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Rubrica a cura di Centro Studi Assaggiatori






          
                      


          In tutti i sensi, l'analisi sensoriale di Manuela Violoni - Archivio articoli


           Archivio articoli
Le regole del mercato sensoriale
di Manuela Violoni

È vero che il nostro cervello - o almeno la sua parte sensoriale che, per poco che sembri, è il punto di contatto obbligato con il mondo esterno - sta andando all'ammasso? Siamo davvero tutti talmente influenzati nei gusti dalla pubblicità e dalla cattiva educazione alimentare da non riuscire più a distinguere cosa è buono per noi? Personalmente non amo il concetto di massificazione, lo trovo allarmistico e sfruttato. Però lo scorso 31 marzo, partecipando alla tavola rotonda organizzata a Vinitaly dall'International Academy of Sensory Analysis (www.iasa-network.org) e moderata dal suo presidente Mario Fregoni, si è dovuto ammettere che ci sono alcuni dati oggettivi sulla convergenza delle preferenze sensoriali.

Il sasso l'ha lanciato Roberto Zironi, direttore del Dipartimento di Tecnologie Alimentari dell'Università di Udine, partendo da alcune constatazioni puramente dietistiche: com'è che una volta la ricotta, prodotto povero ricavato dal siero, conteneva solo il 5% di grassi, mentre oggi è un formaggio in cui la percentuale di lipidi è salita al 10%? Non sarà che la cattiva educazione alimentare ci porta a preferire sempre più cibi cremosi, morbidi e grassi, al punto di renderci inaccettabile persino l'acidità naturale dello yogurt? E, peggio ancora, a consumare questi prodotti continuando a credere che facciano bene come i loro archetipi poveri?

Che il motivo sia questo o altri, c'è una mole di dati che dimostra alcune tendenze nelle preferenze sensoriali degli italiani, che valgono trasversalmente alle merceologie: dal caffè alla pizza, dai succhi di frutta al vino. Sono dati che derivano da dieci anni di ricerche condotte dal Centro Studi Assaggiatori (www.assaggiatori.com), in cui sono state sottoposte ad analisi sensoriale quasi 70 merceologie differenti: 2.000 prodotti diversi, descritti e valutati da 3.000 giudici con metodi affidabili, come è stato spiegato dal sensorialista Alberto Ugolini. Quali sono queste preferenze?

Innanzitutto bisogna riconoscere la prevalenza di determinati sensi su altri. Stiamo vivendo il grande momento del tatto, il senso dell'affetto e della rassicurazione. C'è una grande ricerca della morbidezza, persino nelle grappe: basti osservare che, delle 20 grappe premiate quest'anno con il Grappa Tasting Award per la preferenza espressa dai visitatori di Vinitaly 2006 con più di 7.000 assaggi, ben 3/4 sono invecchiate. Non ci limitiamo più allora ai prodotti come lo yogurt e il cioccolato, ma andiamo a ricercare la morbidezza anche nei prodotti dove non è un naturale segno di qualità, al punto da evitare persino le sensazioni gustative forti. Come mai?

C'è da dire che, in un'epoca in cui una quantità consistente della nostra esperienza della realtà deriva da prodotti audiovisivi, il tatto è il senso più facilmente mediabile: se si vuole far venire voglia di cioccolato, basta mostrare in uno spot come si scioglie e si avvolge in morbide volute. Se il filmato è ben fatto, per sinestesia si riuscirà anche a far venire in mente la dolcezza e il ricco profumo. È la morbidezza che osserviamo, ed è quella sensazione che poi andiamo a cercare nel prodotto. Ma questa è solo una delle cause possibili.

Resta comunque un dato di fatto che la vista conta in modo esagerato nelle valutazioni dei consumatori. Persino nelle acqueviti, che non sono altro che dei profumi da bere, la vista ha un peso nel giudizio finale del 40%. In questo siamo decisamente occidentali, e anche tipicamente italiani, come ha osservato Luigi Odello, presidente del Centro Studi Assaggiatori e docente di analisi sensoriale nelle Università di Udine, Verona e Cattolica. "Dagli studi sulla personalità degli assaggiatori emerge che gli italiani sono dei normativi: prima ancora ci chiedersi se qualcosa è buono, si chiedono se quel qualcosa è giusto. E gli italiani si fidano della vista, che invece è il senso più ingannevole che ci sia."

Cosa vogliono i consumatori dalla vista? Vogliono colori intensi in tutti i prodotti, ma non quando questa intensità è sinonimo di troppo tostato, di bruciato (come nel caffè) o di troppa concentrazione di sostanze amare (come negli amari, che eppure scuri lo sono per natura). Già, perché la vista è più di tutti il senso che genera sinestesie, cioè che genera aspettative modificando persino le percezioni date dagli altri sensi. Ecco perché, in un test citato da Zironi, della stessa bevanda colorata in modi diversi quella che nessuno ha osato bere è quella nera. Occorre fare i conti con il fatto che le sensazioni non valgono di per sé, ma sono anche dei segni, che vengono interpretati dalle persone in base alla propria esperienza sensoriale con un criterio che si avvicina molto a quello statistico. Le associazioni tra sensazioni diverse che si creano nel cervello sono così difficili da modificare che a volte fanno persino percepire qualcosa che non c'è.

Ma a parte questo, il senso che alla fine decide è sempre l'olfatto. "Se aveste di fronte una torta bellissima che però puzzasse di piedi, sono sicuro che nessuno di voi si azzarderebbe ad assaggiarla", scherza Odello. C'è però da chiedersi se il "seduttore segreto" non si stia convertendo, in determinati prodotti, in un seduttore ruffiano. Il profumo è la firma di un prodotto, ma la preferenza si sta orientando sempre più verso gli odori universalmente amati, cioè il fruttato e il floreale. Questa preferenza va persino a discapito dello speziato in molti prodotti di cui è tipico: persino nella pizza, che un po' di origano è abituata a vederlo. Ciò che il consumatore vuole è sentire l'odore dell'ingrediente fresco, del pomodoro e della mozzarella, e cerca di evitare quanto può coprirlo.

A questo punto c'è da chiedersi: cosa guida queste tendenze? È vero che le multinazionali stanno portando alla riduzione dell'esperienza sensoriale, fino al punto di rendere ignoto al consumatore che esistono esperienze diverse? Oppure è il consumatore che va dietro a certi suoi bisogni e non lascia ai produttori altra scelta che andarci dietro? Da sensorialista, direi che le due cose si influenzano tra loro. La chiave è nel cervello: come abbiamo visto, nel cervello si formano delle associazioni curiose, che influenzano tutta la percezione, la cui origine è nella maggior parte dei casi spiegabile attraverso l'esperienza sensoriale complessiva della persona. È sempre l'esperienza che attribuisce alle sensazioni dei significati: se l'amaro è associato al concetto di salute, è evidente che occorre iniziare a fare i conti con il fatto che i prodotti sono delle esperienze che producono significato.

C'è però da dire questo: i produttori hanno una grande responsabilità, in quanto il contatto che le persone hanno con la realtà dipende sempre più dai prodotti che consumano. Nei corsi di assaggio ormai, sentendo l'aroma di violetta, molti giovani di città lo riconoscono come sapone, perché la violetta fresca non l'hanno mai sentita. Allora, chi crea questi prodotti ha il potere di orientare e spesso di limitare l'esperienza sensoriale, se non sceglie di preservare quella varietà e ricchezza di sensazioni che il consumatore ricerca. Perché i dati mostrano che il consumatore sa scegliere la qualità se la prova (come nel caffè), ma spesso non ha mai avuto occasione di sperimentarla.


Manuela Violoni