Caro amico lettore, prima di iniziare la lettura di questo post fai partire questa canzone.
Dietro ogni prodotto dell’uomo c’è qualcuno che si fa il culo. E il proprio culo è sempre più grosso di quello del vicino. Lo so bene io, che faccio un lavoro di scrivania e sono circondato da persone che, grazie a dio, fanno ancora lavori manuali. Parlo di questo perché in questi giorni è nata una discussione su Facebook in merito a un post di Gianluca Morino su giornalisti e blogger e sui giudizi che riservano al vino.
Gianluca, titolare di Cascina Garitina, è produttore piemontese, nonché presidente del Consorzio Nizza, molto presente e attivo su internet e sui social network in particolare.
Su alcuni punti mi ritrovo anche d’accordo con quanto da lui espresso, ma ci sono alcuni passaggi che mi fa piacere commentare.
Scrive Gianluca:
“Leggo, troppo spesso, scrivere giudizi perentori su alcuni vini e mi chiedo se non sarebbe meglio esprimerli in forma di pareri personali, giacchè di questo si tratta, senza che questo tolga il diritto di esprimerli.
Se a me non piace, non denigro un vino, perchè è figlio della terra, figlio di un progetto di vita ed è ciò che garantisce ad un territorio ed ai suoi abitanti l’economia per vivere e sopravvivere”.
Partiamo dal primo capoverso. Qui la questione è duplice. Primo: spesso ci dimentichiamo una cosa: i giornalisti e i blogger sono persone, quindi esprimono un’opinione personale, a prescindere dal loro grado di preparazione e di autorevolezza. E il giudizio è figlio del background culturale e della sensibilità delle singole persone. È profondamente errato considerare oggettivo il giudizio di qualsivoglia persona.
Secondo: se ne parla da tempo, ma il concetto di “buono” è molto relativo (leggete a riguardo i papilli, ad esempio). Non esiste una metodologia, un approccio scientifico universalmente condiviso per giudicare dal punto di vista organolettico un prodotto alimentare. Ergo, ritorniamo nel campo della soggettività.
Il secondo capoverso invece contiene un assioma, largamente diffuso fra i produttori, profondamente errato. E mi spiego.
Al consumatore che spende il suo denaro per acquistare un prodotto o un servizio, non interessa quanta fatica ci sia dietro a un prodotto. Perché, tornando al vino, a un certo punto si troverà solo: lui e la sua bottiglia, lui e il suo bicchiere. E lì, in quel momento, emetterà un giudizio personale, mediato, ma basato esclusivamente sull’attimo.
Se un vino gli fa schifo di sicuro non penserà ai calli del nonno del produttore che si è spezzato la schiena per realizzare chilometri di muretti a secco con i basalti raccolti e trasportati a mano. Nè che gli agricoltori, e di conseguenza anche i viticoltori, sono gli ultimi difensori di un territorio destinato a lasciare spazio all’avanzata del bosco.
Ma soprattutto, ha pagato. E vuole un prodotto all’altezza delle sue aspettative e dell’importo esborsato, che anche a lui è costato fatica e sudore.
Farsi il culo non basta, ci vogliono i risultati.
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Inserito da Giuliano Abate
il 12 luglio 2011 alle 14:00Ecco, forse si dovrebbe partire - anche - da questo: non è che a volte queste aspettative le abbiamo gonfiate oltremodo? Non abbiamo - tutti noi attori a vario titolo della filiera - creato troppe suggestioni a fronte di un comprensibile :" mi piace, non mi piace" "E' buono, non è buono" ?
(grandiosa la versione del brano, grazie)