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Viaggio in Portogallo (alla maniera di Saramago)
di Luigi Bellucci

José Saramago mi aveva conquistato con il suo "Viagem a Portugal" e quando l'ONAOO ha organizzato questo viaggio tra i frantoi e gli oliveti del Portogallo del centro e del Nord non ho avuto esitazioni. Le pagine che seguono descrivono questo viaggio, suddiviso nei sette giorni della sua durata, del gruppo ONAOO italiano dal 19 al 25 settembre 2005. Le tappe principali del viaggio, partito da Lisbona, sono Evora, Guarda, Mirandéla e Porto. Nel sito si trovano anche alcune schede sui vini degustati durante la permanenza in Portogallo, ritenuti interessanti.


Lunedì 19 settembre 2005. Da Genova a Lisbona
Il viaggiatore parte da Genova alle 6. La mattina è fresca e serena. Ormai il sonno del risveglio precoce è passato. Il pullman aspetta vicino ai giardini di Brignole. Si parte in orario. Le strade sono vuote, non c'è ancora traffico. La luna piena accompagna la comitiva come un faro e indica il cammino. Si fanno un paio di soste lungo il percorso mentre il chiarore dell'aurora e le luci dell'alba fanno da sfondo al viaggio nelle campagne del basso Piemonte. I campi si succedono l'uno dopo l'altro.
Dopo Alessandria si cominciano a intravedere i colori della campagna. L'autista è particolarmente in vena di chiacchiere e il viaggiatore e la sua compagna lo assecondano. La sensazione di lentezza e rilassamento con cui è iniziata la giornata si protrae per tutta la mattina. All'aeroporto della Malpensa si arriva in anticipo rispetto all'ora della partenza. C'è tempo per un cappuccino, per l'acquisto di un giornale, per la toilette, per il check-in e siamo ancora in anticipo. Si va alla porta d'imbarco ma non c'è ancora il numero del gate.



È come se una forza sconosciuta non volesse farci partire. Poi arriva la notizia di un posticipo di due ore del volo, a causa del mancato arrivo dell'aereo da Lisbona. Sembra che ci sia stato un guasto all'aereo durante il volo e che sia dovuto tornare indietro … ma finalmente ci si imbarca e si parte (incrociando le dita!). Le nuvole coprono tutta la Francia. Dopo i Pirenei cominciano a diradarsi e si vede la terra, Spagna, Spagna, Spagna, l'aereo comincia la discesa … Portogallo … ecco il Tago, il suo estuario largo che sembra una rientranza dell'oceano, l'aereo scende ancora ed ecco le piccole case, a migliaia, della periferia di Lisbona e poi i palazzoni, i monumenti, gli stadi, rosso del Benfica, verde dello Sporting, e finalmente si atterra. Il viaggiatore e la sua compagna sono più sereni (le dita ritornano normali!).

Il resto della compagnia sta aspettando già sul pullman. Si parte per la visita turistica della città: le grandi periferie dove vive un quarto dei dieci milioni di persone che abitano il Portogallo nei 18 comuni che circondano la capitale, le ricche ville di Belem (si dice beleim) e il monastero di San Girolamo, la torre sul mare, le nuove costruzioni in onore dell'Europa unita, il modello in scala uno a uno dell'idrovolante che ha fatto la prima traversata atlantica da Lisbona a Rio de Janeiro, e poi i Docks, il Bairo alto, la Baixa e gli altri piccoli quartieri del centro storico, la periferia moderna, infine l'albergo. Il viaggiatore è frastornato. Tutto è stato interessante, ma pochissime cose lo hanno emozionato.

Una sistemata ai bagagli, una rinfrescata veloce e di nuovo l'appuntamento con un gruppo ristretto della compagnia per la visita dei quartieri del centro con il Metro e poi a piedi. La prima tappa è alla casa della Ginjinha, un liquore di grappa e amarene che i portoghesi usano consumare come aperitivo o come bevanda dissetante se allungato con acqua nelle giornate più calde, conversando sulla piazza con il bicchiere in mano … finalmente il viaggiatore si sente arrivato a destinazione, avverte che l'ambiente ora è diverso e che il suo spirito si sta mescolando con lo spirito lusitano, con i vecchi tram, con il selciato di azulejos, con la calçada portugheisa.




