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Classificazione degli oli di oliva, di Elvira Ciabarra

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Classificazione degli oli di oliva

di Elvira Ciabarra

Sugli oli d’oliva c’è purtroppo molta confusione. Un comune consumatore che deve scegliere tra varie confezioni di olio con denominazioni diverse (olio vergine d’oliva, olio extravergine d’oliva, olio d’oliva, olio di sansa d’oliva), intuisce che non sono tutte uguali, ma non ha gli strumenti per effettuare una scelta coerente e libera tra l’uno o l’altro a seconda delle proprie esigenze. Tale strumento è rappresentato dalla conoscenza delle normative, dei processi di produzione e di valutazione chimica e organolettica che stanno alla base della classificazione degli oli. Ma andiamo per ordine.

Innanzi tutto occorre premettere che le vigenti normative europee, recepite dall’Italia, classificano gli oli vergini d’oliva dagli oli che derivano dall’oliva, ma che non sono vergini. Quando un olio esce da un frantoio senz’altro è vergine, ma non è detto che sia extravergine. Tale ultima denominazione deriva da due parametri essenziali: uno chimico e l’altro organolettico. Un olio extravergine deve avere un’acidità massima dello 0,8% e risultare senza alcun difetto organolettico. Mentre la prima analisi si effettua in un laboratorio, la seconda è condotta da un gruppo di 8-12 esperti (panel), iscritti ad un apposito albo nazionale di Assaggiatori di oli vergini d’oliva, i cui singoli risultati vengono riordinati mediante calcoli statistici.

Quando un olio d’oliva risulta avere un’acidità compresa tra lo 0,8 e il 2% e/o risulta avere difetti organolettici (riscaldo, muffa, avvinato, rancido…) la cui mediana è pari o inferiore a 2,5, viene declassificato a “olio vergine d’oliva”. Quando invece si superano le suddette soglie l’olio è classificato come “lampante” e non può essere commercializzato come tale, ma solo dopo essere stato sottoposto a un particolare trattamento chimico per eliminarne colore, odore e sapore. Al fine di renderlo commestibile, tale olio viene miscelato con una percentuale (non stabilita dalla legge) di olio extravergine ottenendo così “l’olio di oliva”. Quando comprate un “olio di oliva” sappiate dunque che state acquistando un olio che era difettato ed è stato poi rettificato con una percentuale, spesso minimissima di olio extravergine.
L’”olio di sansa”, invece, si ottiene dalla “sansa”, residuo solido della lavorazione delle olive nei frantoi e si produce in particolari industre dette santifici.

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