo bevevano, e poi si mettevano di fronte le canne di fumo -sigari- da ciucciare". Altro personaggio di cultura della metà del '500, Lopez de Gomara, osserva che la "…cioccolata non ubriaca, anzi, rinfresca molto e per questo la devono fredda quando hanno caldo e sudano, consola e dona forza". E' solo verso la fine del 1500 che incominciarono ad essere inviati carichi di cacao dal Messico alla Spagna, che arrivava in forma di impasti preparati nel luogo di coltivazione della pianta e solo successivamente si iniziò a lavorare in Europa il cacao che giungeva in semi.

La coltivazione del cacao, da parte degli spagnoli e portoghesi, si estese a quasi tutti i paesi dell'America centrale ed al Brasile, e l'esportazione in Europa fu oggetto di aspre lotte tra le varie compagnie di commercio ufficiali e piratesche, soprattutto olandesi ed inglesi. La cioccolata conquistò prima le classi sociali delle popolazioni di origine spagnola e meticcia che si trasferirono nel nuovo mondo e successivamente in Spagna e da lì al resto dell'Europa, che diventò e rimase la bevanda prediletta dell'élite. In Italia fu portata da Caterina d'Austria, figlia di Filippo II° di Spagna, che andò in sposa a Carlo Emanuele I°, duca di Savoia. Da non sottovalutare la presenza nell'Italia meridionale di governanti spagnoli e che per la loro influenza, si diffuse. Inoltre, anche il ruolo dei missionari che producevano cacao nelle colonie, fu importante e determinante. Anni dopo, nel 1740, durante il conclave che elesse papa Benedetto XIV°, ne furono consumati quattordici chili.
Francesco D'Antonio Carletti ebbe l'indiscusso merito di portare la cioccolata a Firenze, al ritorno da un viaggio intorno al mondo allora conosciuto, dal 1594 al 1606.

Francesco Redi, fisico della corte di Cosimo II° de'Medici, si dilettava a preparare con scorza di limone, muschio ed altro ancora, diventando famoso per la cioccolata ai fiori di gelsomino, la cui ricetta originaria si rifiutò sempre di diffondere, per cui… è sepolta con lui! La cioccolata fiorentina divenne talmente rinomata che lo stesso Cosimo III° la inviava in dono, insieme al vino toscano, ai sovrani europei. In Francia, la cioccolata divenne di moda dopo il matrimonio di Luigi XIV° con Maria Teresa d'Austria, figlia di Filippo IV°, avvenuto nel 1659, che per diversi anni la preparazione ed il commercio furono oggetto di un monopolio concesso dal re a David Chaillou e fino al 1688 fu l'unico cioccolataio di Parigi. Qui, come in Italia la cioccolata era considerata anche un medicinale, ma la diffusione aveva effetti del tutto inaspettati, poiché la marchesa de Sévigné, nel seicento, volle attribuire al consumo esagerato di cioccolata la nascita di bambini di colore, partoriti da alcune dame di corte!!!

Durante il XVII° sec. l'uso della cioccolata si estese in Olanda e Germania. In Inghilterra, con tutta probabilità il cacao arrivò tramite i pirati che assalivano le navi spagnole di ritorno dalle Americhe, ma la sua diffusione si deve all'apertura, nel 1650 ad Oxford, del primo caffè in cui si servivano caffè e cioccolata. I caffè si diffusero rapidamente ed alcuni si trasformarono in famosi ed esclusivi club, tra i quali il Cocoa Tree Club di Londra, il White Chocolate House, dove si giocava d'azzardo e si discuteva liberamente di politica ed l'At the Coffee Mill and Tabacco Roll, che proponeva il cioccolato in forma di pasticcini.

Nasce il cioccolato: solido, raffinato, accessibile

Walter Churchmann, in Inghilterra nel 1728, inventa la pressa idraulica per la frantumazione dei semi, azionata da una macchina a vapore: è l'inizio della progressiva meccanizzazione dei laboratori dolciari, sempre più spesso localizzati sulle sponde di corsi d'acqua e fiumi, Nel 1732 in Francia, Dubuisson costruisce un particolare tavolo orizzontale riscaldato permettendo così agli artigiani del cioccolato di preparare la pasta di cacao stando in piedi. Doret, nel 1778, mette a punto la prima macchina idraulica per macinare la pasta di cacao e mescolarla con lo zucchero. Poco dopo, in Inghilterra, la Joseph S. Fry che aveva acquistato il brevetto di Churchmann, applica la macchina a vapore di James Watt alla macinazione dei chicchi.
Dopo il blocco continentale d'epoca napoleonica, con la Restaurazione il cacao ricompare sul mercato europeo e sono già presenti le basi tecnologiche per la nascita di una produzione industriale: tali fasi saranno le innovazioni dei grandi imprenditori europei a riuscire determinanti.

