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Cinque Terre, mille sapori
di Gianluca Ricci

Ci sono poche terre come lo Spezzino in cui il confine tra mare e monti è così 
labile, sfumato, a tratti persino invisibile. Se n’erano accorti già i Romani, 
che elessero la città di Luni a emblematico punto d’incontro fra le due realtà, porto 
mercantile fra i più frequentati per l’imbarco di merci tipicamente montane come i 
marmi delle Alpi Apuane o i vini e i formaggi dell’Appennino.
 
Così lo Spezzino non si può definire con sicurezza né marinaro né tanto meno 
montanaro: dei due mondi ha saputo cogliere il meglio, talora il peggio, ma non ha 
mai voluto operare una scelta definitiva. 
La cucina ne è un sintomo assai evidente, intenta com’è stata per secoli a 
valorizzare i prodotti più genuini e tipici provenienti sia dalle profonde acque del 
Golfo, impreziosite dalle perle architettoniche che la nomenclatura turistica si è 
abituata a definire “Cinque Terre”, sia dai pascoli incontaminati dispersi sui declivi 
dei monti della Val di Vara o della Val di Magra, pronte a inabissarsi nel Tirreno nel 
giro di pochi chilometri. 



La tradizione vuole che quella spezzina sia una cucina, come si suol dire, “povera”, 
legata insomma ai sapori di un tempo, restii a recepire modifiche dettate da mode 
effimere e abitudini malsane. In realtà è una cucina ricca, ricchissima di profumi, 
essenze, gusti tra i più delicati e nobili. 
Cornabuggia e persa – come chiamano da quelle parti origano e maggiorana, erbe 
assolutamente autoctone – la fanno da padrone, una sorta di indelebile marchio 
di fabbrica al pari del saporitissimo olio d’oliva. Sono loro a dominare i piatti di 
mare e di monte, a stuzzicare matrimoni impensabili fra ingredienti altrimenti tra 
loro inaccostabili. Una cucina semplice, dunque. Ma povera, quello proprio no. 
Se si vogliono provare i sapori della tradizione marinara, meglio disporsi ad una lunga, 
meravigliosa passeggiata in riviera, lungo i sentieri che uniscono tra loro Riomaggiore, 
Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso, le Cinque Terre appunto. 

A trionfare è ovviamente il pesce, che da quelle parti si può gustare davvero appena 
pescato: non c’è che l’imbarazzo della scelta, anche se rimane 
Portovenere il luogo ideale dove assaggiare i muscoli, altrove conosciuti come cozze, 
e dove farsi raccontare quanto gustosi erano i datteri di mare quando si potevano 
ancora pescare. 
E’ a Monterosso però che ci si deve dirigere per trovare quelle che ormai sono da 
catalogare fra le rarità gastronomiche, le care, vecchie, gustosissime acciughe sotto 
sale che solo le capaci mani di qualche anziana del paese sono in grado di confezionare 
nelle classiche “arbanelle” chiuse da un sottile sasso di ardesia: il ristorante adatto 
dove farsi inebriare da queste prelibatezze è "Il Ciliegio", in località Beo 
(tel. 0187/817829), che peraltro offre pure interessanti primi piatti, come le trofiette 
al pesce spada o gli spaghetti con i muscoli, e secondi, dominati ovviamente dalle 
acciughe, ripiene e profumate al timo o sublimemente fritte nell’olio locale. 
Per il polpo invece meglio sconfinare fin verso Lerici, un’altra delle perle di questa 
splendida terra: a celebrarne le straordinarie qualità – del polpo, s’intende – fu 
niente meno che David Herbert Lawrence, scrittore britannico di inizio Novecento 
amante delle splendide architetture liguri ma soprattutto della cucina raffinata che 
ne fu indiscutibile espressione. 

