Alto Monferrato per vini, sapori e castelli
Prodotti tipici locali ed eccellenze del territorio tra Genova e Alessandria,
tra Valle Scrivia e Val Borbera.
di Luigi Bellucci
A Castelletto d'Orba, dal 16 al 18 Marzo, la rassegna dei vini e dei sapori
dell'Alto Monferrato per iniziativa della locale amministrazione comunale
e del Sindaco Federico Fornaro, in collaborazione con il Ministero delle
Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Tra vigneti, sorgenti e castelli,
a cavallo tra storia e tradizione, alla scoperta di luoghi magici e incantati,
di sapori genuini e prodotti di qualità.
Venerdì 16 Marzo 2007
Ormai mancano solo cinque giorni alla primavera e già si sente. L'aria
di giorno è più tiepida e di notte si dorme con il solo copriletto. Il
sole brilla da qualche giorno senza una nube. Anche oggi qui a Genova
è una giornata quasi da spiaggia. Ci aspetta un breve viaggio nell'entroterra,
in autostrada sulla A7 fino a Serravalle Scrivia e poi tre chilometri
fino al Relais Villa Pomela. Siamo in anticipo e ci fermiamo a dare un'occhiata
all'Outlet di Serravalle. Il villaggio dell'abbigliamento è piacevole,
non affollato ma vivo di giovani che sbirciano da un negozio all'altro,
soprattutto ragazze e signore, qualche bambino che strilla su una carrozzella,
una coppia di fidanzati sulla ventina che si baciano appassionatamente,
seduti sul bordo della vasca al centro della piazza, mentre gli zampilli
d'acqua saltellano gioiosi, e fanno da colonna sonora alle effusioni.
L'arrivo a Villa Pomela
A metà pomeriggio risaliamo il viale alberato che sale sulla collina verso
Villa Pomela, un castello di fine '700 decaduto a metà novecento e dal
1995 ripreso dal Signor D'Amore e ristrutturato sapientemente per farne
una residenza di lusso in questo territorio in pieno sviluppo di tipo
post-industriale, con ampi spazi da utilizzare per servizi e piccola e
media industria.
Ci aspettano nella hall per il benvenuto Elio Archimede, dell'omonimo
Studio, e le sue collaboratrici: Chiara, la mora, e le due sorelle, Chiara,
la bionda, e Silvia, con un nasino con la punta all'insù, che fa simpatia
e le dà un'aria sbarazzina.
Una toccata veloce alla stanza su al primo piano per lasciare i bagagli
e poi una passeggiata rilassante nel parco attorno alla villa, in attesa
dell'arrivo degli altri ospiti.
La villa è circondata da un parco di 13 ettari, di cui 9 vitati quasi
tutti a Cortese e con un giardino che in questo periodo è tutta una fioritura
di gialli, bianchi, rosa. Profumi e colori che fanno ubriacare, enfatizzati
dalla luce tenue del tardo pomeriggio che precede il tramonto.
Cascina Perpetua
In questo paesaggio bucolico ci accompagna Alessandra, una giovane signora
di Villa Pomela, molto carina, in una passeggiata verso Cascina Perpetua,
l'Azienda annessa alla Villa che produce circa 70.000 bottiglie di buon
vino di Gavi, un po' di Monferrato dolcetto e del rosso Monferrato (Cabernet
e Merlot) e fa degli esperimenti con uno Spumante brut. La strada è di
campagna, stretta e asfaltata, ma senza traffico. Incrociamo una ragazzina
appesantita e sbuffante che fa dello jogging ascoltando musica da un auricolare,
più avanti un giardiniere sfoltisce la siepe che si è accavallata alla
rete di recinzione e un gradevole profumo di clorofilla si mescola nell'aria
ai profumi dei fiori e del sambuco. La Cascina è restaurata da poco. All'ingresso
un cancello di ferro con due enormi botti di legno, di quelle da un centinaio
di ettolitri, indicano che siete arrivati. Una torre quadrata a quattro
piani caratterizza la costruzione, di nuova fattura, con le sue strisce
orizzontali, gialle e verdi, come le strie dei Fieschi in alcune chiese
e palazzi genovesi. Una giovane biologa che lavora alla Cascina, Clara,
ci accompagna a visitare la struttura.
Clara è allegra e sorridente, una sana ragazza piemontese con un sorriso
accattivante. La vista inizia dall'esterno, dietro la casa, da dove si
vedono i vigneti e il laghetto in cui alcuni germani nuotano indisturbati.
Tutta la zona del Gavi si estende per 1076 ettari e comprende 11 comuni,
compreso Novi Ligure, in cui ora ci troviamo. Rientriamo poi all'interno,
passiamo nella saletta d'ingresso al pian terreno e saliamo al primo piano,
con la sala di rappresentanza e la sala degustazione, ricche di una miriade
di oggetti, tutti lucidissimi, e di mobili e utensili antichi, di cultura
contadina, quasi tutti di rame e meno di legno, caldi e vissuti, che il
Signor D'Amore ha raccolto per mercatini in Italia e fuori. Infine si
scende ancora a piano terra per una visita alle cantine dove una dozzina
di torri in acciaio maturano il vino della prossima annata. Assaggiamo
i loro bianchi di punta, prima un Gavi Cascina Perpetua 2006 DOCG di 12
gradi, imbottigliato da tre giorni, di un colore giallo paglierino scarico
ma limpido e con lievi riflessi verdastri, di un naso pulito con sentori
floreali intensi e piacevoli e una bocca sapida, equilibrata e fine. A
seguire lo stesso Gavi DOCG, ma del 2005, nettamente più interessante
non tanto al naso, dove appare più fine del precedente, quanto in bocca,
dove sprigiona una intensità inattesa con sentori di fiori e frutta bianca
uniti a note quasi mielose e un retrogusto di mela.
La Strada del Vino toccando la Scolca
Si sta facendo tardi per cui si torna alla Villa dove ci attende il pullman
per il percorso della strada del vino dell'alto Monferrato, tra Acquese
ed Ovadese, tra vigne e castelli e torri.