Il gruppo prosegue alla ricerca del ristorante per la cena, verso la Casa do Alentejo. Il posto è incantevole, all'interno di un palazzo del 1600, uno dei pochi sopravvissuto al terremoto del 1755 e alle "premure" moderniste dell'uomo moderno e della sua "in-civiltà". Si salgono due piani di scale, dopo un ampia scalinata in marmo e attraverso un cortile da favola si passa davanti a una specie di palco di piccolo teatro settecentesco, dove gli spettatori assistevano in piedi agli spettacoli dei guitti di strada e finalmente si arriva in ampie sale con il pavimento e le porte rivestiti di legno, i soffitti decorati e le pareti ricche di azulejos che rappresentano scene di lavori e amori agresti. Il gruppo si siede attorno a un tavolo ottagonale, inizia a piluccare olive, salame al peperoncino, fettine di formaggio stagionato, fette di pane campagnolo, ordina baccalà alla portoghese, maialino arrosto, cernia al forno, con verdure e patate di contorno, vino bianco e vino rosso, e acqua.

Le porzioni sono abbondanti, il servizio è lento e lascia spazio alla conversazione, il cibo è buono e ben cucinato. Il viaggiatore e la sua compagnia sono soddisfatti ed escono nell'aria fresca della sera alla ricerca di qualche altra "particolarità". Attraversano la piazza a nord del ristorante e prendono la vecchia funicolare che da 120 anni trasporta i viaggiatori pigri dalla Baixa verso il Bairo alto, seduti sui vecchi sedili di legno con le gambe intarsiate e le lampadine protette da una piccola gabbia di filo di ferro. Sembra la funicolare di Sant'Anna che a Genova porta da Portello a Circonvallazione a Monte, ma è molto più romantica perché passa proprio in mezzo alle case, e sale a fianco della scalinata. Da lassù si vede tutta "Lisboa antigua", i palazzi del settecento illuminati, le colline più avanti e in alto la luna che illumina la città.

Il viaggiatore finisce la serata a sorseggiare Porto d'annata nella saletta interna dell'Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto che sta di fronte al banco della mescita. I muri, il pavimento, le travi di legno sul soffitto trasudano la magia della storia di quell'Istituto pubblico che dal 1933 è responsabile della certificazione della Denominazione di Origine "Porto", del controllo della sua qualità, della regolamentazione del suo processo produttivo, della sua diffusione e promozione. Le varietà offerte superano il centinaio, di grande qualità e ottime annate. Alla fine si fanno aprire due bottiglie di eccellente qualità, una Ferreira del 1982 e poi una Taylor's del 1987, entrambe scaraffate e servite nella brocca di vetro, rigorosamente con tappo di vetro, alla giusta temperatura. Una passeggiata rinfrescante e una breve sosta nel "caffé brasileiro" concludono la giornata nel migliore dei modi e domani sarà un susseguirsi di nuove e, si spera, altrettanto gratificanti sensazioni.




Martedì 20 Settembre. Verso Evora
La mattina è serena e si preannuncia un'altra bella giornata. Il viaggiatore fa colazione al nono e ultimo piano dell'albergo, da cui si vede una bella fetta della città. I camerieri sono gentili e molto seri; chi li dirige deve essere particolarmente severo. Un bel caffé ristretto, con latte, cereali, un panino fresco, prosciutto, formaggio, yogurt, succo d'arancia e acqua sono un buon viatico per affrontare la visita alla facoltà di agraria dove ci aspettano per le dieci e trenta e per il successivo viaggio attraverso l'Alentejo. Il viaggiatore ancora non lo sa, ma il suo inconscio è preparato a qualsiasi sorpresa ed ha predisposto le cose in modo da reggere agli inconvenienti che si presenteranno.