La vera svolta determinante ed irreversibile, si verificò grazie all'intuizione di un farmacista olandese nel 1828, Coenraad J. Van Houten: ideò un pressa a vite per separare il burro di cacao dalla pasta, che poteva poi così venire ridotta a polvere; aggiungendovi sali alcalini, cioè carbonati di potassio o di sodio, il cacao diventava più leggero e solubile, facilmente utilizzabile per una bevanda a buon mercato. Tale sistema di alcalizzazione del cacao prese il nome di 'dutching' da dutch, cioè olandese. L'utilizzo del burro di cacao segnò cambiamenti definitivi e sostanziali nella produzione del cioccolato rendendolo più malleabile, per cui permetteva di modellarlo. Fu Francis Fry, nel 1847, a produrre la prima barretta di cioccolato, aggiungendo al posto dell'acqua nella miscela di cacao e zucchero, il burro di cacao. La chiamò "Chocolat délicieux à manger" e lo si poteva effettivamente considerare il primo cioccolato da mangiare: era l'inizio della produzione del cioccolato moderno!

La J. S. Fry & Sons di Bristol divenne rapidamente la più grande fabbrica di cioccolato al mondo, dovuto soprattutto all'esclusiva ottenuta sulla fornitura alla Royal Navy. Ma non passò molto tempo che tale azienda venne superata dalla fabbrica Cadbury di proprietà della famiglia di quaccheri che, presso Birmingham, avendo un'analoga esperienza francese, vollero creare una vera città modello del cioccolato. I Cadbury, acquistata la macchina ideata da Van Houyen su cui avevano fondato la loro fortuna commercializzando un cacao molto raffinato, il 'Cadbury cocoa essence'; si deve al genio artistico e commerciale di un membro della famiglia, la prima scatola di cioccolatini decorata, che diventando un successo strepitoso, diede inizio ad un vera moda. L'ultimo passo nell'evoluzione del cioccolato verso la modernità del traguardo finale, lo si deve allo svizzero Rodolphe Lind, che nel 1879 inventa il concaggio: scoperta del tutto casuale e frutto imprevedibile della sbadataggine di un operaio che, al termine del proprio turno lavorativo, lasciò in funzione un macchinario per la notte.

Tale procedimento, messo poi successivamente a punto, consentì di passare da un cioccolato solitamente molto granuloso al prodotto a cui siamo abituati oggigiorno: tanto fine e vellutato da venir denominato fondente, come il preparato a base di zucchero. A partire da questo momento, dovuto sempre più ad un maggior impiego di tecnologia, il cioccolato raggiungerà livelli elevatissimi di qualità e raffinatezza Agli albori del XX° sec. cresce sempre più la domanda, ma anche la concorrenza, per cui i produttori puntano sulla qualità con un cioccolato puro, senza adulterazioni allora così diffuse e marcate. La grande industria del settore, oggigiorno risulta ormai completa, sia in Europa che i America, in cui sono presenti quei nomi, divenuti storici, che ancora oggi ne dominano il mercato ciascuno con le proprie peculiarità: si confrontano diverse scuole e tradizioni nazionali, nate soprattutto dal gusto prevalente in ciascun stato, ma in breve tempo portate a misurarsi oltre i confini nazionali.

La Coltivazione

L'albero del cacao, oltre che nei paesi dell'America centro-meridionale: Messico, Venezuela, Colombia, Guatemala, Equador, Brasile; si coltiva in Asia: Giava e Sri Lanka nel 1880, Singapore, Fiji Samoa ed Hawaii nel 1890; in Africa: Camerun, Costa d'Avorio e Ghana nel 1925, Nigeria nel 1874, Tanzania e Madagascar nel 1899

La preziosità del cacao è nel frutto, la cabosse.