Durante il tragitto Chiara la bionda ci racconta il territorio del Gavi
e la sua evoluzione. Intanto si passa per Rovereto, su questa strada del
vino che tocca 58 comuni e due comunità montane, passando accanto alla
Scolca e ai suoi vigneti, un'azienda storica che deve la sua fama ai pezzi
di Mario Soldati, lo scrittore e gran conoscitore di vino. Oltre ai vini
doc e docg, bianchi, rossi e passiti, il territorio produce cioccolato,
amaretti, acque minerali, grappe rare e altre cose buone che si possono
trovare nei ristoranti e trattorie della zona.
L'Ostelliere
Le nostra meta di prima sera è Monterotondo, dove ceneremo al ristorante
La Gallina dell'Hotel Ostelliere di Stefano Moccagatta e fratelli. Stefano
ci attende all'ingresso, sembra la copia vivente del ritratto di Engels,
con la sua barba ordinata e capello fluente, imponente nella stazza da
peso massimo che la natura gli ha regalato.
Visitiamo con Antonella, direttore dell'albergo, alcune delle 28 camere
da letto della struttura, la standard, la suite junior, la suite presidenziale.
Per soggiornare in questo albergo immerso nella campagna monferrina bastano
da un minimo di 130 a un massimo di 600 euro a notte. L'arredo delle stanze
è tutto di pezzi unici recuperati da Stefano e dai suoi collaboratori
per i mercati di Italia e Francia. Prevalgono il legno e la pietra viva,
con qualche raffinato dettaglio in ferro battuto nelle stanze a due piani,
come la ringhiera che accompagna la salita alla scala. L'arredamento è
molto essenziale, senza fronzoli, con spazi ampi e soluzioni di arredo
semplici e lineari, studiate nei minimi particolari per accontentare ogni
esigenza.
Poi si visitano le maestose cantine dell'azienda Villa Sparina, che stanno
sotto alla struttura dell'albergo e del ristorante. Ci accompagna Roberto
lungo i corridoi interminabili, tutti interrati, con ampi archi in cotto
da cui pendono qua e là alcuni prosciutti crudi e coppe che stanno maturando
la stagionatura. Sotto le volte lunghe file di barriques, oltre mille,
in cui matura il vino rosso che l'azienda produce. Sul pavimento delle
cantine, ogni venti metri circa, si apre una botola che dà accesso alle
antiche cisterne in cui maturava il vino, ora ovviamente abbandonate.
Una delle cantine è anche adibita a sala convegni, già attrezzata con
sedie e un palco per gli oratori.
Il bianco sta tutto nei cilindri in acciaio, a parte una piccola quantità
di Monterotondo che passa in botte grande alcuni mesi prima dell'imbottigliamento.
Villa Sparina produce circa 600.000 bottiglie, la metà per il mercato
estero. La produzione è al 50% di Gavi, 30% di rosso e 20% di altri bianchi
non autoctoni. Una piccola produzione di spumante brut metodo classico
completa il panorama enologico aziendale. Roberto ci mostra, dalla rastrelliera
del remuage in fondo alla cantina, una delle seicento bottiglie di brut
metodo classico del 1986 che sta finendo il suo percorso di maturazione
prima di essere avviata al dégourgement e all'imbottigliamento.
Si risale lungo la scala esterna della Villa per tornare al piano terra,
per la cena, al ristorante La Gallina. Il cuoco è Fabio Barbaglini, un
giovane di 32 anni che ha imparato il mestiere in giro per il mondo della
ristorazione, fino alla Cassinetta di Lugagnano. La sua cucina è innovativa,
creativa, sperimentale, di qualità, con ricerca delle cotture alternative.
Obiettivo del ristorante è proporre un percorso di degustazione di 7 -
8 portate, a fianco di un menù tradizionale nel rispetto del territorio.
Il ristorante La Gallina
Il ristorante è ricavato in un edificio tutto esterno alla villa, sotto
una tettoia da vecchia capanna per il ricovero degli attrezzi o da antico
fienile. All'interno si respira un'aria di rustico elegante, luci in alto
ai lati delle grosse travi di legno che sostengono le due arcate del tetto.
I tavoli rotondi sono ben distanziati, le tovaglie beige sono accompagnate
da tovaglioli verde marcio. Dal travone centrale pendono grossi lampadari
in ferro, sorretti da corde bianche che, tramite una carrucola, vanno
a scorrere in una guida lungo le pareti laterali fino a terra. Ogni lampadario
sorregge qualche decina di bicchieri trasparenti con candele di cera,
di coreografia, infilati ciascuno in un riccio di ferro battuto che si
dirama dal centro del lampadario come i capelli della Medusa.
Sul tavolo al centro un enorme gallo in ferro battuto sorveglia con occhio
fiero le grasse galline in ceramica bianca che stanno appollaiate sui
mobili all'ingresso del ristorante.
Iniziamo con un bocconcino di focaccia tiepida con sopra una fettina di
lardo di Colonnata caldo accompagnato da un bianco Gavi DOC di Gavi Villa
Sparina 2006, fresco e profumato.
La cena prosegue con la cipolla cotta nel fieno e lavanda profumata alla
liquirizia e sherry, un incipit eccellente con un sapore leggero e gradevole
di liquirizia che ingentilisce il sapore dolciastro della cipolla accompagnato
dal gusto dello sherry. Molto interessante anche il secondo piatto, l'orzo
mantecato con crema di carciofi con al centro del piatto un piccolo ragù
di animelle e tartufo nero, dal sapore tradizionale e presentazione semplice
ed elegante. In accompagnamento il Villa Sparina Gavi Doc di Gavi La Villa
del 1995, un vino già molto maturo ma ben conservato, che mostra un carattere
deciso per un bianco e che ha conservato, nonostante l'età, un colore
giallo paglierino assolutamente non carico e al naso offre sentori di
muschio con note floreali mature, mentre in bocca mostra una buona sapidità
e corpo discreto, un buon equilibrio e un retrogusto finale con sensazioni
di agrumi.
