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          Esperta Maria Stefania Bardi Tesi


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Il venerdì…c’è il baccalà
di Maria Stefania Bardi Tesi

Un antico proverbio recita: “tu se come la pelle del baccalà, in do la si tira e in do la và”… Povero baccalà!!! La sua pelle è morbida e duttile è vero, ma le sue carni per secoli hanno sfamato intere generazioni ed ancora oggi un bel piatto di baccalà vuoi mettere!!!… La storia del merluzzo salato (perché questo è il baccalà) è antica quanto l’uomo… o poco ci manca. Ma sulla sua storia più antica tornerò un’altra volta. Adesso mi voglio soffermare sull’aspetto quaresimale o comunque penitenziale che questo alimento, come molti altri ben definiti e riconducibili a categorie alimentari ben precise, ha rivestito nel corso dei secoli nel mondo cristiano.

La notorietà del baccalà e dello stoccafisso (solito merluzzo seccato al vento) in Italia si devono al nobiluomo e mercante veneziano Piero Quercini, che il 25 aprile 1431 partì con i suoi luogotenenti dall’isola di Candia, allora dominio veneziano, puntando verso ponente. Le peripezie cui andò incontro non sto qui a raccontarle, perché dice un altro detto: “tutto è bene quello che finisce bene”… o no? E bene finì se consideriamo l’epoca. Epoca in cui certo il problema della conservazione del cibo non era fatto secondario ed il pesce secco o salato portato dal Quercini, offriva grandi possibilità, a vantaggio del gusto possiamo affermare noi oggi!!!

Il sacro concilio di Trento del 1561, nell’ambito del quale: patriarchi, vescovi, abati, ecc. stabilirono nuove e più severe regole sulla “maniera del vivere”, sanzionò l’ascesa del baccalà nella cucina di rango, tanto è che solo dopo tale concilio stoccafisso e baccalà, cominciarono ad essere menzionati nei ricettari italiani. Già di largo uso nelle fasce sociali meno abbienti, era, ed in parte è ancor oggi, considerato alimento da vigilia (per giorni di magro dovremo dire riferendosi al calendario liturgico, in uso fino a pochi decenni fa). Infatti non solo la storia scritta e raccontata ma la memoria, il ricordo della mia infanzia mi danno certezza sul fatto che stoccafisso e baccalà erano cibo del venerdì.

Perché fino a circa trent’anni fa il venerdì era vigilia, non proprio “nera” come diceva la nonna ma sempre vigilia ed allora guai carne. Io ne ero felice perché non amando la carne in genere, chiedevo: “ma non si può far finta che sia sempre venerdì?” e pensavo a quanto è buono il baccalà con la polenta, o arrostito sul fuoco con l’olio e i ceci… ma in casa dei nonni non si ammettevano inversioni: ogni giorno della settimana aveva per lo più un menù codificato, in parte in “chiave moderna”. Già perché il nonno Isaia non abituato all’abbondanza ma ai rigori di rinunce alimentari della sua gioventù, seguiva una alimentazione di compromesso, tra “vecchio e nuovo”.

Un esempio del suo “moderno” menù settimanale era: La domenica e giorni festivi, pastasciutta, arrosto e/o fritto di animali da cortile; lunedì avanzi della domenica; il giovedì in genere la trippa; sabato il bollito; Ed il venerdì se non era baccalà o stoccafisso erano aringhe o acciughe, non si sgarrava. Già il mercoledì, Isaia, diceva alla nonna: “Clelia metti a rinvenire il baccalà per venerdì”. La nonna andava in cantina a staccare dal filo un baccalà penzolone e con lo stesso filo lo legava ad un ramoscello e lo lasciava così nell’acqua corrente e limpida di un fossetto ben individuato al limitar del campo e deputato esclusivamente ad accogliere baccalà e stoccafisso per l’ammollo. Altri tempi… altra acqua…ma il baccalà gli è buono lo stesso anche oggi, meno male!!!


Maria Stefania Bardi Tesi