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Mandino Cane: il papà del rossese

di Giovanna Benetti

MappaArticolo georeferenziato

"Negli anni '70 circolava un rossese mediocre e io mi sono detto se non si potesse farne uno buono. Ho scommesso che ci sarei riuscito: così è nato il mio rossese di Dolceacqua.Non è facile, sa, preché prende facilmente sgradevoli odori: la puzza. Bisogna, soprattutto all'inizio, controllarlo in continuazione e travasarlo più volte". Il mio interlocutore, Giobatta Mandino Cane di Dolceacqua, è un bel signore in gamba, alto, diritto, asciutto, non dimostra assolutamente la sua età (80 anni). Prima di conoscerlo credevo fosse un pochino chiuso, scontroso, invece è gioviale, simpatico.

"Che peccato che lei non sia riuscito a tirar su dei giovani che in futuro sarebbero potuti diventati suoi eredi"."Eh, sì, ma i giovani preferiscono scegliere altre strade!" dice sconsolato. Aveva una cantina fantastica in una chiesa sconsacratata di proprietà della sua famiglia. Era il "santuario" del rossese.Le rigide regole dell'Asl gli hanno impedito di continuare a vinificarci.

Ha venduto buona parte dei suoi terreni e ora produce poco più di 4 mila bottiglie di rossese, viognier e syrah."Mia moglie mi raccomanda sempre di non affaticarmi troppo, ma le vigne sono la mia vita. Il contatto con la terra dove è nata la mia grande passione , la natura, i sacrifici, le soddisfazioni, è difficile fare a meno di tutto ciò. Il parlare di vino, scambiarsi consigli con gli amici...

"Mandino ha saputo affidarsi alla sapienza sua personale ereditata dagli avi, ignorando i più facili richiami delle sirene consumistiche tanto allettanti fino a qualche decennio fa. Ha preferito concentrarsi su se stesso e sui valori della sua cultura al fine di intraprendere un cammino sicuramente difficile e pieno di incognite. Ha fatto proprio il celebre proverbio indiano:quando non sai che cammino prendere considera da dove sei venuto.


[Foto credit: appuntidigola.it]

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