Il piatto forte è costituito dalla gallina stufata in casseruola di rame
rivestita di una foglia di porro e al gusto di tartufo, un piatto ben
fatto, dal sapore delicato e giusta consistenza. Il vino abbinato è un
ottimo Villa Sparina Sampò Monferrato doc rosso 2003, di un bel colore
rubino brillante e luminoso, dal naso di vaniglia per i dodici mesi di
barrique e un sentore deciso di frutti rossi maturi in bocca e retrogusto
di ciliegia. Infine nel bicchiere da acqua un "Cremoso al cioccolato con
spuma di nocciole del Piemonte e granita al caffè", con un delicatissimo
sapore di nocciola fresca che riempie la bocca ad ogni cucchiaiata. Il
vino proposto è il villa Sparina Acino Nobile passito, di buon naso ma
con un esagerato sentore di cannella al sorso e lieve sentore di mela
al retrogusto, con note mielosa pressoché assenti. Caffé in chiusura.
Una piacevole conversazione accompagna la cena al nostro tavolo. Angelica
racconta come ha conosciuto Gigi, l'amore che l'ha colpita grazie a una
ciliegia rossa regalata sopra un gelato alla crema, della mamma che aveva
capito subito che "quello lì ti porta via", di come ha lasciato la sua
Merano, il suo Lago di Carezza sopra Nova Levante, per scendere a Vercelli,
tra zanzare e nebbia. Si chiacchiera dei giovani di oggi, del fatto che
"non se ne vogliono andare", della frenesia della vita che ha perso l'attrazione
per i gesti romantici, per le sensazioni semplici di un bel tramonto o
del profumo dei fiori di campo. Si chiacchiera anche della storia del
novecento con Alfredo, che anche stasera abbiamo avuto la fortuna di avere
al nostro tavolo. Alfredo è una pagina storica del giornalismo italiano,
è la memoria storica della cronaca nazionale, è una fonte inesauribile
di notizie e di informazioni interessantissime, politiche, economiche,
gastronomiche, enologiche, grande conoscitore della natura umana, abile
espositore con quel suo tono pacato e maestro di mitezza.
Sono passate le undici quando torniamo a vedere le stelle, che riescono
a filtrare attraverso l'inquinamento luminoso di questa parte dell'alessandrino
e riscendiamo verso Serravalle e le luci di Villa Pomela per un sonno
ristoratore che ci permetta di affrontare riposati la seconda giornata
del tour, ancora più intensa e piena di impegni di oggi.
Sabato 17 Marzo 2007
La sveglia dell'albergo è stata preceduta dalla luce della mattina che
filtra tra le serrande a persiana del terrazzino. Apro la finestra e vado
in terrazza a respirare quest'aria fina, fresca delle 7, ricca dei terpeni
che salgono dai fiori bianchi e gialli e rosa dei cespugli sparsi per
il parco sotto di noi, che entra nei polmoni e li rigenera. Dopo la toilette
scendiamo in sala da pranzo, una fila di tavoli accostati ai vetri della
veranda che dà sul parco. Oggi mi va una colazione con caffé d'orzo e
latte, addolciti da un cucchiaio di miele, uova sbattute e pancetta calde,
una fetta di pane bianco, uno yogurt con un cucchiaio di crusca sopra,
una fetta di torta di mele e un bicchiere di spremuta d'arancio. È tutto
allineato sul tavolo a buffet, insieme ad altre ottime cose, croissant,
biscotti, prugne e ananas e pesche sciroppate, marmellate, formaggi e
salumi e salsiccette calde, frutta fresca a volontà.
Palazzi, cantine e sorgenti a Castelletto d'Orba
Alle nove si sale sul pullman che ci deve portare a Castelletto d'Orba,
famosa stazione di villeggiatura per i genovesi negli anni tra le due
guerre e poi fino agli anni '70, quando pian piano decadde per non essersi
saputa rinnovare in tempo. Della decina di alberghi e pensioni che c'erano
allora non c'è più nulla, solo qualche vestigia architettonica come la
costruzione con la loggia in pietra ingrigita e la scala con archi gotici
che sale al piano superiore, proprio sulla strada principale che costeggia
l'Orba.
Ci accompagna nella visita Gianni Dolcino, storico dell'arte, scrittore
e pittore, che conosce molti segreti del paese e ci racconta delle acque
minerali, del D'Andrade, delle chiesine nella campagna attorno a Castelletto,
mentre ci pota a visitare le cantine ricavate nella roccia tufacea della
Slina della famiglia Cichero. Lo scavo iniziale fu merito di Andrea, bisnonno
di Giorgio, il titolare. La cantina sembra quasi una grotta con la volta
molto alta, piuttosto umida, con le "ovaline" in legno per la conservazione
del vino rosso da invecchiamento. Giorgio ci propone un assaggio del suo
Rosato di Dolcetto, lo Slin Rosè, di 13,5°, di cui fa circa 8000 bottiglie,
un rosato molto interessante per aromi, freschezza e di buon corpo. Giorgio
fa anche del buon Barbera di Ovada e del bianco Gavi.
Riscaldati dal sole mattutino scendiamo la ripida costa della Slina verso
il paese e Gianni, il nostro cicerone, ci mostra in alto, davanti a noi,
il castello, ristrutturato dal D'Andrade, l'architetto di origine portoghese
ma vissuto praticamente sempre in Liguria e Piemonte, autore, tra l'altro,
della rocca e del borgo medioevale nel Parco del Valentino a Torino, del
ripristino di Porta Soprana e di Palazzo San Giorgio a Genova. Passeggiando
tra le viuzze del paese attraversiamo l'Orba per dare un'occhiata alla
"casa del Marchese", un edificio in mattoni rossi e cotto, con facciata
del 1300, in cui è murata, e si vede bene, una piastrella con motivi arabi
proveniente da una delle crociate. Dal finestrino all'ultimo piano, nel
sottotetto della mansarda, esce un tubo da stufa, di quelle che si usano
ancora nelle vecchie case, per riscaldarsi nei giorni di gelo.
