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          Il vino del mese - Maggio 2001


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          Colori d'autunno '96
          Tenuta Sant'Antonio

          Piccola storia di una sfida e di nuovi orizzonti 
          (Se la vita è sfida, l'arte del vino - coltivarlo, crescerlo, seguirlo, conoscerlo, 
          proporlo - spesso è sfida e fede insieme…). 

          C'è un luogo nel multiforme territorio dell'est veronese - l'ampia plaga che 
          comprende le valli di Mezzane, Illasi, Tramigna, Alpone - in cima ad una collina, a 
          oltre 300 m d'altezza, a cavallo di tre comuni: Mezzane, Lavagno, S.Martino Buonalbergo. 
          Un luogo bello, sereno, luminoso, isolato quel po' che basta per illudersi di essersi 
          lasciati indietro le nevrosi cittadine, un posto dove convivono vigneti di vecchia e 
          nuova concezione, tradizionali pergole veronesi e spalliere moderne. 
          Segno di un mondo in evoluzione, in via di ri-nascita: una viticoltura che a fatica si 
          stacca da schemi pensieri consuetudini che si tramandano da generazioni - e hanno 
          per ciò stesso quella sorta di rassicurante imprimatur quale solo la tradizione sa 
          dare - , ma che pure intuisce che non è tutto qui. C'è qualcos'altro che il vigneto 
          la terra l'uva possono dare, un messaggio ancora inespresso che esiste da sempre e 
          va cercato. Per un senso di fedeltà alla terra stessa. 

          Tenuta Sant'Antonio , un'azienda cosiddetta emergente: nasce nella filiera quasi 
          all'improvviso, pur forte di una storia familiare importante, quella dei Castagnedi, da 
          sempre coltivatori di uva che per anni hanno conferito alla grande Cantina sociale di 
          Colognola ai Colli, di cui il pater familias Antonio è uno dei fondatori. 
          La svolta è di una decina d'anni fa: dal vigneto alla bottiglia senza soluzione di continuità. 
          Una scelta ovvia, in apparenza; in realtà, un salto nel buio, sia pure calcolato e a ragion 
          veduta e di cui si fanno promotori i quattro figli di Antonio: Massimo, Armando, Tiziano e 
          Paolo. Sono loro i protagonisti del nuovo corso. Loro e Celestino Gaspari, wine maker 
          entusiasta, capace, illuminato, rigoroso. Cinque giovani per un sogno: realizzare grandi 
          vini innovativi della tradizione veronese. E qualche divertissement.

          Colori d'autunno 1996, uno Chardonnay in purezza passito, appartiene a questa categoria
          Sembra un divertissement, un vino nato per caso, per gioco, per scommessa. 
          Anzi, meglio: per sfida e per fede. La sfida: appassire la fragile, sottile uva chardonnay 
          come se fosse la forte autoctona corvina. Raccolta al meglio della sua maturazione, entro 
          la prima metà di settembre, riposta con cura nei plateau e lasciata a riposo per mesi nei 
          fruttai, prima della pigiatura soffice, della vinificazione e della permanenza in legno 
          nuovo - rovere di Slavonia - , senza lieviti selezionati, in botti sigillate.  
          Un sonno lungo due anni, ininterrotto. Nessun controllo "di prammatica", solo fiducia 
          - anzi fede - nell'uva, nel vino, in ciò che di grande e imprevedibile e sempre nuovo sanno 
          dire.
          Un modo di concepire l'arte del vino come un'esplorazione di territori sconosciuti, 
          e un vino che nel bicchiere si apre come il  Largo della sinfonia n.9 "Dal nuovo mondo" 
          di Antonin Dvorak.
          Profumi caldi e sontuosi di miele albicocca nocciola uva passa si esprimono con la limpida 
          calma dei lunghi suoni degli ottoni, persistono con l'intensità lirica del corno inglese che 
          canta il celeberrimo motivo pentatonico, ripreso dai violini e dai corni. 
          Note sfumate di tostatura - un legno discreto ma avvolgente - come il tema di clarinetti 
          flauti e oboi che vibrano senza imporsi, accompagnati da un cuscino sonoro di viole e 
          violoncelli; aromi profondi di fiori bianchi esausti riemergono puntuali come i fiati che 
          riprendono con delicatezza il tema centrale, subito imitati dagli archi.
          Al primo assaggio questo vino conquista per lo splendido equilibrio tra alcool e zucchero 
          - nessuno dei due è troppo o troppo poco - per la dolcezza ad un tempo generosa e 
          misurata, la persistenza del frutto - quasi l'arpeggio in terzine degli archi nel terzo 
          motivo -, il finale gentile e pulito, pacato come la chiusa stessa del brano.    

          Altri orizzonti, certo. Nuovi e carichi d'incognite, come tutti quelli su cui ci si affaccia per 
          la prima volta - perché era appunto la prima volta che Celestino e i fratelli Castagnedi si 
          cimentavano con uno chardonnay "alla moda del Recioto" veronese - , orizzonti che si 
          dischiudono su nuovi mondi con tutte le promesse, le illusioni, le prove e le sfide che 
          questo fatto comporta.
          Orizzonti che splendono lucidi come gli ultimi raggi di un tramonto: oro intenso dai riflessi 
          cupracei. Il colore dell'autunno e di questo vino. 

    
                                                                     Elisabetta Tosi