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          L'isola del vento: Pantelleria
          di Luigi Cremona

          

          Khazzen, Gadir, Bukkuram, Gelkhamar, Mueggen, Khamma… la geografia 
          dell’isola racconta la sua storia fatta di un passato arabo e di un presente
          legato al vino. Più vicina all’Africa che alla Sicilia, grande quanto metà 
          di Roma (entro i confini del raccordo anulare), alta più di 800 metri, 
          quindi fortememente scoscesa.
 
          In un piccolo fazzoletto di terra, troviamo un po’ di tutto, grotte e faglie, 
          sorgenti termali e favare (emissioni naturali di vapore acqueo), altipiani e 
          laghi vulcanici. L’isola è varia ma soprattutto bella. 
          Di una bellezza che ti conquista subito per via di queste rocce scure 
          che si nascondono dentro al verde, per via della vegetazione che il vento 
          mantiene bassa, per le costruzioni ancora discrete (e speriamo che si 
          mantengano tali) che punteggiano il paesaggio senza stravolgerlo, 
          caratterizzate dalle cupolette bianche di calce: i dammusi. 
          Ma amiamo quest’isola per via delle sue vigne. 
          Senza pali, senza fili, senza spalliere, la vigna di Pantelleria è vigna 
          primordiale, sembrerebbe quasi selvaggia e spontanea se questi alberelli, 
          che appena spuntano dalla loro fossa interrata, non fossero così regolari. 
          Ciuffi di foglie protetti dal terreno sabbioso rendono il paesaggio unico. 
          L’altopiano di Mueggen è il miglior esempio del genere, un gigantesco 
          “orto” di viti, arato non dagli animali o dagli attrezzi ma dalla mano 
          dell’uomo che nei secoli ha disegnato con il sudore e il lavoro le migliaia 
          di chilometri di questi muretti a secco, dei terrazzamenti, le curve e le 
          pieghe di questo incantevole paesaggio. 
          Il vino è da sempre protagonista dell’isola, ma i veri problemi sono 
          sempre venuti dall’acqua. A risolverli con incredibile sagacia sono 
          state le diverse civiltà che si sono succedute nell’isola, prima fra tutte 
          i fenici. Il loro sistema di cisterne e canalizzazioni per raccogliere, non 
          disperdere e conservare l’acqua piovana, non solo è mirabile, ma 
          estremamente efficiente. 
          Hanno disseminato l’isola di centinaia di cisterne vetrificate con pasta 
          di cocci e ossidiana.
 
          Un'isola meravigliosa, da scoprire insieme ai suoi protagonisti. 
          Un sistema che ha permesso la sopravvivenza della popolazione, 
          il diffondersi dell’agricoltura e che funziona perfettamente anche oggi. 
          Negli ultimi decenni la tecnologia è venuta incontro al problema e 
          l’impianto di desalinizzazione dell’acqua marina rappresenta certo uno 
          dei più significativi cambiamenti alla vita dell’isola, permettendo una 
          forte presenza di turismo estivo senza troppi problemi, ma le cisterne 
          funzionano ancora e in alcune zone più remote dell’isola sono sempre 
          loro il cardine essenziale per mantenere vivo il tessuto agricolo originale. 
       
          Un’isola dove al mare si preferisce la terra, dove la strada perimetrale 
          passa in genere alta e lontana dalla costa, e i pochi (e brutti in genere) 
          alberghi, salvo poche eccezioni sono nei centri abitati o a mezza costa. 
          Qui ancora i dammusi si disperdono nel verde e raramente arrivano a mare, 
          e l’agricoltura rimane più importante della pesca.
 