Continuiamo la passeggiata per vedere e assaporare alcune delle nove fonti
che sono ancora efficienti in questo paese "delle acque minerali", la
Fonte Cannone, proprio sull'Orba in mezzo alle case, con un vecchio lavatoio,
di quelli di pietra che servivano una volta per fare il bucato. Con un
po' di fantasia si sente ancora il cicaleccio delle ragazze che sciacquano
e risciacquano e il canto melodioso di quelle più allegre. Subito fuori
il paese c'è la fonte San Roco e la Santa Limbania, acque solforose, dicono
che fanno molto bene, ma non sono per tutti i palati.
Sulla facciata della chiesina di Sant'Innocenzo, dell'anno 1000, emergono
motivi religiosi simili a quelli che si vedono a Genova sul Duomo di San
Lorenzo.
Vini e Sapori, prodotti del territorio
Risaliamo sul pullman e passiamo davanti allo stabilimento dell'acqua
Sovrana mentre l'autista dirige verso il tendone fuori paese dove si tiene
la Rassegna dei vini e dei sapori dell'Alto Monferrato. Al centro del
tendone è stato creato un piccolo spazio "conferenze" con sedie e palco
per le autorità. Il Sindaco ci dà il benvenuto e passa la parola al neo-Presidente
della Strada del Vino dell'Alto Monferrato, Aureliano Galeazzo, che ringrazia
l'on. Lino Carlo Rava, Presidente uscente, e illustra gli obiettivi della
manifestazione e il programma dell'evento.
Oltre ai vini, numerosi, esposti dai produttori nello spazio circostante,
si possono fare assaggi di conserve, salumi, dolci, grappe e tante altre
cose buone. Per la sera sono previsti musiche e danze della tradizione,
i Canti dell'Osteria, i Canti della Guascogna con cantori in costume,
una festa dedicata alla presentazione di un libro sul riso "Senti le rane
che cantano" accompagnato da una disquisizione sull'abbinamento del riso
con i vini e con un CD che contiene i canti delle mondine. Il Presidente
anticipa infine le manifestazioni di giugno, quando ci sarà una festa
nel "ricetto", il cortile interno al castello, nell'ambito dell'iniziativa
Arte e Storia con il recupero di edicole votive, e poi in ottobre con
la rassegna Terre e Vino per la conclusione della vendemmia 2007.
Prende la parola Aloisio, che è stato direttore del Carnevale di Viareggio
e ci racconta della Compagnia dei Misteri, una sorta di gruppo teatrale
che ha sperimentato una forma di teatro di massa nel 2004, con 250 monferrini
che hanno messo in piedi e realizzato lo spettacolo "il Mistero dei Misteri".
Si sta lavorando per trasferire questa idea in un carro storico dell'Alto
Monferrato per il prossimo Carnevale di Viareggio. Un'altra idea coltivata
è quella di realizzare ancora uno spettacolo di massa sulla storia dei
Tarocchi, le famose carte per "divinare" il futuro. La Compagnia dei Misteri
di Aloisio è comunque aperta a nuove iniziative e a coinvolgere chiunque
voglia liberamente partecipare a questi spettacoli, a fianco degli attori
professionisti che ne fanno parte. Al termine della presentazione un breve
giro degli stands, alla ricerca di sapori genuini tra i banchi con assaggi
di dolci secchi, canestrelli, amaretti morbidi, salumi, coppe, miele,
marmellate e poi spumanti di Gavi, dolcetto di Tacchino Luigi, e tanti
altri.
Il Pranzo a Villa Carolina
Il sole benevolo continua a farci compagnia mentre ci spostiamo per il
pranzo a Villa Carolina, il golf club di Capriata d'Orba di cui è presidente
Giorgio Tacchino, oggi impegnato altrove.
In uno dei locali storici della Villa è stata apparecchiata un'ampia tavolata
quadrata, attorno alla quale prendiamo posto, in attesa dell'arrivo di
tutti gli ospiti. Ci tengono compagnia Luigi Barile e Signora. Abbiamo
appena assaggiato la sua grappa di dodici anni al banco delle grappe sotto
il tendone di Vini e Sapori. Luigi è un grande. Uno di quei personaggi
che quasi per scherzo ha iniziato a fare grappa, rilevando l'azienda di
Silvano d'Orba che stava chiudendo negli anni '70, insieme a un socio,
che ora non c'è più. Poi il suo pallino per la qualità ha fatto il resto.
Nella sua cantina le barrique nelle quali invecchia la grappa sono oggetto
di visita continua. Qualche mese fa abbiamo assaggiato la più vecchia,
quella dei 30 anni, di un bel colore ambrato scuro e un sapore in cui
si mescolano fiori, frutti, funghi, tabacco, cuoio in un bouquet ricco
e ampio.
È un piacere avere insieme a pranzo Luigi e Nuccia, lui è di buona compagnia
e lei, carina e sorridente, lo accompagna come un'ombra, sempre insieme,
sempre d'accordo, sempre in sintonia, due persone schiette e sincere.
Ogni tanto Luigi si lascia prendere dal troppo entusiasmo, allora Nuccia
gli dice qualcosa piano all'orecchio e lui si ricompone.
Al tavolo c'è anche Aurelio Montobbio, che ci presenta i vini che assaggeremo
durante la colazione a cominciare da un Bianco Monferrato DOC La Slina
del 2006, di 12 gradi. Un uvaggio di Chardonnay, Cortese e Mueller Thurgau,di
buoni profumi, sapidità e freschezza, che ben si abbina ai salumi tipici
che ci troviamo nel piatto: testa in cassetta profumatissima e un delizioso
filetto baciato, una sorta di salame con il cuore di filetto di maiale,
oppure un cuore di prosciutto crudo all'interno di una pasta di salame
fresco.
