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Il picotendro de La Kiuva: un nebbiolo scolpito nella roccia, di Enzo Zappalà

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Il picotendro de La Kiuva: un nebbiolo scolpito nella roccia

di Enzo Zappalà

Entrare in Valle d’Aosta è sempre un’emozione. Le montagne si avvicinano, stringono la Dora Baltea tra due pareti quasi verticali. Il mondo della nebbia è terminato e la strada è indicata dai profili inconfondibili della Serra d’Ivrea e delle colline di Candia, residui ancora imponenti delle morene glaciali che ospitavano il grande ghiacciaio che inondava la pianura migliaia di anni fa. Ai lati del fiume, che ancora spumeggia memore della sua nascita tra ghiaccio, roccia e salti improvvisi, enormi massi levigati da millenni giacciono tra i prati, come giganti addormentati.

Vi è sempre un attimo di esitazione a entrare in questo nuovo mondo che solo l’autostrada vi aiuta a superare facilmente: mondo arcaico, severo, leale, senza inutili fronzoli e sdolcinature. Tra i sassi scolpiti dal tempo e da una Natura spesso estrema e impietosa, si affacciano le piccole vigne. L’opera dell’uomo è ben visibile sia nei terrazzamenti che nei “pali” in pietra grigia. Non è, però, guerra contro un terreno ostico e duro, ma tacito accordo, sostegno reciproco, simbiosi completa.

Si capisce subito che il vino bianco che si produce deve essere sapido, minerale, vivo e incurante degli anni, essenza stessa della fatica umana e della Natura potente e indomabile. Per chi, come me, ama i risultati sinceri, umili, scarni, autentici, la Valle d’Aosta enoica ha da sempre significato un luogo magico e ideale per i bianchi. Uno su tutti: il Petit Arvine.

Si potrà dire che la sua origine è al di là delle Alpi, forse addirittura tra le colline nei pressi della Loira. Poco importa. Anche se fosse un emigrato, è indubbio che ha trovato la sua vera patria tra i massi, i ripidi pendii che scendono dai possenti quattromila, le escursioni termiche micidiali che temprano e stimolano i veri fuoriclasse. Lui non ha timore del mondo misterioso e antico della Valle, si sente a suo agio mentre ammira il solenne volo dell’aquila o assiste alle giocose e ardite peripezie degli stambecchi e dei camosci.

La gioia del Petit Arvine deve avere suggestionato il ribelle, scontroso, audace nebbiolo. Anch’egli è vitigno che non teme difficoltà, spesso arroccato ai piedi dei monti. E da lì li guarda con paura e desiderio. Le morene glaciali devono averlo spronato ad entrare, ad accettare una nuova sfida. Lo faceva in Valtellina, lo avrebbe fatto anche in Valle d’Aosta. Lui non era uva di montagna, come i fratelli che già popolavano e si riscaldavano al tiepido Sole condiviso con le alte cime sempre innevate. Lui era figlio di re, vitigno nobile tra i nobili, Signore incontrastato delle Langhe.

Ma era anche “cavaliere senza macchia e senza paura” e quella Valle di castelli e di donzelle, di rudi combattenti e di rocche inaccessibili, lo chiamava e lo attirava a sé come le sirene con Ulisse. Alla fine entrò, si spogliò dell’eleganza esteriore e del potere acquisito. Si fece umile, scarno, pronto alla lotta. I suoi acini rimpicciolirono per meglio difendersi dalle intemperie e per meglio maturare. Centellinò ogni raggio di Sole, divenne Picoutener, “piccolo” e “tenero”. Lui, proprio lui, che era l’imperatore dei vini. Si spinse fino ad Arnad e Montjovet, fino ai limiti della sopravvivenza.

Solo l’uomo di montagna poteva capire la sua impresa, simile alla prima invernale di una parete ghiacciata. Quell’uomo comprese e si adattò. Imparò a coccolare il re che si era fatto montanaro. Non poteva certo aspettarsi le raffinate sensazioni che scaturivano in Langa, ma il Picotendro (così ormai si chiamava) aveva mille frecce al suo arco. La schiettezza, la ruvidità dei tannini, i sentori di spezie e di pepe riuscivano comunque a fondersi in maniera mirabile. Era diventato compagno di merende fatte di sapori forti, come il lardo o la mocetta, ma anche di carne pregiata e selvatica. Bisognava ascoltarlo in silenzio, avere fiducia, non cercare di piegarlo a compromessi o -ancor peggio- di nascondere l’apparente scontrosità iniziale. Il tempo avrebbe giocato per lui e sarebbe tornato al fasto essenziale e severo dei castelli della Valle.

La Cooperativa La Kiuva, ad Arnad, ha saputo interpretare perfettamente il linguaggio scarno e senza fronzoli del Picotendro e lo ha eletto a simbolo stesso dell’opera eroica dei soci conferitori. Ha scelto le giuste cantine per farlo riposare e tra poco lo farà entrare nel castello che domina il paese. Vi sarà un connubio autentico tra opere d’arte naturali, umane e grande vino. Un progetto ambizioso, rivoluzionario, ma appassionato e sicuramente vincente.

Basta chiacchierare con il responsabile commerciale Alberto Capietto e le sue parole sembrano uscire direttamente dal gioiello della casa, da un nebbiolo veramente scolpito nella roccia. Ed è un piacere sorseggiarlo sia nella scalpitante gioventù che nella più seducente ed elegante maturità. Non vi stupirete certamente che per seguirlo nella sua avventura sia stato chiamato Sergio Molino, enologo di Langa, maestro indiscusso di questo vitigno.

Le idee di Alberto sono chiare e concise: libertà completa per i due fuoriclasse, Petit Arvine e Picotendro. Come sudditi fedeli e devoti, o meglio come compagni di viaggio, poche scelte ben mirate. Uno chardonnay in legno per le feste nei saloni dove gli affreschi ricordano i balli, le imprese, gli amori e le battaglie di cavalieri e donzelle; una selezione di picotendro per sentire il vento e la forza della natura che le mura possono solo sopire; un passito incredibile, da bere con il “cucchiaino”.

Due parole in più su questa “chicca”. Ho avuto la fortuna di assaggiarlo in anteprima: un soffio di eleganza e di calore, di dolcezza mediterranea trattenuta, in perfetto equilibrio con la forza acida delle vette alpine; una densità da capogiro che vi ricorda i laghi nebbiosi al confine tra Austria e Ungheria. Una sintesi magistrale dei profumi e dei sapori di tutte le latitudini. Dalla frutta candita e dai datteri fino alle erbe dei pendii costellati di stelle alpine, ai genepì dei dirupi ventosi. Gli occhi di Alberto e del cantiniere che lo accudisce brillano nell’ansia di farlo uscire allo scoperto.

La Kiuva, è un esempio di passione e di sapienza. Vale un viaggio e non abbiate paura di farvi trascinare dal canto delle antichissime morene glaciali che vi invitano ad entrare tra le pareti incombenti. Abbiate fiducia: il picotendro vi aspetta per spiegarvi il fascino di una Valle autentica e sincera.

SOCIETÀ COOPERATIVA LA KIUVA
Fraz. Pied de Ville, 42 - 11020 ARNAD (AO)
Tel: 0125 966351
Email: info@lakiuva.it
Sito web: http://www.lakiuva.it/

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Astrofisico per 40 anni, ho da sempre coltivato la passione per il vino e per il mondo che lo circonda. Vedo di traverso la seriosità che...

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