L'ansia della classificazione ha attraversato tutte le epoche: la mente umana è troppo limitata per contenere il caos, e l'homo sapiens si è sempre ingegnato a cercare l'ordine nel caos. Salvo poi in un istante di follia sperperare il patrimonio di generazioni: ma questo è il karma del bipede blaterante. Nell'epoca dell'Ordinateur poi la spinta alla categorizzazione ha raggiunto il parossismo in quella forma di schedatura strisciante che è la profilazione dell'utente. Ormai digidevastati, classifichiamo tutto: vedo gli appassionati di musica rock che riescono a creare categorie formate un gruppo solo, o i birristi che hanno addirittura una tavola degli elementi simile a quella di Mendeleev.
Nell'anno venti-dieci pare ineluttabile decidere qual è la vera cucina contemporanea: visto che nessuno può più nominare la nouvelle cuisine senza che gli cada la mascella a pezzi ecco allora che scorgiamo all'orizzonte un tentativo di definizione delle pietanze in due grandi macrogeneri, la cucina tradizionale e la cucina di ricerca. In entrambe possiamo ipotizzare una riflessione, limitandoci agli aspetti più interessanti e fingendo non esistano degenerazioni e scorciatoie, purtroppo, di breve momento.
La cucina tradizionale contemporanea non guarda all'indietro se non per valorizzare le radici e il territorio, ma rivaluta le preparazioni che fanno parte della cultura locale, degli usi e dei costumi, delle tavole della festa e di tutti i giorni. La cucina tradizionale è servita tipicamente nelle trattorie, salvo qualche Tavola che si è emendata dal proletariato gastronomico per assurgere ai fasti dell'Alta Ristorazione.
La cucina creativa contemporanea, e guai che anche solo lontanamente faccia rima con "molecolare", indaga i limiti dell'arte culinaria, sperimentando nuove cotture, nuovi accostamenti, nuove presentazioni, applicando in cucina ogni genere di esperienza per sintetizzare nuove sensazioni, nuovi sapori.
Incontri il dilemma quando trovi una cucina tradizionale che ricerca ossessivamente la materia, arrivando al punto di farla produrre su misura per le proprie esigenze; a selezionare gli ingredienti fino al limite estremo della loro purezza, riscoprendo e riattivando strumenti e tecniche antiche. Oppure un cuoco "innovatore" che cerca nel ricettario della nonna un piatto dimenticato per riesumarlo, rivederlo e ricorstruirlo, pescando nel territorio materie dimenticate e sapori caduti nell'oblìo.
Dunque la cucina contemporanea di ricerca è una prateria in cui le regole devono ancora essere scritte fino in fondo, e il motore di tutto resta una profonda, dilagante passione per il buono. Certo, l'approfondimento è meno "telegenico" di una bella classifica dei dieci migliori ristoranti dei cuochi il cui nome cominci con la R, però possiamo sempre emendarci dall'abominevole visione quantitativa della vita.
O almeno provare.
"animula vagula blandula hospes comesque corporis"
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Inserito da Filippo Ronco
il 13 novembre 2010 alle 15:38Non lo so, secondo me questi sarebbero valori da preservare, da indicare all'Unesco. La palla purtroppo di solito non la raccolgono i figli di questi anzianissimi proprietari che, muore il patron, muore il locale, no, di solito ritrovi tutto e bene in quei (sempre pochi) locali che la tradizione l'hanno resa contemporanea, hanno aggiunto tutto quello che mancava (servizio, vini, ecc.) e non hanno tradito la materia prima e l'anima.
Però, ecco, quando ne chiude una, dopo l'altra, di quelle antiche puzzolenti (di fritto) trattorie, "in po me cianse u coeu".
Ciao, Fil.