A seguire un delizioso piatto di agnolotti, ben fatti e meglio conditi,
saporiti e freschi, abbinato a un Dolcetto di Ovada Beneficio DOC 2005
dell'Azienda Montobbio A&A di Castelletto d'Orba, di 12,5 gradi. Un bel
colore rosso rubino con riflessi granata, dal naso vinoso e pulito con
sentori di frutti rossi. In bocca è maturo, un po' ruspante ma equilibrato
e discretamente tannico, con un retrogusto piacevole di prugna e ciliegia.
Il piatto forte è uno stinco di vitello con salame, abbinato a una Barbera
del Monferrato DOC 2004 sempre di Montobbio, di 13 gradi, affinata in
barrique. Il colore è rosso rubino intenso e luminoso, al naso emergono
sentori speziati, complessi, con lievi note di vaniglia. In bocca è equilibrato
e armonico, piacevole, invita a ribere e al retrogusto si sentono le prugne
rosse con sfumature di liquirizia.
Infine con il dolce un Brachetto d'Acqui DOCG 2006 di Marenco,di 5,5 gradi.
Il colore rosa antico è maestoso ed elegante. Al naso la fragola e la
osa la fanno da padrone. In bocca si riconferma la rosa con un sorso frizzante
e un retrogusto persistente.
Il servizio al tavolo è stato efficiente e professionale, per merito di
Monica e di PierSilvio, cui va il nostro sincero ringraziamento. Un bravo
particolare a Carlo Parisio che cura la cucina del Club, veramente essenziale
e di qualità.
Il Golf a Villa Carolina
Alla fine del pranzo Amedeo Daglio, Direttore di Villa Carolina, ci racconta
la struttura per il golf, che oggi si estende su 120 ettari. Per i prossimi
anni si prevede di ampliarlo fino a 210 ettari, con l'espansione del green
da 18 buche a 27, in una fase intermedia, e poi a 36 in quella definitiva.
Attualmente si contano poco meno di 500 soci. La vecchia cascina aveva
il privilegio ella cappella privata. Si vedono ancora gli esterni all'estrema
sinistra della struttura dei vecchi fienili, adibiti oggi a sala ristorazione
e ad alloggi. Sono state ricavate 25 camere doppie su due piani per i
soci e i loro ospiti che intendono pernottare al Club. Nell'ala a sud
è stato ricavato un secondo ristorante, più grande e una terrazza, oltre
a locali per il deposito delle sacche. Attorno al green c'è ampia possibilità
di soggiorno, con un'ottantina di unità abitative, di cui la metà in fase
di completamento e altre 150 in progetto, con un investimento di circa
100 milioni di Euro.
Dalla terrazza al primo piano si ha una gradevole vista sul green,che
non ha linee elettriche aeree e quindi non si vedono fili più o meno dissimulati.
Il Centro Benessere a Villa Carolina
Scendiamo di nuovo a piano terra e usciamo verso il Centro Benessere,
gestito dal direttore Diego Berti Riboli. Il Centro è attivo dal settembre
2005 per i soli soci del golf e dal marzo 2006 l'accesso è esteso anche
ad esterni. La struttura è di nuova costruzione, prevalentemente in pietra
e legno, e fa capo alla casa di cura Villa Montallegro di Genova ed è
stata attrezzata grazie a joint venture con alcuni Marchi che operano
nel settore dei prodotti di bellezza.
È dotato di una piscina 7 x 4 con vasca idromassaggio e acqua riscaldata
a temperatura corporea di 35-36 gradi, due studi per consulenze di percorso
cosmetico e analisi epidermiche personalizzate, oltre a cabine per trattamenti
di estetica di base e professionale. Una piccola palestra dotata di specchi
sui tre lati, che ne aumentano la profondità, consente esercizi di fitness
e di preparazione fisica per golfisti e soci.
Ancora una zona sauna "Salus per Aqua" e bagno turco, che costituiscono
il percorso iniziale per il trattamento epidermico, la zona spogliatoi
e massaggi, linfodrenaggi e altro completano le attrezzature del Centro.
Sul muretto della scala che sale al primo piano un bel cesto di mele verdi
(vere) rallegra l'occhio e l'olfatto.
Il Castello Malaspina a Rocca Grimalda
La visita a Villa Carolina si conclude a pomeriggio inoltrato. Si riprende
ora il pullman per Rocca Grimalda. Si sale fino al paese (284 metri s.l.m.)
e poi visita al giardino all'italiana di Castello Malaspina (1772-1778).
Ci accolgono le attuali proprietarie, le signore De Rege Di Donato, quattro
sorelle che sembrano uscite dalle poesie di Guido Gozzano, Anna Giulia,
Francesca e le due gemelle Clotilde e Giovanna, persone squisite. Il giardino
è stato restaurato di recente e sarà ufficialmente inaugurato il prossimo
14 maggio. Le piante prevalenti sono la vitis vinifera, il melograno,
il ginepro. Di queste si parla nel manoscritto datato 8 febbraio 1778
che il Reverendo Giacomo Peloso inviava a Battista Grimaldi di cui era
procuratore in queste sue terre.
Una delle sorelle ci accompagna nella visita al giardino e racconta che
hanno piantato e coltivano vitigni autoctoni quali Cortese, Timorasso
e Malvasia e poi anche Barbera, Dolcetto e Albarossa, l'incrocio tra Barbera
e Nebbiolo.
Dal giardino la vista sui monti circostanti si estende dal Monte Tobio,
il più alto della zona, fino all'Appennino che nasconde Arenzano, verso
il mare. Nel cortile del palazzo campeggiano sculture moderne di un artista
svizzero, Balthazaar, in fili e tiranti, che si muovono al soffiare del
vento che oggi arriva fin qui e ci scompiglia i capelli. Oggi le sorelle
vivono qui, affittando stanze e saloni del castello per cerimonie, in
particolare la torre, un sottotetto con graffiti e sei stanze.
