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Il principe, il povero, il roero e il Roero (prima parte), di Enzo Zappalà

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Il principe, il povero, il roero e il Roero (prima parte)

di Enzo Zappalà

Nella storia dell’uomo sono sempre esistiti i ricchi e i poveri. A volte, queste condizioni sono state capovolte da eventi successivi, ma i casi non sono moltissimi. Lo stesso vale per i vini. Ciò non vuole dire che chi ha raggiunto una certa fama e una certa condizione privilegiata non se la meriti in pieno. Il più delle volte la salita verso il paradiso enoico è stato ottenuta attraverso fatica, lotte, miglioramento delle tecniche di vigna e di cantina, conoscenza del territorio e delle sue potenzialità; altre volte, invece, da un’azzeccata opera di promozione e di “marketing”. Non voglio fare esempi della seconda categoria di “ricchi”, ma alla prima appartengono sicuramente il barolo e il barbaresco.

Per i vini italiani non è stato (e non è ancora) facile riuscire a competere con la fama dei cugini francesi. I vini d’oltralpe sono veramente più buoni? Mah… i dubbi restano e come. Tuttavia, smantellare l’egemonia raggiunta da secoli di fama e ricchezza non è operazione semplice. E nemmeno utile. Meglio puntare verso l’alto piuttosto che sperare in un abbassamento del livello degli antagonisti.

L’Italia non sta certo a guardare, ma, purtroppo, la Francia ha una marcia in più nel modo di presentarsi, di valorizzare i propri vini e le loro annate. Tanto per fare un esempio: avete mai sentito i critici francesi del settore parlare di annate veramente scadenti? No, essi cercano di salvare il salvabile e accennano a vini eleganti, bevibili, equilibrati, nelle annate disastrose, per poi scatenarsi in lodi entusiasmanti nelle annate normali o eccezionali. Da noi avviene quasi sempre il contrario. Le annate hanno sempre qualche difetto e questo viene scoperto e pubblicizzato anche mesi prima della vendemmia. Siamo fatti così, che farci? Ai nostri critici piace proprio “criticare”.

Tuttavia, il vino dovrebbe parlare da solo. Purtroppo, questo non sempre avviene e molti poveri restano poveri, indipendentemente dal loro valore intrinseco. Un caso che conosco molto bene è quello del roero, quello “rosso”, soprattutto. Si coltiva a pochi chilometri di distanza dai “ricchi” barolo e barbaresco, ma chi lo capisce e chi lo conosce? Eppure è anch’esso figlio del nebbiolo, il più grande dei vitigni.

Niente da fare, le frasi sono sempre le stesse: “Sì, sì, è buono, ma vuole scimmiottare i cugini al di là del Tanaro. Non ha personalità. Non ha grande struttura. Non è né carne né pesce. Non sa ancora cosa farà da grande. …” e via dicendo. Insomma resta un “povero”, circondato da frasi fatte e da luoghi comuni. Spesso è addirittura un perfetto sconosciuto.

Di chi è la colpa? Si farebbe presto a dire dei critici che amano, appunto, criticarlo o quanto meno sminuirlo. O magari ripetere la solita litania: “Non ha ancora una sua fisionomia, ma sta migliorando”. Io penso che la vera colpa indiretta sia della vicinanza dei ben più blasonati vicini di casa. Se lo stesso vino si facesse in un’altra regione o nazione, sarebbe ormai diventato ben più celebre e osannato.

Ma come competere con barolo e barbaresco? Di certo non imitandoli. Milioni di anni di storia geologica del terreno li dividono. Tuttavia, il roero non è solo sabbia, ma un mix eccezionale di terreni sconvolti dal cataclisma che ha dato origine alle Rocche. Bisognerebbe lasciarlo vivere in modo indipendente, senza curarsi delle critiche a volte banali e ripetitive. Il roero deve essere conosciuto per quello che è e non per quello che altri vorrebbero o penserebbero di trovare. Il roero non ha, forse, la potenza del barolo e certe sfumature del barbaresco, ma ha molte altre frecce al suo arco: eleganza ed equilibrio, sentori fruttati che si mantengono più a lungo, piacevolezza di beva, immediatezza e persistenza. Qualità che spesso sono vincenti per molti mercati esteri e non solo. L’epoca delle marmellate e dei vini da tagliare con il coltello sembra ormai finita.

Forza roero, svegliati e fatti sentire! Sei nato povero, ma puoi raggiungere i “principi” che ti guardano al di là del grande fiume. Non certo scimmiottandoli, ma regalando la tua personalità vera e non quella forzata che molti vorrebbero importi. Vai avanti per la tua strada, non curarti delle critiche e dei giudizi. Chiedi ai tuoi artefici e a chi deve proporti al mercato italiano ed estero di presentarti per quello che sei, senza inutili e approssimativi mascheramenti. Sei un povero che può e deve diventare ricco.

Prima di tutto devi convincere chi vive sulla tua terra. Fa loro capire che devono valorizzarti senza correre dietro ai vestiti lussuosi dei rivali di Langa. Convincili che non possono essere sempre remissivi e succubi dei molti critici che, in fondo, nemmeno ti conoscono o ti vogliono conoscere. Solo così uscirai veramente allo scoperto e sarai ricco tra i ricchi. E vedrai che anche chi storce il naso, adesso, seguirà immediatamente il tuo successo e userà parole ben diverse nei tuoi confronti. Magari esclamerà anche: “Io l’avevo detto…”

Il tuo territorio, però, non è solo vino, ottima cucina e grandissimi prodotti agricoli. E’ molto di più, ma ben pochi lo sanno. Caro roero, fatti aiutare da ciò che ti circonda, stimola l’interesse del turista verso i segreti nascosti nei tuoi villaggi, nelle chiese e nei castelli. Ricorda a tutti la tua storia romana, quando un’importante strada attraversava le tue colline, lasciando ancora oggi segni indelebili. Vedrai che anche tu ne trarrai vantaggio.

Se vuoi, nel mio piccolo, posso aiutarti. Facciamo un piccolo censimento e buttiamo giù una proposta.

(continua)

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Astrofisico per 40 anni, ho da sempre coltivato la passione per il vino e per il mondo che lo circonda. Vedo di traverso la seriosità che...

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