Il professor Josè Goveia che dirige il dipartimento di olivicoltura presso l'Istituto de Agronomia (la Facoltà di Agraria) ci accoglie molto gentilmente e ci fa accomodare in una sala al piano terreno del bel palazzo circondato da vigneti e olivi. È già tutto predisposto con bicchierini con i campioni di olio per gli assaggi e con il proiettore per la lezione sulle sei DOP olivicole portoghesi. Si fa una sosta tra i primi quattro assaggi e i successivi cinque, un po' di commenti, qualche domanda in "europeese" (un po' di portoghese, un po' di francese, un po' d'italiano, un po' di latino per qualche nome scientifico) e poi verso l'una si riprende il pullman per visitare una tenuta a Santarém, che dovrebbe distare un'ora di macchina o poco più. Dopo 45 minuti di periferia di Lisbona tra dolci colline, palazzi a otto - nove piani, cartelloni pubblicitari con i volti dei candidati alle prossime elezioni amministrative, ci si ferma per uno spuntino in una squallida area di sosta dell'autostrada.

Il viaggiatore non è ancora stato avvertito dal suo inconscio dell'imprevisto, ma qualcosa comincia a trapelare dalla coscienza, come la punta di una fogliolina che il seme in putrefazione immerso nel terreno sta per generare e, anche se non ne sentiva il bisogno, decide di prendere una coppa di frutta fresca e una bevanda. Si risale sul pullman e si parte … passano campi, case, palazzi, ancora campi e casette e paesini, e poi colline e uliveti e vigneti e sugheraie … passano i minuti, i quarti d'ora, le mezz'ore … Santarem è già passata da un bel po' e il pullman non si ferma; il viaggiatore osserva dallo specchietto retrovisore che sta sopra la testa dell'autista e nota che si sta sfregando gli occhi con insistenza, che si appoggia al finestrino alla sua sinistra, che mastica probabilmente un chewing-gum o una caramella e pensa che probabilmente l'autista sente il bisogno di fermarsi e fare un pisolino, ma prosegue coraggiosamente e con stoicismo, perché lui sa che la meta non è più Santarem, ma un posto più lontano e sa che non ci si può fermare se si vuole arrivare a sera anche ad Evora.



Finalmente, dopo aver lasciato l'autostrada 40 chilometri prima di Castelo Branco e aver proseguito in direzione di Portalegre, si arriva a destinazione, la Vale de Barqueiros (il motto della famiglia è Oleum est Vita) del cortesissimo ospite Senor Vasco Cerqueira de Faria. Il gruppo aveva tentato una specie di ammutinamento, a causa della stanchezza e della mancanza di informazione, ma ora si è acquietato e diligentemente si prepara a visitare la vastissima azienda che produce, oltre all'oleum, anche tanto buon vino, bianco di Arinto ma soprattutto rosso (Aragones, Trincadeira, Alicante e Cabernet Sauvignon) di buona struttura, anche se molto barricato in legno americano, con sentori di vaniglia ed eucaliptus.

La visita all'azienda ci permette di passare nei campi tra le migliaia di ulivi di Galega e Cobrançosa e tra le viti ancora in maturazione, di vedere la modernità di questi impianti completamente irrigati pianta per pianta, che danno più di 40 chili di olive per albero in media. Prima di lasciarci ci aspetta una sontuosa merenda con "queso" e vino e salame nella sala del biliardo e nella sala adiacente, intrattenuti con la massima signorilità e cortesia dall'ospite, che ha mobilitato i suoi collaboratori e alcuni familiari, la moglie e il giovane nipote Miguel che studia Economia a Porto e parla un perfetto inglese di scuola brightoniana.

Alle sette il viaggiatore riprende il cammino verso Sud, il sole sta per tramontare, le luci si fanno più soffuse, l'aria si rinfresca e poi si fa notte. Dopo le otto e mezzo il gruppo arriva a Evora. L'hotel da Cartuxa è confortevole e caratteristico, in un bel palazzo a due piani all'interno delle mura della città. Una veloce rinfrescata e il gruppo si incammina verso il ristorante "meditato" durante il tragitto. Stasera i favori del pronostico sono toccati al Fialho, che porta il nome del monaco di Evora che chiamò Tempio di Diana, che di Diana non è mai stato, il tempietto di origine romana che sta nella parte alta della città, di fronte alla cattedrale ed è ancora così ben conservato perché fino al 18° secolo era stato inglobato dentro muri di protezione che lo hanno protetto sia dalla vista sia dalla corrosione del tempo. Sulla strada deserta che porta il viaggiatore e i suoi amici verso il ristorante per fortuna non c'è più il Giraldo, quel cavaliere brigante che tagliò le teste del moro di guardia alla città e di sua figlia, ma è rimasta solo la piazza che porta il suo nome, in cui un compassato poliziotto ci indica il percorso più breve da seguire.

