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Vini della Campania
La Falanghina, un autentico gioiello

di Pasquale Palma



Questo prodotto enologico di pregio, sia per l'equilibrio della composizione che per la perfetta armonia degli aromi, discenderebbe dall'antico “Falerno bianco”.
La falanghina è un vitigno che appartiene con assoluta esclusività alla Campania.
Ragion per cui, quando nel 1990 taluni produttori vinicoli di altre regioni, attratti dal successo di cui cominciava a godere la Falanghina, tentarono di rivendicarne anch'essi la paternità, in Campania ci fu un'alzata di scudi e si levò un triplice grido di guerra.
Pressappoco questo: “Giú le mani dalla Falanghina! La Falanghina non si tocca! La Falanghina è nostra!: “Capitanati dall'ing. Leonardo Mustilli di Sant'Agata dei Goti (Bn), i produttori Sanniti serrarono le fila, si schierarono a difesa, e riuscirono a bloccare… l'offensiva nemica.

Ma lasciamo da parte la terminologia bellica e valutiamo i fatti, la realtà, con l'animo sgombro di pregiudizi e con linguaggio franco, sì, ma sereno.
Chi scrive ritiene che quella dell'11 maggio 1990 fu una data storica per l'enologia della Campania in generale e dal Sannio Beneventano in particolare.
Ciò per almeno due motivi fondamentali: la raggiunta consapevolezza di possedere un patrimonio enologico di antica e gloriosa tradizione da salvaguardare e la ferma volontà di continuare a valorizzarlo con quel dinamismo che negli ultimi trent'anni, poco piú poco meno, ha caratterizzato le fasi di recupero e rinnovamento prima, di sviluppo qualitativo a rilancio commerciale poi del prodotto vinicolo Campano.

Quel giorno a Benevento i vitivinicoltori non si limitarono a dire con forza “La Falanghina è nostra!”, ma mobilitarono un gruppo di scienziati e di enologi di chiara fama, da Fregoni a Murolo, da Tannini a Veronelli, perché dal convegno sul tema “Storia e prospettive di un vitigno campano: la Falanghina”, venissero conclamate le ragioni scientifico storiche ed economiche sulla base delle quali si poteva, a buon diritto, sostenere che la Falanghina è un vino campano “tout court” e non può essere altro.
Così fu.

Dall'importante convegno emerse in modo chiaro, preciso, inequivocabile che la falanghina è un vitigno di pregio, autoctono, che esiste in Campania da tempo immemorabile e che produce un vino di ottima qualità.
Un vitigno che però, malgrado la sua storia antica e gloriosa, era caduto lentamente in declino fino al punto che stava rischiando di scomparire.
Ma per fortuna, grazie ad un gruppo di viticoltori illuminati, lungimiranti e tenaci, tra i quali primeggiavano quelli del Sennio Beneventano e dei Campi Flegrei, fu intrapresa una difficile opera di rivalutazione del vitigno che, alla fine, li ha premiati con risultati piú che soddisfacenti.
A questo riguardo diremo, in via preliminare, che le uve a buccia bianca prodotte dal vitigno Falanghina partecipano, con percentuali diverse, agli uvaggi di parecchi vini a Doc della Campania, come “Capri Bianco” (Na), “Campi Flegrei Bianco” (Na), “Penisola Sorrentina Bianco” (Na), “Coata d?amalfi Bianco”(Sa), “Galluccio Bianco” (Ce).

Però il successo che la Falanghina è riuscita ad ottenere, un successo peraltro via via crescente, è legato particolarmente alla vinificazione “in purezza”, cioè utilizzando una Falanghina al cento per cento.
A spronare i produttori contribuì, certamente, la legge del 1989 sulla concessione della Doc al “Falerno del Massico Bianco”, la quale prescrive l'impiego esclusivo di uva prodotta dal vitigno Falanghina. E fu il Boom.

Nell'ultimo decennio non pochi produttori hanno imboccato questa strada che sembra quella giusta, in quanto il vino Falanghina “un autentico e prezioso gioiello” secondo Luigi Veronelli incontra il favore di sempre piú numerosi consumatori, per cui le sue prospettive di commercializzazione sono giudicate positivamente dagli esperti del settore.
Di conseguenza sono venute le Falanghine Doc a premiare i prodotti migliori, “in Primis” le Falanghine del Sannio Beneventano a quelle dei Campi Flegrei (Na).

Studiosi come il Frojo ed il Fiorito ravvisano nel vitigno Flegreo l'antenato dell'antico “Falerno Bianco” molto lodato da Plinio: vitigno che peraltro, data la natura vulcanica del suolo, sarebbe rimasto indenne dagli attacchi della fillossera .
Donde la tesi sostenuta da alcuni secondo cui la denominazione “Falanghina” discenderebbe, per successive modificazioni, dal termine “Falernina”, e non già, come sostengono altri, dal termine greco-latino “Falango”, cioè “Palo”, in quanto la caratteristica della viticoltura puteolana è quella della “Vite legata al palo”, e nemmeno, come altri ancora congetturano a loro volta, sempre dal termine greco-latino “Falange”, dandogli però il significato di “Falangetta” del dito al quale si vorrebbe che l'acino somigli.

Noi siamo a favore della prima tesi cioè Falanghina derivata, per successive alterazioni, da Falernina sia perché la storia delle derivazioni linguistiche è ricca di ben piú complicati esempi, sia e soprattutto perché il primo vino Falanghina, vale a dire Falernina, fu spremuto e bevuto in Campania al tempo dei Romani fra Pozzuoli e Cuma: un vino bianco chiamato “Falernum Gauranum”, cioè Falerno del Gàuro, monte che sorge al centro dei campi Flegrei, per distinguerlo dal piú famoso “Falernum Massicanum”, cioè Falerno del Masnico, monte che sorge nei pressi di Mondragono (Ce), viene celebrato da Plinio, Cicerone, Orazio, Virgilio e tanti altri come vino rosso derivato dall'Aglianico e noto come il “vino degli Imperatori”.

Vero è comunque che il vitigno della Falanghina era coltivato, allora come era, un po' dappertutto in Campania, ed il suo prodotto, pur variando di zona in zona, mantiene tuttavia le caratteristiche inconfondibili di base che sono quelle di un vino tra i migliori dell'area campana.
Per questo possiamo affermare, senza tema di smentite, che si tratta di una produzione enologica di pregio, sia per l'equilibrio della composizione che per la perfetta armonia degli aromi.

In generale la Falanghina presenta le seguenti proprietà organolettiche: colore paglierino piú o meno intenso con riflessi verdognoli; odore delicato, caratteristico, piú o meno fruttato; sapore secco, fresco, morbido.
Gradazione alcolica minima 11 gradi.
Si accompagna egregiamente ai piatti tipici della cucina di mare: molluschi e crostacei, pasta o riso con sugo di pesce, calamari in umido, pesce alla griglia o fritto, come pure (perché no?) alla mozzarella di bufala.
Viene prodotta anche nelle versioni Passito e Spumante.


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Pasquale Palma
Tratto da La Madia TravelFood