Ci ritroviamo a Montalcino come Troisi e Benigni a Frittole. La differenza è che siamo tre, io, Sergi e Gionni.
Tre comici in luna di vino, giovani, inesperti ma di talento. Non siamo nel 1492, più di 500 anni dopo.
Sergi guida, io lo affianco, dietro la spaziosa citroen gionni azzarda evoluzioni dialettiche da sofista.
Il nostro Frittole comunque è Montalcino.
Sono già tre volte che lo attraversiamo senza trovare un buco aperto…gionni alla parola buco strabuzza gli occhi e dice …un buco è sempre aperto…maestro, rivolgendosi a me. Un buco chiuso…continua…non c’è…o è pieno allora non è più un buco…oppure è vuoto allora è sempre aperto…a meno che...interviene sergi che riprende a salire nuovamente per il paese…non c’è un coperchio…e qui nasce il buco chiuso…finisco io…è meglio chiuderla coi buchi…fa gionni…tuttavia non soddisfatto continua….stasera se troviamo un buco aperto mi faccio l’osso buco…
E’ una giornata che viaggiamo per valli e per monti senza mettere niente sotto i denti. Siamo disperati.
Gionni è rassegnato…In questi giorni di vacanza nella toscana del vino e del cibo…non mangeremo mai !
Sergi si rifiuta pensarlo perché se non mangia uccide !
Io, il più irresponsabile, credente più nella fortuna che nel destino, sono sicuro di una cena memorabile…
E’ notte, un gennaio freddo appena spennato come un cappone dalle solite feste. Siamo partiti come tre ladri dalle grinfie dei nostri amici che ci volevano a forza portare con loro in un luogo di montagna nel casentino.
Dove ogni santo anno si va fare il cosiddetto “Baraccone”. Siamo noi i ribelli ? Per nulla! ce la siamo svignata per la salvezza dell’anima nostra.
Montalcino intanto, nel ripassarvi dentro, è un indifferente orticello di mattoni e qualche palazzotto mezzo cancellato dalla notte. Meglio sarà andarcene…dice sergi che nell’indigenza prende un’espressione da contadino. Gionni come un fanciullino capriccioso…voglio una fetta di pane…fermatevi…là c’è una casa…la luce è accesa…suoniamo e chiediamo un pezzo di pane….si maestro elemosiniamo un poco di pane…ci saranno dei figli di mamma in questo paese…A me viene da ridere mai visti i due in tali ristrettezze…
Decidiamo di andarcene davvero. Convinti di trovare altrove fortuna e vettovaglie.
Tuttavia la fortuna ha altri pensieri e mentre ridiscendiamo dal paese, sulla destra io scorgo un’insegna che poco vedo… sergi rallenta con gli occhi fissi sulla strada…dietro, gionni grida ..Boccon di vino…un ristorante…ferma..ferma…per la fame di un porco…ferma !
Non facciamo tempo parcheggiare che già siamo schizzati dentro seguendo un odorino di arrosto.
Sembriamo tre evasi da un manicomio criminale. Allampanati come gufi nella notte mostriamo le nostre facce, scavate dalla fatica, in un locale raffinato, elegante. Quattro coppiette distinte e silenziose stanno cenando a lume di candela. Sembrano turbate da questo ingresso pazzo e un brivido di terrore passa pure sui visi dei gestori che ci dicono buona sera con lo sguardo che dice addio.
Un cameriere , forse il più audace, ci avvicina e con gesto femmineo tutto capisce e ci accomoda in un tavolinetto al centro della stanza. Scaltro come una volpe ci mette in mezzo alla sala come gettarci sul palcoscenico, arguta intenzione di intimidirci.
A noi poco importa, si mangia.
I miei amici affilano i denti come coltelli e non fanno caso che la serata in quel locale un po’ addormentata s’infiamma di curiosità. Femmina è questo sentimento che trova oro dove si promette carbone. Infatti tra le giovani donne che stanno cenando una più delle altre pare molto tentata a sapere qualcosa di questi tre matti.