          Il piatto più amato è il coniglio e soprattutto le mille verdure che gli orti 
          offrono nelle varie stagioni. Verdure che per la poca acqua crescono a 
          fatica, ma sono cariche di sole e sapore. 
          Provate i piatti tipici, ma non tanto i crostacei e la cernia (peraltro squisita) , 
          ma il coniglio, e meglio ancora la “sciakisciuka” un misto caldo di 
          verdure cotte nel coccio, il “cucurumma” a base di zucchine e così via. 
          Oxidiana, oggi è la discoteca più importante dell’isola, ma ha fatto 
          per millenni la fortuna di Pantelleria. 
          Roccia dura a spigoli vivi, nera e spesso translucida, è stata la materia 
          prima degli utensili di lavoro per millenni. Oggi queste pietre segnano 
          per migliaia di chilometri i campi, ne definiscono i percorsi e i confini, 
          le migliaia di appezzamenti. La proprietà è frazionata al massimo, ogni 
          contadino ha il suo orto, il suo vino, nato come alimento per le stagioni 
          fredde. 
          
          “Passum”, gli antichi romani celebravano la gloria di quest’uva passa, 
          di questo vino fatto per l’appunto con le uva appassite, di moscato di 
          Alessandria che qui trovava tipologia e carattere unico. 
          Storie di vino e non tutte storie felici. 
          Il passito di Pantelleria ha conosciuto gloria e periodi più oscuri, momenti 
          di fama e di forte critica, questo perché l’isola è piccola, la vera produzione 
          ha costi notevoli e nel passato non tutta la produzione messa in commercio 
          è stata “trasparente”. 
          Ci sono circa 2000-2500 alberelli per ettaro, ognuno in una conca scavata 
          nel terreno sabbioso, ogni alberello dà circa 3-4 kg di uva grazie a 5-6 grappoli. 
          La resa per ettaro varia dai 40 chili delle vigne vecchie ai 70 di quelle giovani. 
          L’uva viene raccolta a fine agosto in genere ed ha una gradazione che 
          oscilla tra i 18 e i 23 gradi di zucchero. 
          Il calo ulteriore va dal 35% al 60%. Il passito ha un minimo di 14° con un 
          minimo di 11 g/litro di contenuto zuccherino residuale. 
          La maggioranza delle vigne è attualmente in abbandono e solo di recente 
          è iniziato il ritorno alla terra. Questo grazie al rispetto delle nuove regole 
          e a Salvatore Murana. Salvatore è un po’ il patriarca spirituale dell’isola. 
          Lo troverete in località Khamma; segno di riconoscimento la sua etichetta, 
          il mare con le due montagne dell’isola, un’etichetta inconfondibile che orna 
          le sue bottiglie e indica la sua casa. A lui si deve la valorizzazione recente 
          del Passito. 

          Nomi come Mueggen, Khamma e Martingana hanno segnato la definitiva 
          affermazione sulle tavole dei migliori ristoranti d’Italia di questo vino. 
          Grazie a lui il passito ha anche raggiunto una quotazione accettabile e 
          remunerativa per il tanto lavoro che c’è dietro e per le intrinseche difficoltà 
          ambientali, anche se rimane a nostro avviso sempre estrememente competitivo 
          per il rapporto prezzo-qualità, specie se confrontato con altri vini da dessert 
          italiani assai più magri e meno complessi che vengono posti in commercio 
          a cifre ragguardevoli. 
          Salvatore vive l’isola in totale simbiosi, ne fa parte integrante, ne conosce 
          ogni sasso e soffre quando la sua Pantelleria non viene preservata e 
          difesa in ogni suo aspetto. Per lui l’isola è sacra, nei suoi sassi, nelle 
          forme geometriche disegnate dalla storia, nella tipologia ancestrale da rispettare. 
          Andate con lui a Mueggen, nell’altipiano più bello d’Italia, a vedere un 
          paesaggio intatto, quasi primordiale, non toccato nemmeno dai pali della luce, 
          dove sta ultimando il suo dammuso, dove aprirà il suo Tempio agli amici, 
          a coloro che vorranno con lui amare l’isola, i suoi prodotti, la sua cucina, 
          quei pochi chili di lenticchie delle quali ha salvato la specie, quei pomodori 
          che crescono con la sola (e poca) acqua piovana bevendo con lui i suoi 
          grandi vini. E non sono solo vini dolci! 
          Provate lo zibibbo secco per essere travolti da questo vino ambivalente, 
          femmineo nei profumi e maschile nella struttura e soprattutto dal suo rosso. 
          Il Pignatello è uva antica, giunta qui chissà quando. 
          Ci piacerebbe sentire il parere di quel luminare di Attilio Scienza. 
          Nelle mani di Salvatore si trasforma in un vino di grande e complessa struttura, 
          una specie di grande amarone del sud per via del complesso fruttato che ti 
          avvinghia e travolge. Sentire e parlare con Salvatore significa secondo noi 
          capire al meglio il respiro dell’isola e il suo significato vero, non contaminato 
          da alcuna suggestione esterna. 

