A Chambave c'è un vino sopraffino
di Giuseppe Lo Russo
Terra fertile la valdostana e soprattutto abbondantissima in vigneti.
I vini migliori sono quelli di Pont-Saint-Martin, Donnas, Arnad e Verrès,
perché in quelle terre il clima è più mite e quindi i frutti sono più
dolci, delicati di gusto e maturati nei tempi giusti.
Crescono olivi, limoni... A Chambave poi c’è un vino sopraffino.
Così scriveva nel Seicento padre Daniele, un frate valdostano buon intenditore
di vino che, insieme ai canonici del Priorato di Sant’Orso di Aosta (tutti
buoni bevitori), in chiusura dei pranzi di festa non si faceva mai mancare
il moscato di Chambave.
Pressochè introvabile anche nelle più importanti carte dei ristiranti,
è vino diverso da qualsiasi altro al mondo, elegantissimo, inimitabile.
Il nome di Chambave, meglio del suo Muscat, ricorre già in una nota di
spese del 1494, dove si parla di soldi dati a certo Balduino di Chambave
per "vino moscatello".
Fin dall’antico i vigneti valdostani risalivano il corso della Dora dal
fondovalle sino a Morgex, sui terreni lungo i margini del fiume o sui
terrazzamenti ricavati con secolare fatica nei fianchi della montagna.
Il prodotto migliore si otteneva sulle terre a mezza costa, meglio esposte
all’aria e al sole e dove l’uva riusciva a maturare bene, scampando al
gelo, alla neve, alla siccità.
Non c’è dubbio che coltivare
la vite in un ambiente montano, con un clima così difficile, sia stata
da sempre un’impresa eroica.
A ricordarlo sono ancora i direttori dell’Ospizio d’Aosta nel 1763:
Le vigne soffrono per il gran freddo, inaridiscono per il gran caldo,
gli smottamenti le abbattono.
E allora per rimetterle su bisogna spendere gran soldi per i pali
di sostegno, tanto più che la maggior parte dei terreni in pendenza
non ha che due o tre piedi di terra senza presa su pietre o rocce.
Bisogna fare ogni tanto un muro per sostenere questa terra. Nella
maggior parte dei campi della Valle, ogni quattro anni si trasporta
in alto la terra che è scivolata in basso, cosa che i locatari difficilmente
fanno specialmente nei vigneti.
Ciò nonostante, certo per mantenere fede alle radici romane, in Valle
la coltivazione della vite per la produzione di “propri” vini rappresenta
per i valdostani un punto d’orgoglio. |
 |
Chambave è il primo abitato che s’incontra procedendo verso ovest sulla
statale 26 della Valle d’Aosta.
Grazie al suo clima particolarmente secco la zona è ricca di vigneti e
frutteti. Qui nel 1980 fu costituita la cave cooperative Grotta di Vegneron,
che si affacciò per la prima volta al mercato con l’annata ‘85.
“Inizialmente i soci erano 25”, dice il giovane enologo Andrea Costa,
alla cooperativa dal 1996, “oggi sono in 130 a conferire le loro uve.
Sono tutti piccoli coltivatori con appezzamenti che vanno da mille metri
quadri a non più di un ettaro e mezzo”.
Data la limitata estensione e la giacitura dei terreni, la lavorazione
è tutta manuale, e la cooperativa può seguirne da vicino le diverse fasi,
fornendo ad ogni viticoltore un piano di concimazione adeguato e prescrivendo
un carico produttivo che non deve superare il chilogrammo e mezzo a ceppo.
Le vigne sono esposte a sud e il sesto d’impianto è di seimila/settemila
piante ad ettaro.
Sul territorio sono due le denominazioni di origine controllate: quella
di Chambave, che comprende anche le colline dei comuni di Châtillon, Saint-Vincent,
Verrayes e SaintDenis, e quella di Nus in cui rientrano anche i vigneti
sull’altra sponda della Dora nel comune di Fénis, località nota al turismo
internazionale per il suo magnifico castello.
“Il nostro obiettivo è produrre vini di buona acidità e freschezza esaltandone
le caratteristiche aromatiche”, dichiara Costa, “per questo abbiamo cura
che le temperature di fermentazione non superino mai i 18°”.
I vini più rinomati prodotti in zona restano il Moscato e la Malvasia
di Nus (una selezione locale di Pinot gris), ambedue vinificati nelle
versioni secca e passita. Tuttavia a questi la cooperativa affianca un
Müller Thurgau ed un’ampia gamma di vini rossi com’è nella tradizione
valligiana: Chambave rouge, Nus rouge, Gamay e il Fumin, ricavato dalla
vinificazione di un antico vitigno, citato già negli antichi libri contabili
dell’Ospizio d’Aosta come vin fumein.
Riqualificazione dunque dei vitigni e dei vini della tradizione, che tuttavia
si coniuga con un dinamismo innovativo sentito come necessario. “Certo,
la Malvasia e il Moscato, con la loro immagine consolidata, fanno da traino
a tutti gli altri”, conferma Moreno Rossin, presidente dell’AIS valdostano
e responsabile della commercializzazione, “ma la loro ricchezza aromatica
li rende vini di difficile abbinamento per l’uso nella ristorazione, un
settore a cui destiniamo il 60% della produzione”.
Con duecentomila bottiglie complessive, la politica commerciale s’indirizza
necessariamente più verso enoteche e ristoranti e meno verso la grande
distribuzione.
Di qui una varietà di vini - tredici, di cui dieci a Doc - capace di coprire
dall’antipasto al dolce e al dopopasto. “Vendiamo anche ai privati, grazie
al turismo che è una voce importante dell’economia valdostana”, continua
Rossin, “puntiamo molto sui bianchi, che sono assai richiesti, sul Pinot
Noir, l’unico in Valle vinificato in bianco, sul Müller Thurgau e sul
Fumin, di cui si sentirà molto parlare”.
La linea della cooperativa si completa con un vino nuovo come il Parfum
d’Autonne, fresco e fruttato, pronto già a inizio dicembre, e un bianco
non impegnativo, denominato Blanc Surprise.
Altro capitolo, non meno importante, è quello della distillazione, che
avviene in un impianto discontinuo a bagnomaria interno all’azienda: quindicimila
bottiglie di grappa in cui sono condensati tutti i profumi del Moscato
e della Malvasia; un souvenir che si può assaggiare ed acquistare insieme
ai vini nell’omonimo ristorante annesso alla cantina.
Per ricordarsi che a Chambave c’è un vino sopraffino.
Giuseppe Lo Russo
Tratto da La Madia TravelFood
|