La storia del castello risale circa all'anno 1000-1100, quando era Signoria
dei Costantini, poi divenne proprietà dei Marchesi di Gavi e dal 1263
insediamento dei Marchesi Malaspina per conto della Repubblica di Genova
che ne rivendicava la proprietà. Nel 1440 la proprietà è passata a Filippo
Maria Visconti, che vi insedia i Trotti. I documenti ci dicono che nel
1570 Bianca Trotti vendeva il feudo, per 20.300 scudi d'oro, a Battista
Grimaldi, un antenato del Battista Grimaldi cui scriveva il Reverendo
Peloso a fine '700. Una chicca della Villa è la cappella, cui si accede
dal muro laterale, dedicata a San Maurizio, che qui festeggiano in settembre,
e che è perfettamente conservata. Usciamo nel vento delle cinque ad ammirare
un magnifico esemplare di Pino Douglas che svetta su un lato del giardino
con le chiome che ondeggiano sullo sfondo delle nubi grigie che stanno
coprendo la valle.
Il Museo della Maschera a Rocca Grimalda
Qui a Rocca Grimalda continuano le sorprese, dopo la piacevolezza del
Castello Malaspina ecco la sorpresa del Museo della maschera, un luogo
magico di costumi e vesti tradizionali, non solo italiane, ma da tutto
il mondo. Un laboratorio etno-antropologico in cui ci si può tranquillamente
perdere a passarci ore e ore con la fantasia e ad ammirare le decine e
decine di maschere descritte dalle locandine alle pareti: la Lachera,
tipica di qui, e il Lacchè, il Trapulin, il Bebé, il sardo Mammuthone,
tutto nero e lanoso, il Basile, la Moresca, il Danzatore di spade, il
Mulattiere, la Damigella, lo Zuavo, gli Sposi, il Bal do Sabre, la 'Ndrezzata,
l'Orso, il Rollat, Les Faux Pénitents, la Gille e tante tante altre maschere,
una più bella e curiosa dell'altra.
A settembre ci sarà la mostra della medicina magica e l'inaugurazione
di una nuova ala del museo. Vale senz'altro la pena pianificare una visita
di una giornata da dedicare a questo luogo così sconosciuto ma così pieno
di storia e tradizioni popolari.
L'Enoteca di Rocca Grimalda
Usciamo dal museo per una breve visita con ricco spuntino alla bottega
del vino di Rocca Grimalda "il diavolo sulle colline". Un luogo raccolto
per una sosta e un buon bicchiere locale. Bottiglie ben assortite e prezzi
decorosi fanno pensare a una piacevole merenda pomeridiana per chi sia
venuto a visitare questo piccolo gioiello dell'Alto Monferrato. I proprietari,
gentilissimi e ospitali, non ci lasciano uscire senza averci omaggiato
di una bottiglia ricordo della visita. Peccato che la natura troppo umana
di qualche personaggio in visita abbia macchiato questa sosta con un comportamento
poco ortodosso e sinceramente disdicevole.
Torniamo sul pullman per una breve visita a Ovada. Gabriella ed io approfittiamo
per visitare un bellissimo oratorio, lungo una via del centro. Un sacerdote
sta celebrando la Messa e le poche panche sono piene di suore, tutte anziane,
tutte raccolte e "corali". Sembra di essere in un ambiente Felliniano,
completamente fuori dal mondo o fuori del tempo. C'è un'aria di mistica,
di raccoglimento, di preghiera, ma non è pesante, non respinge, anzi attrae
e suscita meraviglia insieme a piacere e serenità d'animo. Ci tratteniamo
fino alla fine e usciamo riconciliati con noi stessi e con il mondo che
ci scivola attorno mentre e ne torniamo al pullman.
Il Bel Soggiorno a Cremolino
La prossima destinazione di questa giornata ricchissima di spunti e sensazioni
è la cena a Cremolino, ai tavoli del Bel Soggiorno, una vecchia trattoria
ora diventata un bel ristorante di una certa classe in cui si mangia una
cucina tipica, sostanziosa e ben curata.
Siamo tra i primi. Fuori l'aria è fresca, finalmente invernale, anche
se la primavera è dietro l'uscio.
Una tavola lunga apparecchiata ci attende al centro del salone con le
vetrate sulla valle. Solo qualche lampione si scorge, tra i riflessi delle
luci interne che confondono la percezione.
Il primo assaggio sono le focaccine calde con crema di formaggio, alla
maniera levantina, abbinate a un sorso di Timorasso 2004 Derthona dei
vigneti Massa, di 14 gradi. Il colore è di un giallo paglierino limpido
e brillante. Al naso è pulito, abbastanza fine e di media intensità e
si avverte qualche nota minerale. In bocca è sapido, di buon corpo, armonico
ed equilibrato, con un retrogusto di agrumi che dà freschezza. A seguire
fettine di pera con crema di gorgonzola, poi un eccellente carpaccio di
fassone con bagnacauda, di gran profumo e freschezza. Anticipo in abbinamento
il Dolcetto di Ovada superiore Doc 2003 Ninan di Rossi Contini (San Lorenzo
di Ovada) di 13 gradi. Il colore è limpido, di un bel rosso granata. Al
naso è leggermente speziato, con sentori di frutti rossi di bosco, mora
e lampone. In bocca offre un sorso pieno, di buon corpo, armonico e con
tannini discreti per chiudere in un retrogusto di ciliegia e amarena.
È un vino importante e di ottima stoffa, ancora in netta crescita se ben
conservato.
L'ultimo antipasto sono i rabaton alessandrini, gnocchi verdi di ricotta,
parmigiano, spinaci e borragini (quando si trovano), delicati, con i quali
si torna all'ultimo sorso di Timorasso rimasto nel bicchiere, più appropriato.
A seguire i taglierini al sugo di coniglio di cascina, abbinati magnificamente
al dolcetto che era stato anticipato da me sul carpaccio di fassone.