          Ma non è solo Salvatore. Dietro di lui altri giovani si sono mossi e lo stanno 
          seguendo. Che dire di Solidea (che nome bellissimo per una donna!) e 
          Giacomo D’Ancona? Giovanissimi, hanno scelto di costruire la loro casa 
          in campagna, ricostruendo un dammuso con i muri a secco, contornandosi 
          di vigna e piante originali e ridando impulso nuovo all’antica azienda paterna. 
          Il loro Passito è oggi tra i più interessanti dell’isola, ottenuto con una 
          selezione accurata delle uve (non di proprietà ma acquistate da una diecina 
          di contadini che sono da anni seguiti e conosciuti) e vinificato nelle cantine 
          di Nuova Agricoltura a Pian della Ghirlanda.  
          Citazione di obbligo per il Villaggio Agrituristico Archeologico di Cimilla dove 
          Roberto Casano, quarta generazione di esponenti dell’antica tradizione enoica 
          pantesca, vinifica Bonsulton, premiato al recente Vinitaly. 
          Vino di buona struttura, grasso e ricchissimo di profumi, con elevato 
          contenuto zuccherino, eppure mai stucchevole. 
          Un vino che ci auguriamo possa ripetersi negli anni e contribuire in modo 
          ulteriore alla definitiva affermazione del Passito di Pantelleria come uno 
          dei grandi vini da dessert e meditazione del mondo.

  
          Piccola guida all'isola

          Alloggio: Khamma al centro storico con il Port’Hotel a fianco. 
          A un chilometro in località Mursia due alberghi gemelli gestiti dalla stessa 
          famiglia: il Cossyra e il Mursia si distinguono per l’affaccio sul mare e per 
          lo splendido complesso di piscine. 
          Dall’altra parte in località Tracino il semplice albergo Papuscia. 
          Numerosi sono i dammusi privati disponibili per l’affitto, che 
          rappresentano forse il modo più naturale e amato dai turisti per soggiornare 
          nell’Isola. 

          Trattorie: l’unico vero ristorante, elegante e romantico, è i Mulini, ricavato 
          in un antico mulino a mezza costa in località Tracino. Tre salette di grande 
          tipicità, raffinate con cucina di territorio di carne e pesce. 

          Altri indirizzi: Il Dammuso al porto, La Nicchia a Scauri, La Conchiglia a 
          Khamma. Un posto semplice, quasi agrituristico, in località Khamma 
          fuori è Favarotta per mangiare i semplici piatti di una cucina di campagna. 
          
          Indirizzi vari: Erboristeria, erbe ed aromi dell’isola, Il Mirto e la Rosa in 
          via Catania, tel. 0923911921 (specialità il Profumo di Pantelleria); 
          gelati da Daniel al porto via Marina, tel. 0923912820, dolci da Katia in via 
          borgo Italia (al porto) tel. 0932911832. 
          
          Prodotti alimentari tipici: La Nicchia, collegata al ristorante dello stesso 
          nome, in via Messina 24, tel. 0923912968 dove Gianni Busetta produce 
          una linea di barattoli di vari aromi, salse e patè a base di capperi e 
          verdure, e accanto a queste una serie di marmellate, gelatine e confetture 
          tipiche. Dolci fatti a mano con cura, eleganza e raffinatezza: dalla signora 
          Teresa Gabriele Busetta a Runcuni Pigna di Khamma, tel. 0923915577, 
          da non perdere le deliziose cassatelle di ricotta e i mustaccioli locali, 
          delle fini coroncine impreziosite da ricami di perline. 
          Un po’ di musica la sera: per i giovani la discoteca Oxidiana, per tutti il 
          piccolo e tranquillo Cicci’s pub al centro, o “U friscu” a Scauri.