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Formaggi d'Italia e del mondo

Caciofiore della campagna romana: una tipicità millenaria

di Riccardo Collu

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Il panorama caseario Italiano, offre una grande varietà di formaggi, che si differenziano per fattori territoriali o tecnologici, molti di essi che vengono proposti oggi come novità sono a volte ispirati a prodotti storici. Negli ultimi tempi sono stati introdotti sul mercato formaggi realizzati con caglio vegetale, indirizzati anche a chi conduce un regime alimentare vegetariano. Il Caciofiore romano, potrebbe essere stato una fonte di ispirazione per questi “formaggi nuovi”, sicuramente non il contrario considerata la storia ultramillenaria del prodotto.

Lucio Giunio Moderato Columella, dopo essere stato tribuno dell’esercito Romano, divenne fattore e proprietario di diverse aziende; trascrisse nel 50 d.C. la sua esperienza in un trattato di dodici volumi giunto fino ai nostri giorni: il De Re Rustica.
In questo prezioso scritto leggiamo: “ Conviene coagulare il latte con caglio di agnello o di capretto, quantunque si possa anche rapprendere con il fiore di cardo silvestre o coi semi del cartamo o col latte di fico. In ogni modo il cacio migliore è quello che è stato fatto col minimo possibile di medicamento”.

Da allora ad oggi la tecnica di produzione è rimasta praticamente invariata, la zona di produzione anche, in quanto limitata alla campagna romana.

Il latte ovino crudo, viene lavorato ad una temperatura inferiore ai 40°c, e addizionato di un infuso di petali del fiore di cardo preparato il giorno precedente. L’infuso viene preparato con circa il 5% di petali in acqua, precedentemente essiccati al buio.
Il liquido filtrato, viene addizionato in misura del 0.8% circa al latte che coagula in circa 60’.

La prima rottura della cagliata avviene a pezzi di circa 6 cm x 6 e dopo un ulteriore riposo di almeno 20’ si esegue una seconda rottura con una schiumarola rada.
Si ottiene una pasta di consistenza densa ed elastica con pezzatura irregolare.
Questa viene posta nelle fascere di forma quadra per circa una giornata dove il formaggio nasce e assume la tipica forma detta a mattonella.

La salatura si esegue a secco e il formaggio viene successivamente posto a stagionare in un locale con circa 10°c e umidità del 90% circa per i successivi 40 giorni. A termine di questo periodo, il formaggio si presenta come un parallelepipedo a base quadrata, localmente viene definita forma a mattonella, lo scalzo dritto, le facce piane e parallele.

La crosta è elastica, sottile, colore giallo paglierino intenso, nel nostro campione vi è una formazione di muffa bianca uniformemente distribuita e si nota la trama della fascera. La pasta varia con la stagionatura: da giovane si presenta compatta, morbida, elastica e leggermente deformabile con la compressione prolungata.
Le occhiature sono presenti, di dimensioni varie, con forma e distribuzione irregolare.

Con la stagionatura, a causa delle proteolisi, può formarsi nel sottocrosta una sorta di crema e la pasta apparire leggermente più morbida, si passa poi nel periodo di stagionatura dove il formaggio diventa più solido, gessoso.
Volendo si può stagionarlo fino a raggiungere la durezza da grattugia.

Personalmente ritengo che la fase migliore di maturazione per gustarlo sia quando si forma la “crema” nel sottocrosta, ma anche da giovane e fino al gessoso si possono trovare nel prodotto particolari sentori che rendono il prodotto interessante.

Avendo potuto assaggiare questo formaggio in diversi momenti della sua stagionatura, ho notato l’evoluzione dei sentori, che variano dal yogurt al burro e dall’erbaceo al fieno maturo. Al sapore ha una tendenza dolce e acidula, nelle fasi più avanzate di stagionatura può mostrare un lieve sentore tannico e una punta di piccante che vengono mitigate dalla morbidezza del latte ovino. Il risultato è un delicato equilibrio delle sensazioni gusto olfattive in qualsiasi periodo della stagionatura.

Non ho conoscenza di uso in gastronomia di questo prodotto, personalmente l’ho gustato accompagnato al preboggion genovese, ovvero il caratteristico misto di erbe spontanee, bollito e condito con olio nuovo locale. In questa occasione però io ho usato l' “Oro del castello” dei monti Iblei Ragusani, di cultivar moresca in purezza il tutto accompagnato da pane toscano.

Come vino, un Pinot nero 2007 az. Burggräffler . . .

Buon formaggio a tutti voi !

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Riccardo Collu

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Per approfondire la mia passione e le mie conoscenze, nei primi anni ’90 ho seguito il corso e conseguito la qualifica di Assaggiatore di Vino...

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