Dalla cucina si sente arrivare il profumo dell'olio di frittura, quello
buono ed ecco il fritto misto tradizionale alla piemontese con cui stappiamo
la Barbera del Monferrato Superiore Doc 2004 La vigna di Dante dell'Azienda
La Guardia di Morsasco, di Franco Priarone. Il colore è rosso rubino intenso
e brillante. Al naso emergono sentori speziati di buona intensità e persistenza,
con note di frutti rossi maturi e sfumature di tabacco. In bocca l'acidità
è evidente, in buona armonia con i tannini che avvolgono docilmente il
palato e in equilibrio con un corpo elegante e strutturato. Al retrogusto
si avverte un bouquet di amarena e prugna matura e un leggero sentore
di mirtillo nero.
Il vino è effettivamente grande e ben si abbina al fritto che è ancora
meglio, tra un profumare di carciofi, agnello, cotoletta di manzo, pollo,
fegato, rognoni e poi mela, carota, borragine, foglia di salvia, finocchio,
melanzana e ancora amaretti, cioccolata, latte dolce, ecc. ecc.
L'ultimo buco nello stomaco viene colmato con il Créme Caramel classico,
accompagnato a un buon Brachetto d'Acqui Docg 2005 di Servetti. Il colore
è di un accattivante rosso ciliegia, al naso offre sentori di rosa e mandorla
e in bocca mostra un'acidità spiccata con lievi note di cotto e sfondo
zuccherino per chiudere con un retrogusto di lampone.
Il caffé chiude la sontuosa cena e ci si ferma infine a chiacchierare
con i vicini dei fatti della giornata, biasimando il comportamento squalificante
di chi approfitta della "distrazione" di chi ci ha ospitato, vera o simulata
che sia, per arraffare ignobilmente qualche bottiglia in più, in bella
mostra sugli scaffali. Comportamento che squalifica in primis la persona,
se viene colta sul fatto, ma soprattutto la categoria che rappresenta,
che appanna la propria immagine di irreprensibilità. Purtroppo questi
"furbacchioni" si annidano in ogni gruppo, ma chi è responsabile della
visita dovrebbe essere più attento alle "vox populi" che ogni tanto si
alzano e dovrebbe provvedere a "isolare" queste figure che a Genova, con
un buon eufemismo, potremmo chiamare "meschinetti".
Si risale sul pullman, che in retromarcia, in discesa, dal cortile del
Bel Soggiorno riguadagna la strada maestra passando attraverso le strette
colonne del cancello d'ingresso (tra gli applausi dei passeggeri) e ci
riporta verso Villa Pormela per la notte.
Domenica 18 Marzo 2007 - Il castello di Tagliolo
Anche oggi il vento del nord ci tiene compagnia. Entriamo nel cortile
del castello. Oggi la giornata è dedicata a noi. L'interno è ben tenuto,
si vede anche qui la mano del D'Andrade sulle merlature e su qualche decoro
in facciata. Il giovane marchese Luca Pinelli Gentile ci accoglie e illustra
sommariamente la visita che stiamo per iniziare. Il castello e le sue
dipendenze sono in perfetto stato perché dentro ci vivono una decina di
persone e solo dodici anni fa sono stati rifatti i tetti, per circa 3.000
metri quadrati di copertura. La torre, che si vede ogni volta che si passa
sulla A14 da Voltri verso Alessandria, è la parte più antica del castello.
Risale al 970 la costruzione della sua base. Veniva utilizzata in origine
per l'avvistamento dei Saraceni e per la segnalazione mediante segnali
di fuoco alle torri dei paesi vicini con le quali esisteva un contatto
a vista, tecnica ben collaudata dai Genovesi che 'avevano applicata a
fondo anche sulle coste della Corsica. Nella sola provincia di Alessandria
si contano ad oggi ancora circa 300 castelli e almeno 2000 in tutto il
Piemonte
Il nucleo originario del castello fu ingrandito in due fasi, nel 1300
e nel 1650 e verso la fine dell'800 subì la ristrutturazione del D'Andrade,
che lo rese come lo vediamo oggi.
La proprietà attuale risale al 1498. Dal castello passiamo ai vigneti.
Attorno vi sono oggi circa 28 ettari di vigne, tutte nel Comune di Tagliolo,
che costituiscono una piccola frazione dei 350 ettari di proprietà dell'Azienda.
La cantina è all'interno del castello, è perfettamente operativa e visitabile
anche a gruppi tutto l'anno, su prenotazione. La visita può costare da
un minimo di 5 euro fino a 30-40 se ci si ferma anche a colazione nel
salone del ristorante all'interno delle mura.
Il vitigno principe è il dolcetto, di cui si producono circa 50.000 bottiglie
con diverse lavorazioni: classico, aromatico, aromatizzato alle erbe,
chinato e anche passito. Altri vitigni a bacca rossa barbera, cabernet
sauvignon e pinot nero. Infine i vitigni a bacca bianca: cortese, chardonnay,
pinot bianco e riesling. La produzione del bianco prevede anche una parte
di spumante Charmat e di spumante classico, per il quale si utilizza il
pinot nero, sia vinificato in bianco, sia nella versione rosè. Il mercato
prevalente è quello italiano, per l'80%. I prezzi sono ben contenuti e
partono dai 3,5 Euro del dolcetto classico, per arrivare agli 8 Euro del
dolcetto La Castagnola, quello che nel 2001 ha meritato i due bicchieri
nella guida Vini d'Italia 2007 del Gambero Rosso, quello che subisce un
invecchiamento di 12 mesi in botte grande e barrique. Il topo di gamma
per i rossi ha 24 mesi di invecchiamento e può essere acquistato a 12
Euro.
Mentre scendiamo a visitare le cantine Luca ci racconta della festa che
ogni anno si fa qui l'ultima domenica di Maggio per Cantine Aperte, con
un interessante itinerario gastronomico.
Sotto le volte in mattoni del decimo secolo, anneriti dal tempo, stanno
una ventina di botti grosse, da 50 a oltre 100 ettolitri, una quarantina
di barrique e una ventina di cilindri in acciaio a temperatura controllata.
La cantina è stata dipinta tutta di bianco alle pareti perché il regolamento
comunale vuole così, anche se non servono molto, anzi intristiscono e
avviliscono questo luogo di tradizione vinicola millenaria. Luca si affida
alla collaborazione di un buon enologo di Asti e di un agronomo esperto.