Ci guarda di lato lanciando gli occhi in mezzo al tavolo dove sosta un piccolo portacandele con la candela spenta. Non faccio tempo a notare che fortunatamente la nostra è spenta che il cameriere effeminato tira fuori un astuccio di fiammiferi e con gesto ampio accende la nostra candela e il tavolo si illumina d’un alone fucsia. Ella se la ride tra naso e mento.
Sergi resta ferito da quella cosa che gli si para davanti.
Gionni è invece rapito dalla gentilezza del cameriere. A me più che altro interessa stupire la curiosità della bella e laciandole uno strano ghigno le trasmetto …guarda…guarda che ti combino…un bel soffio e la notte ritorna sul tavolo…
Ella si alza quasi di scatto e va verso la toilette, forse a ridersela con comodo. Per ben tre volte il tedoforo ci riaccende la candela.
L’accendicandele torna con una bottiglia di vino che sergi ha ordinato a nostra insaputa. Brunello.
Mai provato ! L’abbiamo solo sentito nominare…
Ce lo beviamo in pochi sorsi, come fosse acqua.
Gionni dice buono anzi bello. Ne prendiamo un’altra.
La cena continua ed il vino bevuto ci convince che non è affatto acqua. Agli antipasti sembriamo degli leoni che provano salami, capocolli, finocchione… Gli spaghetti al latte di caprino annunciano la meraviglia. Le scaloppine al tartufo bianco gridano di piacere e il Brunello suona una marcia trionfale.
Il locale si è svuotato e soli navighiamo su di un mare mai toccato.
Scolata un’altra bottiglia di Brunello, questa volta con più agio, proviamo per la prima volta cosa voglia dire l’ebbrezza.
Fino ad allora noi conoscevamo vari modi per dire sbronza, la concia, la pezza, la aatta, la petona…di ogni ubriachezza molesta o no avevamo già esperito. In tutti questi casi sapevamo che dopo un’esaltazione repentina il mondo cadeva in un baratro, il miele in sale, il sangue in veleno.
Ora invece dopo due brunello di cui non sappiamo annata cantina o altro mistero…ci slanciamo felici su una torta di mandorle che accompagniamo con vin santo…Il cameriere ci porta tre bicchierini di questo vino dolce secco, pieno di fragranze …a noi non tocca nemmeno la punta della lingua che gionni già tornato ad essere biondo e dagli occhi cerulei chiama il giovane e ordina la bottiglia intera…e voilà.
Sergi come un bacco del caravaggio sebbene più in carne al terzo bicchierino di vin santo esclama...ricordate un giorno lo farò pure io questo vino…un giorno lo farò…
Gionni è toccato dal Dio e in un silenzio non usuale manifesta l’estasi…nello indagare il più possibile lo stato del mio sentire pongo attenzione che la qualità delle vivande e del bevande hanno prodotto un’esaltazione della vita. Mi convinco per esperienza che il vino ed il cibo procurano stati estetici simili alla musica, all’arte figurativa, ai profumi, e di colpo scopro senza conoscenza la teoria dei sensi estetici. La dotta ignoranza ancora una volta mi assiste e mi incoraggia a vivere oltre la conoscenza, oltre l’erudizione. Incontrerò più in là Michel de Montagne che nel suo castello isolato dal mondo nel XVI secolo scriveva della pericolosità dal sapere se costipa l’intelligenza, frena l’immaginazione, gela il sentimento.
La giornata si chiude con un conto salato che ci convince pure che l’ebrezza costa perché un bene per pochi e forse è meglio così. Del resto nemmeno ci facciamo caso lì, a caldo, ancora travolti dallo stato di felicità.
E’ quasi mezzanotte e ci troviamo nel deserto di Montalcino prigionieri di un’oasi interiore. In stati sì fortunati il genio della vita riserva sorprese. Poco fuori il paese abbiamo agio nel trovare un albergo fatto apposta per noi. Stanza per tre ampia, con letti di legno e armadio di noce massello.
Oddio, la notte resiste per poco e subito si abbandona al sonno che è pieno di storie fantastiche e fate benigne.
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