Il gruppo entra nel ristorante, di ottima qualità, pulito, con personale attento e preparato, e si accomoda al tavolo gia pronto per la prenotazione telefonica del pomeriggio. Gli antipasti sono già in tavola. Si ordina una bottiglia di Arinto de Cartuxa (prende nome dal monastero omonimo che la famiglia De Almeida ha acquisito e in cui produce questi vini dell'Alentejo, puliti e strutturati, il bianco e i rossi che seguiranno) e si comincia a piluccare dai piattini sul tavolo: prosciutto, salame, funghetti, polpo, fave, carciofini, baccalà con fagioli e uova, orzo bollito, formaggio fresco. Il piatto forte del viaggiatore stasera è una Sopa de Peixe all'Alentejana, ricco e sontuoso, con un gradevolissimo sentore di menta fresca che come per magia sale dalla zuppa rossa che sta nel piatto, insieme a fette di pane, cipolla, e una enorme cernia dalla carne bianchissima e particolarmente tenera e gustosa di mare. Gli altri amici si sono accontentati di un agnello, di un piatto con maiale e vongole (abbinamento per noi strano, ma indovinatissimo) e di altre specialità tutte ben fatte e meritevoli della fama del locale. La serata termina con una porzione di créme brulèe, di torrone di Evora e un'ultima bottiglia di vino aromatizzato (probabilmente amarene e prugne, anche se non dichiarato sull'etichetta) di 19 gradi e una camminata rinfrescante fino all'albergo tra i muri delle case che trasudano storia dai tempi del Senza Paura.


Mercoledì 21 settembre 2005. Evora e poi a Guarda
A Evora il viaggiatore sa che non avrà tempo di ammirare le bellezze storiche e architettoniche della città ma sa anche che sarà ben ripagato dalla visita alla Fondazione Eugenio de Almeida e alla ineguagliabile cortesia ospitale dei suoi rappresentanti, dall'Amministratore Delegato Luis Faria Rosada, al Responsabile Commerciale José Mateus Gino, al Direttore della Bodega Pedro Baptista e a tutti i loro collaboratori, tutti giovani ma motivati e competenti.

I nostri ospiti sono ad attenderci al termine della colazione, come al solito abbondante e ricca di varietà: oltre alle solite diverse qualità di cereali, bevande e salumi c'é persino la possibilità di versarsi una flute di spumante e su ogni tavolo è posato un piccolo mazzo di bastoncini di cannella a disposizione degli ospiti. Una parte del gruppo sceglie di fermarsi a Evora per visitare la cattedrale, il tempio di Diana e le altre meraviglie. Quasi tutti però sono curiosi di vedere i possedimenti della fondazione per cui si parte alle nove verso il nuovissimo frantoio, che è operativo da oltre un anno e si trova a circa venti chilometri dal centro.

Durante il tragitto si costeggia un possedimento di 1.600 ettari, che costituisce solo una parte dei 6.500 ettari che costituiscono il patrimonio agricolo della fondazione, il cui scopo è quello di promuovere il benessere sociale della popolazione di Evora e paesi limitrofi. I numeri che caratterizzano questo possedimento sono a dir poco entusiasmanti: 300 ettari di vigneti, di età massima 24 anni, che danno uve rosse e bianche, 220 di oliveti, relativamente giovani (il più vecchio non supera i 60 anni), con oltre 60.000 piante e in continua espansione,. Tutti gli impianti sono irrigati punto a punto e forniscono materia prima di qualità che viene lavorata con macchinari tecnologicamente all'avanguardia per fornire ottimi prodotti, distribuiti sia sul mercato nazionale, sia su quello internazionale.

