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Nuoce gravemente alla salute, di Enzo Zappalà

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Nuoce gravemente alla salute

di Enzo Zappalà

Un semplice racconto assurdo, grottesco, sicuramente impossibile per l'intelligenza dell'homo sapiens... Ne siamo proprio sicuri?

Ero appena nata. Io con il mio prezioso contenuto. Tra non molto sarei stata messa in commercio. Ero contenta, felice: avrei avuto l’onore di portare in giro per il mondo il lavoro del mio padrone, la sua fatica, la sua emozione e la sua passione. Erano millenni che ciò capitava, anche se una volta non avevo certo la forma di oggi. L’idea, il concetto, però, erano sempre gli stessi: una meraviglia della natura a disposizione degli uomini.

Tuttavia, non riuscivo a capire perché le mie sorelle più vecchie si lamentassero, fossero tristi, scontrose, arrabbiate. Dov’era il problema? Perché non gioivano come me? Poi lo capii e fu una doccia fredda, inaspettata. Entrò il mio padrone con gli occhi altrettanto tristi e forse anche un po’ lucidi. Aveva in mano un rotolo lunghissimo di etichette e iniziò a fare un’operazione che mi sconvolse, malgrado fossi ancora ingenua e impreparata. Quel pezzo di carta che stava per appiccicarmi addosso non lasciava dubbi, quel teschio nero lo conoscevo anch’io e quelle poche righe le capivo perfettamente: “Nuoce gravemente alla salute. Causa le stragi delle strade. Uccide i giovani. Contiene il mostro del secolo, il diavolo, il male assoluto, il frutto marcio della società moderna, l’alcol etilico”.

Il padrone, intanto, stava parlando con il figlio: “Siamo obbligati. E’ la nuova legge. Non ci vietano di venderlo, dato che fa entrare soldi nelle casse dello Stato, ma, come le sigarette, deve essere etichettato come una vergogna, un peccato, una mostruosità. Devi prepararti ad essere insultato da chi saprà che lavoro fa tuo padre”. Nel frattempo, si guardò le mani pieni di calli e di piaghe e una lacrima gli scivolò sulla prima etichetta.

Cercai di non accettare quel “dono” così poco gradito, avrei voluto distruggermi, sparire e non pensare. Non ce la feci e riuscii solo a rotolare sul pavimento e uscire dal portone della cantina. Gli occhi lucidi del padrone non mi videro e mi ritrovai nel mondo che fino a pochi minuti prima non vedevo l’ora di conoscere. Adesso, però, lo stavo odiando e mi faceva una paura enorme. Ero diventata il simbolo del più nefasto dei peccati umani ed ero sola, spaesata, incapace di agire! Che fine avrei fatto?

Lo seppi quasi subito, una macchina mi vide e si fermò. Scesero quattro giovani un po’ strani (diversi dal figlio del mio padrone) e, ridendo, mi portarono con loro. Entrai in un’enorme sala piena di chiasso e di luci. “Discoteca” la sentii chiamare. Uno dei ragazzi che mi aveva raccolto disse agli amici: “Guardate! Era davanti a una cantina. Magari è un vino molto buono e molto caro!”. Uno spilungone con la faccia stralunata rispose: “E chi se ne frega! E’ roba da bambini. Qui si beve di meglio e di più, e poi ci sono … queste!”. E mostro delle pasticche colorate su cui tutti si avventarono. Finii in un angolo.

Mi raccolse una ragazza molto vistosa che stava parlando con delle amiche: “Dai, andiamo, ci stanno aspettando per andare a casa di… “ la voce si abbassò e non sentii “Ci riempiranno di soldi. Portiamogli un regalo…” E risero tutte assieme. Ma anche in quella festa nessuno si accorse di me. Anzi, rimasi nella macchina di lusso che aveva accompagnato le ragazze. Avevano altro da fare.

Se ne accorse l’autista, che mi portò da amici con facce un po’ lugubri. Stavamo parlando di mafia e di soldi, tanti soldi. Mi guardarono solo un attimo, poi uno disse: “Ne potremo avere migliaia di bottiglie come queste. Anche ben più famose”. Mi buttò nel cestino della spazzatura. Avevano altro da organizzare e parlavano di milioni e milioni.

Non stetti molto in quella posizione. Mi raccolse un uomo ben vestito che si era fermato per fare un bisognino. “Oh!” disse “questa me la bevo più tardi dopo che mi avranno dato la tangente per quegli appalti. Adesso ho fretta!”. Schiacciò sull’acceleratore e si infilò nell’autostrada. Il tachimetro segnava 180 km/h quando la vettura si schiantò contro quell’utilitaria scalcinata che veniva in senso opposto e che portava due immigrati che stavano andando a raccogliere pomodori (in nero, ovviamente).

Dovevo essere fatta di vetro resistente perché venni scagliata in un prato e rimasi intatta. Meno male che non dormo mai, perché da lì a poco arrivarono tre giovinastri con una ragazzina, anzi una bambina, che urlava inutilmente. La violentarono e per farla stare zitta la colpirono ripetutamente con una pietra sulla testa. Poi scomparvero, ma uno, ridendo, mi raccolse.

Non ebbero tempo per bermi. Una volante li vide e li inseguì, ci furono spari e purtroppo uno di quegli “ultra-pagati” poliziotti cadde in una mare di sangue con gli occhi sbarrati e pieni di stupore. Sembrava un bambino a cui avevano portato via il regalo più prezioso.

Ero arrivata vicino al mare, non so nemmeno come. Riuscii con la forza della disperazione a raggiungere la scogliera e a lasciarmi cadere. Il vetro si ruppe e il vino si riversò nelle onde spumeggianti. Mi trovai a pensare: “Chissà se il dio Nettuno lo vorrà. Si ricorderà che una volta era bevanda sacra e tanto amata dai suoi parenti dell’Olimpo?”.

Eh sì. Contenevo proprio il male del secolo, il marcio del marcio e quel teschio avrebbe identificato perfettamente ciò che contenevo. Era meglio aver fatto questa fine. Tutto quello che avevo visto in poche ore erano sicuramente peccati veniali, piccoli, insignificanti per la società odierna. Lo diceva anche la televisione, il nuovo dio di oggi.

Gli ultimi pensieri si spensero mentre i miei frammenti si mescolavano alle conchiglie e alle pietre di mille colori, con il rumore quasi ironico della risacca.

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Astrofisico per 40 anni, ho da sempre coltivato la passione per il vino e per il mondo che lo circonda. Vedo di traverso la seriosità che...

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