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Una lunga storia, di Enzo Zappalà

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Una lunga storia

di Enzo Zappalà

Troppe polemiche, troppe parole, il vino merita altro. Forse ho sentito la sua voce che mi stava rimproverando … e ci provo con umiltà e passione.

Si ricordava ancora quando era nato. Quanto tempo era passato? Sicuramente tanto, ma non poteva stabilirlo. Non era capace di contare o di misurare. Oggi dicevano che sapeva fare di tutto e di più, ma quello sicuramente no. Eppure gli sembrava ieri che la prima uva era stata schiacciata con le mani ed i piedi da quel giovane mezzo uomo e mezzo dio, in quella foresta incantata. Ed era nato lui. Sapeva di essere considerato un “dono” divino e tutto gli faceva credere che fosse proprio così. Quando c’era lui tutto diventava allegro, la gente ballava, rideva, cantava, gioiva. Che bei tempi! Nessuno si preoccupava di scrutarlo e di analizzarlo. Lo capivano e lo bevevano. Un miracolo che avveniva automaticamente ogni volta che sua madre maturava e si trasformava. Erano tempi primitivi e ingenui. Sicuramente si. Ma erano anche tempi veri, genuini, semplici e puri. Oggi la chiamano “mitologia” e la considerano frutto di fantasie e di illusioni. Lui sa benissimo che non è vero, ma non può dirlo, nessuno capisce più la sua lingua.
In quei tempi antichi, non avrebbe mai pensato che la sua vita sarebbe stata così tormentata e complicata. L’uomo diventava sempre più astuto, logico, razionale, progredito e la civiltà (così la chiamavano) gli creava problemi sempre più grandi. Questo lui non l’aveva mai capito … Tutti i miglioramenti che venivano realizzati, invece di aiutare l’essere umano a sentirsi più allegro, spensierato e felice, producevano il contrario e la miseria cresceva e con lei l’odio, la rabbia, la tristezza. Lui, il vino, cercava di aiutarlo come aveva saputo fare tanto bene quando era un bimbo inesperto, ma era sempre più difficile. Si, si, veniva sempre bevuto e riusciva comunque a portare ebbrezza, ma spesso era cercata solo per dimenticare, per nascondere la melanconia più profonda in un momento di gioia effimera. Non ne era tanto contento. Così come non era tanto felice di essere trattato come merce al pari della stoffa, del cibo, del legno, del metallo. I soldi! Ecco il vero problema dell’uomo. Piano, piano gli appariva sempre più chiaro. E lui faceva ormai parte integrante di quel sistema. Capiva che era magari anche giusto e necessario, ma non riusciva a togliersi dalla mente le foreste della sua gioventù. E poi cosa pretendeva? Non aveva cervello, né anima, né spirito, era solo un attimo sfuggente di emozione e piacere. Lui non poteva ragionare. E sembrava che sempre meno persone sentissero la sua voce.
Passarono i secoli ed i millenni. Vide quanto era grande quella sfera bianca e azzurra che galleggiava nello spazio. Sentì lingue diverse e strane, riuscì a comprenderle, ma nessuno capiva più la sua. Vide guerre, distruzioni, stragi. Ed i momenti felici divennero sempre più rari, mentre lui cercava disperatamente di fare qualcosa. Sempre più spesso si sentiva solo, incompreso e pensava alla sua innocente gioventù. Si sentì anche manipolare, violentare, sezionare. L’uomo voleva sapere tutto di lui. Lo scaldò, lo raffreddò, lo mise dentro strane ampolle, lo tradusse in formule complicate ed a lui incomprensibili. Ma, cosa pretendeva? Lui non aveva cervello, né anima, né spirito, era solo un liquido da analizzare. E faceva fare soldi, creava nuovi mestieri, raggiungeva le bocche di tanti, ma sempre meno persone lo bevevano veramente. Molti lo sputavano addirittura. Altri dissero che non era figlio dell’uva, ma di mille altre cose: alcune belle come i fiori, la frutta, le erbe dei campi, altre meno piacevoli. Lui cercava di parlare e di dire che non era vero, che era solo un attimo sfuggente di gioia effimera, che era antico come il mondo, che poteva raccontare storie meravigliose. Niente da fare, nessuno sentiva la sua voce o capiva la sua lingua.
Eppure una volta era stato così semplice, là in quella foresta incantata quando l’uomo era ancora tanto primitivo ed ignorante. Poi dissero anche che faceva bene alla salute, che tutti quei nomi difficili che gli avevano tirato fuori a forza erano miracolosi. Non era poi così complicato, accidenti! Bastava avessero chiesto a lui, ma nessuno sentiva la sua voce. Alcuni invece esclamarono che era il demonio, il diavolo, il nemico da combattere e da eliminare. No, no, non era vero! Anche questo lui lo sapeva benissimo, ma non riusciva a dirlo. Forse avrebbe dovuto stare tranquillo e godersi la fama che aveva raggiunto. Tra amore e odio tutti ormai parlavano di lui. Quante parole scrivevano e quante ne inventavano. A volte si disperava, altre volte rideva, spesso cercava aiuto. Lo gridava anche, ma il suo urlo si perdeva nel vento. I momenti più belli li viveva ormai in quegli antri bui dove lo lasciavano riposare. Accidenti, proprio lui che era nato all’aria aperta, tra il fruscio delle foglie di quei boschi incantati. Ora era invece contento di restare in silenzio ed in attesa di qualcosa che era sempre più raro accadesse. Erano ormai in pochi a coccolarlo, a guardarlo, a capirlo veramente, anche senza parole. Quando usciva entrava in un incubo. Volti, lingue, occhi, labbra lo sbranavano quasi, lo smembravano, lo riducevano a complicate, astruse, ma sempre fredde sensazioni. Lo usavano per parlare di altre cose, per litigare, per dimostrare, per combattere e dicevano che lo facevano per lui. Non capivano che invece era, ancora e sempre, una cosa semplice, un dono ingenuo e divino, che avrebbe potuto raccontare una storia millenaria. Ma tutti parlavano e non lo ascoltavano. Lui sembrava al centro dell’attenzione, mentre invece era solo un intruso. E si perdeva nei suoi ricordi, sperando che tornassero. Era un illuso? Forse si. Ma d’altra parte cosa poteva pretendere? Non aveva cervello, né anima, né spirito …

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Astrofisico per 40 anni, ho da sempre coltivato la passione per il vino e per il mondo che lo circonda. Vedo di traverso la seriosità che...

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