La Fondazione ha un centinaio di dipendenti a tempo pieno più fino a duecento stagionali nei momenti di punta della raccolta dell'uva e delle olive. Il frantoio che visitiamo è di nuova concezione,ben attrezzato, ha già smaltito 2000 tonnellate di olive nell'ultimo anno e ha un potenziale per raddoppiare questa capacità. La produzione di olio sta crescendo in maniera esponenziale e gli esperti del marketing stanno sperimentando, con successo, nuove confezioni di bag in box da tre litri venduti a 15 Euro sul mercato portoghese. L'olio viene essenzialmente da tre cultivar: Galega, Cordovil e Verdeal. Il nome della confezione è São Bruno, in onore del Santo che nel secolo XI fondò la Certosa (da cui il nome di Cartuxa) di monaci contemplativi in cui ha ancora oggi sede la cantina della fondazione.

Dopo la visita al frantoio il gruppo si sposta verso la cantina, che si trova nella Cartuxa subito fuori le mura della città. La cantina gestisce una produzione di due milioni di chili di uva all'anno da cui si ricavano vini per il 25% bianchi e per il 75% rossi, tutti da uve autoctone quali Rompeiro, Antão Vez, Arinto e Perrum per i bianchi e poi Aragones, Trincadora, Alicante, Castelão e in piccola parte da uve straniere, in prevalenza Cabernet Sauvignon, per i rossi. Il vino è quindi conservato, durante la fermentazione, in oltre cento cisterne di acciaio inox a temperatura controllate, disposte subito al di fuori della Certosa, poi passa all'invecchiamento in botti di rovere (28 da 3000 e da 5000 litri) oppure in barriques francesi (circa 850 da 225 litri) e americane, in piccola percentuale, secondo il tipo di vino e le caratteristiche del vitigno o dell'assemblaggio di cui è previsto debba andare a far parte. Infine è imbottigliato e spedito per la commercializzazione.

I vini di punta della Fondazione sono E.A. (Eugenio de Almeida), Foral, Cerca Nova, Porta Nova, Pera Manca e Cartuxa. Tutti sono prodotti sia nella varietà bianca, sia nella varietà rossa (o Tinto). Alcune annate più fortunate sono conservate in confezionamenti speciali e venduti con caratteristiche particolari di pregio.
Oltre il 75% del fatturato attuale deriva dalla produzione di vino, il resto da quella di olio e di sughero, una coltivazione ancora ben radicata in Portogallo (sembra che richieda pochissima manutenzione e manodopera).



Terminata la visita alla cantina il gruppo è stato ospite, a pranzo, dei rappresentanti la Fondazione, in un ambiente raffinato ed elegante dove ha potuto degustare sia gli oli, sia i vini con le prelibate pietanze della cucina Alentejana ed apprezzare la buona qualità degli oli e la sorprendente eccellenza dei vini.
Al termine del pranzo e dopo gli immancabili ringraziamenti e saluti il gruppo ha ripreso la strada verso il Nord, mèta Guarda, la città più elevata del Portogallo (circa 1055 metri), dove è arrivato poco prima delle otto di sera.

Tutte le volte il viaggiatore e il suo gruppo si ripromettono di limitare gli apporti calorici all'organismo, visto i pochi consumi e le abbondanti libagioni, ma tutte le volte scopre che la carne è debole e ricade, come stasera, nelle tentazioni del buon cibo e del buon vino. A Guarda la sorte ha scelto la Casa do Bragal per completare la serata a base di cucina tipica portoghese (antipasti saporiti e invitanti, baccalà e carne arrosto con contorni di verdure, dolci fantastici), bagnata da vini di Porto di ottima struttura ed eccellente livello qualitativo.
La Casa è gestita da una simpatica famiglia in cui il padre ha una grande passione per la bella musica (da Maria Callas a Luciano Pavarotti, dal Jazz cubano al Fado, da Angelo Branduardi ad Amalia Rodriguez) ed è un eccellente anfitrione. A mezzanotte il viaggiatore e il suo gruppo hanno lasciato la casa alla luce della luna in fase calante, inseguiti nel taxi dai due cani che, la notte, a Guarda, fanno la guardia al giardino della Casa do Bragal.




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