Dalla cantina ci avventuriamo a visitare l'infernotto, vicino alla base
della torre, dove esistono anche bottiglie antiche che risalgono al 1815.
Il luogo è degno di una sosta anche prolungata perché vi si respirano
veri momenti di storia. Ha un fascino un po' lugubre, ma vale la pena
entrarci. Usciamo nella luce del giorno socchiudendo le palpebre per proteggere
gli occhi e risaliamo verso il cortile superiore contrastando il vento
freddo del nord che ancora soffia deciso e che potrebbe ispirare il regista
di Chocolat per una versione monferrina, visto anche la perizia dei cioccolatai
locali, da Novi a Bodrato.
Attorno al cortile spiccano i muri grigi della vecchia Chiesa Oratorio,
un cannoncino con munizioni in pietra da catapulta, e in alto, lungo la
merlatura tardo medievale del D'Andrade, un ballatoio incompiuto in pietra.
Una mezza dozzina di scalini portano nel salone interno, con al centro
un bel camino ancora funzionante e una bella collezione di armi bianche,
lance e alabarde. Al centro del soffitto, sopra il grande lampadario,
lo stemma della famiglia e sulle apreti quadri scuriti dal tempo, di scuola
genovese.
Il castello era stato occupato dal comando tedesco nell'ultima guerra
e Luca ricorda qualche aneddoto che ha coinvolto il nonno e la famiglia
che qui abitava. Dalle finestre a ponente si ammira la vallata che sfocia
più avanti su Ovada.
La tappa successiva è la salita alla torre, con oltre un centinaio di
scalini per una vista a 360 gradi sull'arco appenninico. Di qui si vedono
ancora una dozzina di castelli, ma si vedono anche i palazzoni di Tagliolo
costruiti negli anni '60 con il boom economico, che sono veramente brutti.
Luca ci fa notare che sulle pareti della torre vi sono ancora i graffiti
che gli ultimi prigionieri della prima metà dell'800 avevano disegnato
con pezzi di carbone, probabilmente. Si potrebbe pensare che non è poi
male come prigione, visto il panorama che vi si gode. In realtà allora
la torre era una piccola terrazza e non aveva il tetto per cui i prigionieri
erano abbandonati alle intemperie e di sicuro le stagioni fredde non dovevano
essere così piacevoli.
Scendendo dalla torre, in un piccolo andito quasi alla base sta una targa
in marmo del 1838 che ricorda la fine dell'utilizzo del castello come
carcere feudale.
Tagliolo - Il Pranzo al Castello
È arrivata l'ora della colazione. Luca ci accompagna nella sala dove
potremo pranzare. Un bel locale su due piani, ben ristrutturato, tutto
in legno e cotto, con copie di quadri di Van Dick e Strozzi alle pareti.
Un piccolo buffet con antipasti misti ci ristora dopo la camminata per
cantine, cortili, torre e saloni, bagnati da uno spumante Charmat di buona
fattura.
I tavoli rotondi sono apparecchiati al piano superiore. L'aria è molto
fresca. Ci sediamo in un punto in cui arriva un po' di sole dal piccolo
finestrino che dà sull'esterno verso sud ovest.
Si comincia con un Guazzetto di asparagi, piselli e fave con tartare su
cui azzardiamo un Dolcetto di Ovada Doc Castello di Tagliolo 2005, di12,5
gradi. Il colore è un bel rosso rubino, limpido e vivo. Al naso offre
un sentore vinoso pulito con note vegetali e leggerissime spezie. In bocca
è equilibrato, armonico, di medio corpo per un retrogusto finale di ciliegia
abbastanza persistente.
Proseguiamo con il Dolcetto anche con i raviolini burro e salvia con piccoli
dadini di pomodoro fresco, che fanno colore e conferiscono una lievissima
acidità che ben si contrasta con la paciosità del burro. Ottimo il secondo,
un buon coniglio alla monferrina con carote, accompagnato da un altro
Dolcetto di Ovada, ma siamo saliti di livello verso il Doc Castello di
Tagliolo 2000 La Castagnola, di 13,5 gradi, con 12 mesi di legno e barrique.
Al bel colore rosso rubino fa da contraltare il naso ancora troppo chiuso
ma in cui emergono la vaniglia e le note speziate. In bocca è pieno, di
buona acidità e discreto corpo con un buon equilibrio finale e un retrogusto
di liquirizia e frutti rossi maturi.
Il dolce è una panna cotta alla nocciola con crema di nocciola, una fetta
di torta alle nocciole e mezza fragolona rossa, cui accompagniamo un Dolcetto
chinato "In…Chino" Castello di Tagliolo,un piacevole vino aromatizzato,
di 16 gradi, fatto con Dolcetto Doc, alcool, aromi naturali, tra cui china,
genziana, cannella, rabarbaro, anice stellato e altri. Un bel caffé conclude
il lauto pasto e si chiude definitivamente con un sorso di grappa al dolcetto
del Castello di Tagliolo, un bel sorso rotondo di 45 gradi che serve anche
a riscaldarsi un po' in questa giornata ventosa e fresca. Nel frattempo
è arrivata a salutarci la marchesa, la madre di Luca, una signora elegante
e giovanile che si ferma a chiacchierare piacevolmente con i vari gruppi
ai tavoli.
Usciamo per tornare alle macchine e Luca ci mostra la parte del castello
che da fine primavera sarà in grado di ospitare i turisti che vorranno
soggiornare per qualche giorno rilassante nelle cascine annesse al muro
di cinta verso nord.
Risaliamo in macchina dopo un saluto alla comitiva e prima che si accumuli
il traffico di ritorno della domenica pomeriggio. Domani ci aspetta un
viaggetto a Montecarlo, dove si parlerà di Olio mediterraneo nella cornice
dello Sporting d'Hiver.
Luigi Bellucci
Fotografie : Gabriella Repetto
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