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Steve Jobs e i limiti del personal branding , di Magda Beverari

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Steve Jobs e i limiti del personal branding

di Magda Beverari

Riporto qui un articolo scritto da Louis Treussard, direttore generale dell’Atelier BNP Paribas, uno dei più importanti osservatori internazionali costanti sull’evoluzione delle tendenze della comunicazione e delle nuove tecnologie, che in Italia possiamo solo sognarci. Mi permetto di pubblicarlo perché sono una fan sfegatata di Apple e mi sono trovata seriamente a riflettere sui recenti cambi di guardia, inoltre io stessa ho sempre considerato il patron di Apple una sorta di divinità dell’Olimpo, un esempio da seguire nel mio lavoro e nella mia ricerca.. ma forse, non è tutto oro quello che luccica! 

Quindi eccovi qui di seguito la traduzione dell'articolo che ho cercato di fare al meglio delle mie possibilità:


"Il mio capo è un’icona… i limiti del personal branding"

Ormai in rete, il personal branding (fare di una persona una marca) permette a chiunque di promuovere e valorizzare la propria immagine, e spesso quella della propria impresa o di alcuni collaboratori. Per un capo, un direttore, un amministratore delegato, è una bella occasione di immergersi nelle Reti Sociali, di incoraggiare, ad esempio, l’umanizzazione della propria impresa, o anche di sfruttare semplicemente la potenza del web per sviluppare il proprio EGO.

Questo fenomeno non è nato certo ieri, poiché ancora prima della nascita del web c’è una persona, tale Steve Jobs, cofondatore di Apple, che ha sviluppato un personal branding che ha fortemente contribuito al successo della sua impresa. Meglio di altri ha saputo coltivare i rumori e i buzz che hanno partecipato nel valorizzare Apple sino a 5 miliardi di dollari nel 2000 e a più di 360 miliardi oggi. Sebbene altri dirigenti, in Francia o negli USA, abbiano provato la stessa strada, nessuno è riuscito ad acquisire lo status di Icona vivente.

Ma, costruendo volontariamente il mito del genio di Steve Jobs, Apple si è presa forse il rischio che un successo comunicazionale avrebbe potuto diventare un pericolo industriale? Oggi, confrontata con la partenza di Steve, Apple non dovrà forse de-mitificare la sua comunicazione, umanizzando maggiormente la sua società per permettere ai propri impiegati di appropriarsi del buzz e della conversazione?
In primis tale situazione illustra un problema di perennità dell’impresa: tutto il mondo è mortale! (sigh!)

In secondo luogo i miti sono fragili per essenza, e arriverà il giorno in cui mostreranno la loro fragilità. Un altro fatto da considerare in tale contesto è la creazione di un’aberrazione finanziaria, una distorsione creata dalla stessa immagine di Steve Jobs – i successi di Apple sono inevitabilmente legati alla presenza di Jobs, ma il suo statuto di mito vivente sembra esercitare un potere irrazionale sul mercato – alcuni analisti sono addirittura arrivati a parlare di campo di distorsione delle realtà.

Mi sembra dunque saggio relativizzare il rischio che rappresenta “l’iconizzazione” di Steve Jobs. Apple è una bella impresa che ha creato delle belle equipe. Sulle rotaie del successo già di più di 10 anni si è diversificata nella sua gamma di produzione e si è strutturata sulle capacità di collaboratori competenti, con la dirigenza di TIM Cook, nuovo successore di Steve. Apple è stata gestita con un talento industriale di primo piano, che resta una vera forza per l’azienda, e per la sua capacità di gestire per lungo tempo ancora i suoi giovani esperti di marketing, di comunicazione, di design e tutta l’ingegneria.

Ma allora, minimizzare il ruolo dei collaboratori rappresenta un altro tipo di pericolo, da non sottostimare, in particolare quando la creazione di valore poggia sull’intelligenza collettiva: infatti così si rompe il “motore californiano" che ha bisogno di un funzionamento collaborativo.

Alla base Apple ha due cose che non si possono dissociare: da un lato la martingala costituita da ergonomia/design/semplicità e dall’altro l’apporto di rotture tecnologiche che portano sia a dei nuovi utilizzi sia ad uno sviluppo della concorrenza. Il successo è il frutto di ciò che questo capo visionario ha portato, della sua esigenza di semplicità della sua capacità di dissentire dal mero utilizzo mettendo l’utilizzatore al centro dell’ecosistema tecnico. Ma bisogna assolutamente riconoscere la massa di lavoro e di competenze collegate alle sue geniali intuizioni, tutta questa intelligenza collettiva che ha partecipato alla riuscita finale, riconoscere soprattutto il ruolo del marketing e dei commerciali – senza sottostimare che Apple ha realizzato importanti margini grazie alle fabbriche site in Cina.

Il personal branding può continuare ad iconizzare altre star, anche per ciò che concerne Apple, prendendo appunti da Steve Jobs, perpetuando questa strategia di comunicazione e buzz. Ma si tratta di un enorme investimento di mezzi e tempo, nonché di presa di rischi potenziali. Tuttavia Apple potrebbe semplicemente imparare dai suoi allievi, ovvero tutte le imprese che sul Tavolo o in rete, hanno messo i loro collaboratori al servizio dello sviluppo e della comunicazione, a contatto con gli utilizzatori. Umanizzare l’impresa non significa necessariamente “starizzare” tutto il mondo,
ma piuttosto entrare nell’era della conversazione… che non è il buzz!"


Cosa ne pensate? Io sono Apple addicted, praticamente una malata incurabile, ma ciò non mi impedisce di riflettere su quanto asserito qui.

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