Tronco sottile con fogliame molto decorativo che assume tante tonalità prima di arrivare al verde della maturità: splendidi toni di rosso, del marrone e del bronzo, ma in media, solo uno su circa cento si trasformerà in frutto nell'arco di 5/7 mesi. In crescita spontanea raggiunte circa 10 m. di altezza, ma nelle piantagioni, onde facilitarne il raccolto, lo si tiene al massimo di 5/6; l'habitat è quello tipicamente tropicale con un'altitudine media di circa 400 m. s.l.m., inoltre, il terreno deve essere molto ricco di potassio ed azoto ed il clima sufficientemente umido con una temperatura compresa tra i 20 e 30°C.: questa delicata pianta, che appartiene alla famiglia delle sterculiacee, cresce velocemente, ma occorre potarla spesso per limitarne la crescita, ed al secondo anno fiorisce mentre al quarto fruttifica. Presenta foglie alterne e fiori ermafroditi delicatamente rosei che spuntano dai rami o dal tronco stesso e la cabosside, cioè il frutto nella sua interezza, è lungo circa da 15 a 20 cm. e ricorda nella forma, un pallone da rugby. I frutti, da verdi, possono diventare gialli, rosso porpora o viola, ma ogni coltivatore sa che l'unico modo per valutarne la maturazione risulta essere quello di batterci sopra le dita: dal rumore sordo che emette si riesce a definirne lo stato di maturazione. Ogni frutto contiene circa quaranta semi amari disposti in cinque file ed avvolti in una polpa bianca e succosa, appena dolce dal vago sapore di melone.

La raccolta richiede molta attenzione e cautela: si uniscono il metodo tradizionale ad una sorta di rituale scrupolosamente rispettato, poiché qualsiasi alterazione del fusto può mettere a rischio la successiva fioritura. Non ci si arrampica mai sulla pianta, per cui la raccolta si esegue a mano e con lunghe pertiche che all'estremità hanno lame taglienti per praticare il distacco dalla pianta. I frutti, così raccolti, vengono aperti col machete ed i semi rimossi a mano e posti a fermentare in locali aventi una temperatura di circa 60°C: il rivestimento si ammorbidisce fino a diventare quasi liquido per poi fermentare trasformandosi in alcol ed è indispensabile muovere continuamente i chicchi che, oltre a consentire una fermentazione uniforme, se ne scongiura la germinazione. La durata può variare da tre giorni ad una settimana, per cui più è prolungata, tanto maggiore ed intenso sarà l'aroma del cacao; successivamente i semi sono torrefatti a 130°C. per un tempo che varia da 10 a 30 minuti e essiccati a 80°C. per ridurre l'umidità dall'80 al 6-7%: ogni qualità di cacao necessita di un tempo di tostatura diverso.

In seguito sono riversati in un contenitore aperto dove pale ruotanti li muovono continuamente per raffreddarli per poi essere posti nel rompicacao ventilato che li spezza e libera dalla buccia: si ottiene così una granella di cacao senza buccia che viene messa in una particolare macchina trituratrice dove pesanti rulli di granito la schiacciano e lavorandola, la trasformano in una pasta densa e cremosa: mediante presse idrauliche, si applica il procedimento scoperto da van Houten nel 1828, estraendo la materia grassa, cioè il 75% del burro di cacao che a sua volta rappresenta circa il 54% del contenuto dei semi e divisa in pani che necessitano di una breve stagionatura di circa 3-4 mesi, prima di cominciare ad essere utilizzata. Nella fase successiva, la pasta così ottenuta, è mescolata a zucchero semolato per poi integrarla con un primo apporto di burro di cacao liquefatto, ottenendo la pasta di cioccolato che sarà raffinata e macinata fino a diventare fiocchi o polvere finissima: < 30 micron.

Il procedimento successivo, concaggio, inventato da Lindt nel 1879 consiste nell'amalgamare la pasta ed ossigenarla da 48 a 72 ore in conche che imprimono un movimento rotatorio ad una temperatura da 60 a 80°C.: tutti i componenti di base sono perfettamente mescolati, per cui eventuale umidità residua ed acidi volatili evaporano, donando al cioccolato omogeneità e consistenza straordinarie e fini. Con la fase del temperaggio il cioccolato viene lentamente raffreddato fino a 45°C. e raffreddato ulteriormente molto velocemente a 27°C e di nuovo portato a 29-30°C.per il cioccolato al latte ed a 31 per quello fondente: consente di ottenere una cristallizzazione fine e regolare del burro di cacao che amalgamandosi perfettamente agli altri componenti, lo rende di aspetto brillante.