Come detto, però, lo Spezzino non si esaurisce nelle sue bellissime coste: alle 
spalle sta rintanato un entroterra assolutamente degno della sua vetrina sul mare, 
solo un po’ più discreto. Insospettabili le perle gastronomiche custodite lassù con 
riserbo tipicamente montanaro, a cominciare dalle carni: da anni infatti nell’Alta 
Val di Vara gli allevatori hanno bandito l’uso di qualsiasi prodotto chimico sia nella 
coltivazione dei campi adibiti a foraggio che nella cura delle bestie. 
E la carne “biologica” che la cooperativa San Pietro Carni di Varese Ligure 
(tel. 0187/847416) o la cooperativa Altavia di Zignago (tel. 0187/865116) propongono 
sui banchi dei negozi non cela certo le sue nobili origini, così come i prodotti del 
caseificio Val di Vara (tel. 0187/842108), tutti rigidamente contrassegnati dal 
marchio di qualità biologica: non si tratta di improvvisazione né tanto meno di 
facile disponibilità ai gusti dell’ultima ora, visto che Varese Ligure è riuscito ad 
ottenere, primo e unico in Italia, la certificazione di paese ecosostenibile. 

Una filosofia più che una moda, uno stile di vita più che un business: e i risultati si 
vedono, anzi, si sentono. 
Terreno alluvionale e abbondanza di acqua incontaminata pare siano invece le 
fondamenta delle fortune degli ortaggi di Pignone e di Casale, a qualche chilometro 
di distanza. 
Particolarmente rinomati sono i fagioli e le patate, ma sapori fortemente caratterizzati 
hanno anche tutti gli altri prodotti dell’orto, che fanno di questa terra uno dei paradisi 
per gli amanti del genere. 
Da segnalare al riguardo "Rattatuie", negozio fornitissimo a Cembrano di Maissana 
(tel. 0187/ 847650), in cui la proprietaria, Graziella Giambruno, vende tra le altre 
cose il pane fatto con la sua farina e il formaggio prodotto col latte delle sue bestie, 
e l’azienda agricola "Le Ferriere", dove si trova il meglio delle famose patate di Pignone. 
E’ con questi ingredienti genuini che si preparano tra l’altro i migliori gattafin, ravioloni 
ripieni di erbette fritti nell’olio d’oliva, piatto tipico di Levanto, e le migliori mesc-ciue, 
zuppe di cereali e legumi bolliti e poi mescolati tra loro. 

A dominare il paesaggio delle coste così come delle pendici montane sono però le 
piante d’alto fusto: in particolare olivi, che garantiscono la produzione di uno degli 
oli italiani più gustosi e delicati al tempo stesso, e castagni. 
Rinomatissime sono le castagne di Varese Ligure, prodotte in regime di salvaguardia 
ambientale e oggi purtroppo relegate a prodotto di nicchia, là dove soltanto un secolo 
fa costituivano una preziosissima ed economicissima fonte alimentare per quanti 
dovevano affrontare il mare e i suoi pericoli. 
E’ nel cacin, vale a dire la tradizionale torta realizzata con la farina di castagne, che
questo prodotto si esalta in tutte le sue qualità organolettiche: per gustarlo al meglio
 tocca spostarsi fin verso Ricco, nelle cui cucine giganteggiano pure le focacce 
di granturco. 

Tra i prodotti arborei non si può comunque ignorare l’uva, che a quelle latitudini 
dà vita a vini davvero interessanti: una delle immagini che più indelebilmente restano
 impresse in chi visita gli splendidi paesaggi delle Cinque Terre sono infatti quei vigneti 
faticosamente strappati alle montagne, distribuiti su terrazzamenti innalzati con secolare 
operosità da chi ha lavorato per dare al vino ligure la dignità che si meritava. 
Nonostante l’enorme quantità di vitigni sparsi sul territorio, sono stati creati vini di 
qualità assoluta garantiti da ben tre delle sei produzioni Doc regionali, Cinque Terre, 
Colli di Levanto e Colli di Luni, e il celeberrimo Sciacchetrà, vino dolce di buon 
grado così chiamato dalla fusione delle parole dialettali “sciac”, schiacciare, e “trà”, 
mettere da parte, in riferimento al lungo invecchiamento del prodotto. 
Ce n’è insomma per tutti i gusti e tutte le sensibilità: e se le Terre sono cinque, i 
sapori finiscono per essere molti, molti di più. 
 

Gianluca Ricci
Tratto da La Madia TravelFood