Caro amico lettore, prima di iniziare la lettura di questo post fai partire questa canzone.
Ho passato quattro anni della mia vita a cercare di spiegare agli agricoltori i processi produttivi che stavano alla base dei prodotti che la mia azienda vendeva. Quattro anni ad inventare sigle per le diverse fasi di lavorazione della materia prima, a scrivere comunicati stampa, testi per siti, mini relazioni, presentazioni in power point, testi per infografiche (anche se al tempo non sapevo che si chiamassero così), pagine per cataloghi. Ricordo ore di riunioni dell’area commerciale per sistemare le virgole, con la convinzione interna che tutto fosse sbagliato, che la via fosse un’altra, che dovessimo soffermarci più sul prodotto finito e sui suoi effetti, che sul metodo di realizzazione dei prodotti.
Poi arrivo qui, in questo mondo di psicopatici (la definizione è di un amico giornalista) e mi rendo conto che avevo sbagliato tutto, e che ci sono aziende, anzi, interi movimenti che del processo produttivo hanno fatto il loro cavallo di battaglia. Già perché le associazioni dei vini-che-non-devono-essere-nominati-perché-non-si-sa-come-chiamarli su quello puntano, mettendo in secondo piano il prodotto finale, quel vino che noi consumatori vogliamo comprare e bere. Loro non ti vendono un prodotto: ti vendono un’idea, una filosofia, uno stile di vita. Che se anche il vino non è buono, il che succede poche volte ormai, va bene lo stesso. Perché i vini-che-non-devono-essere-nominati-perché-non-si-sa-come-chiamarli fanno bene: a me, a te, a loro, all’ambiente e tutto quanto.
E quando ripenso a tutto questo non posso che provare una grande stima per chi, con anni di lavoro e di fatica, è arrivato a questo. Per chi è riuscito a fare quello che io, in anni di scervellamenti, non sono nemmeno riuscito ad avvicinare.
Al contempo mi arrogo però il diritto di ripartire dal prodotto, di focalizzare il mio giudizio su quello che trovo nel bicchiere. Di essere piacevolmente insensibile. Di tutto il resto ne possiamo parlare. Poi.
Davide Cocco nasce nel 1974 a Valdagno, all’ombra dello stabilificio Marzotto. È figlio, come molti suoi coetanei, della crisi...
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