L'ultima fase del percorso di produzione è il modellaggio: il cioccolato allo stato fuso viene versato in forme di plastica poste su basi vibranti che scotendo gli stampi, ne favoriscono la distribuzione uniforme ed eliminano eventuali bolle d'aria. Ormai in uscita dal laboratorio di produzione, le barrette o i blocchi passano in un tunnel refrigerante e sono pronte per il confezionamento: il cioccolato si conserva ad una temperatura ideale di 15-16°C. con umidità inferiore al 50%: quello fondente è il meno delicato e può rimanere inalterato anche per circa tre anni, mentre quello al latte, al massimo un anno e quello bianco, dopo otto mesi comincia ad evidenziare qualche deciso cambiamento.

Tipologie di coltivazione

Tre sono le principali varietà di theobroma cacao coltivate per ricavarne i semi:
- criollo - Prende il nome da creole, cioè straniero, così lo battezzarono gli spagnoli. E' il cacao dei maya, originario del Messico, dell'America centrale e in particolare nel Venezuela, dove da Maracaibo si produce la qualità più pregiata, il 'porcelana' ed è l'unico coltivato nel XVII° sec. Chiamato in passato anche 'carassa', è di difficile coltivazione perché soggetto a malattie e se ne produce solo il 5% della produzione mondiale: i frutti verdi, maturando si fanno rossicci e racchiudono semi opachi biancastri e tondi, è molto ricco di burro di cacao con un gusto delicato e aromatico, bassa acidità e non amaro, inoltre, è molto costoso e di rado è utilizzato in purezza.

- forassero - Originario dell'Amazzonia, fu introdotto dai portoghesi nell'isola di Sao Tomé; è il più diffuso anche in Africa e fornisce il 90% della produzione mondiale. Il frutto è giallo, tondeggiante e liscio che maturando si vena di verde con semi piatti ricchi di tannino: la varietà più apprezzata è il 'nationan', particolarmente fine e delicato , che deriva dal una tipologia coltivata in Equador, 'amenolado'.

- trinitario - E' l'incrocio tra i due precedenti tipi ed è stato impiantato per la prima volta a Trinidad nel 1727: frutti violetti ed affine al forastero per produttività e molto simile al criollo per la buona qualità. Si coltiva soprattutto in America centrale e meridionale, Indonesia e Sri Lanka, dai stupendi fiori multicolori.


CONSUMI MONDIALI
Il primo posto spetta alla Svizzera, seguita dalla Norvegia, mentre l'Italia è in decisa risalita, con un consumo pro-capite che si aggira attorno a 3,5 kg. pro-capite annui.

Cacahuatl - la bevanda di cacao
Cacahuachiua - fare, preparare il cacao
Cacahuaciuani - è quello che prepara il cacao
Cacauapinolli - è la bevanda o schiuma di cacao
Cacapoconillotl - è la schiuma di cacao
Cacauachichiua - è alterare ed imitare la bevanda di cacao

ma se il nome usato dagli aztechi per chiamare le bevande fatte con cacao era cacahuatl, perché i francesi chiamano "chocolat" la cioccolata, gli inglesi "chocolate", gli spagnoli "chocolate" e noi italiani "cioccolata"?
Forse perché deriva dalla parola chocoltl, utilizzata per indicare uno dei modi più diffusi di preparare il cacao? Oppure deriva dall'unione fatta dagli spagnoli del vocabolo maya-chocol e quello nahuati, la lingua degli aztechi, atl-acqua, o ancora dal verbo maya - chokola'j-bere cioccolata insieme?

FASI DI PRODUZIONE DEL CACAO E DEL CIOCCOLATO

RACCOLTA
APERTURA
FERMENTAZIONE
TOSTATURA
MACINATURA
PRESSATURA MESCOLAMENTO
POLVERIZZAZIONE RAFFINAZIONE
CACAO IN POLVERE CONCAGGIO
TEMPERAGGIO
MODELLAGGIO
RAFFREDDAMENTO
CIOCCOLATO SOLIDO

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