


Il vino del mese - Luglio 2002
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Rosso di Virzì 2000 Igt Sicilia
Tenuta Principi di Spadafora (PA)
Piccola storia di un vino magico e di un principe-contadino
Degustare vino non è un'arte soltanto - o peggio, un mestiere.
E' un'avventura. Un viaggio che inizia per caso, da qualche parte - spesso quando
e dove non ti aspetti - e prosegue sorprendendoti ad ogni passo, tra illusioni e
delusioni, scoperte e conferme, sensazioni ed emozioni. Soprattutto, non ha meta
né confini; ogni assaggio è un biglietto di sola andata per un mondo nuovo.
Tanti mondi quanti sono i vini sulla faccia della terra - alcuni vale la pena visitarli e
tornarci ancora, altri no. E per qualche vino (non per tutti purtroppo), una musica
propria; suggestioni sonore che si rivelano all'improvviso, segno di un ideale
gemellaggio artistico tra due opere d'arte - il vino e il brano musicale - che esula
dalla volontà e dalle intenzioni degli stessi autori.
Al pari della degustazione, anche "allevare" il vino è un'arte, un'avventura che ti
riserva sorprese continue, alcune fantastiche, altre maledette, ma tutte di cui fare tesoro.
La vite è un essere vivente, e come tale è docile con chi vuole e quando vuole:
si lascia prevedere e addomesticare solo da chi ama e da chi si sente amata.
Quando Francesco Spadafora iniziò il suo viaggio-avventura probabilmente non
sapeva dove sarebbe arrivato, anche se intuiva dove voleva andare.
Aveva entusiasmo e coraggio da vendere, orizzonti vasti quanto il mondo e
antichi come la storia della sua nobile famiglia, gusto del rischio, realismo,
costanza, e soprattutto una fede grande nella terra: avrebbe sopportato la presenza
di vitigni stranieri, la culla del bianco d'Alcamo? E con quali esiti?
Perché la tenuta dei principi di Spadafora si stende sulle colline della contrada
Virzì, tra Palermo e Alcamo, un angolo incantato di sole e vento gentile, in una
terra che è patria d'elezione (fin dal XIV secolo) di un vino bianco fruttato e leggero.
Eppure, già il fondatore dell'azienda, don Pietro dei Principi di Spadafora, aveva intuito
le potenzialità delle sue zone e accanto a vitigni autoctoni come il catarratto e il nero
d'Avola, ne aveva piantati di stranieri, impegnandosi a fondo, soprattutto dopo il
terremoto del 1968, che danneggiò non poco l'azienda, per riqualificare tutta la
produzione e contribuire alla nascita di vini finalmente con la "v" maiuscola.
"Matto" lui, "matto" il figlio; Francesco, oggi unico titolare, persevera nell'impresa
di dar spazio e fiducia a vitigni internazionali come syrah, chardonnay, cabernet.
E la terra? Generosa come sempre, la Sicilia risponde alla passione dei suoi
principi-contadini regalando ai loro vini caratteristiche originali di eleganza e unicità
che sanno di mediterraneo e di-quel-che-avanza-del-mondo.
Un mix che ha del magico, quest'alleanza tra uomo e terroir.
Così è, per esempio, del sontuoso Cabernet Sauvignon "Schietto", che a detta
del suo stesso produttore "non tradisce l'uva da cui proviene" - e nemmeno,
diciamo noi, la terra che l'ha ospitata- … ma così è soprattutto di un "semplice" IGT,
un vino solo in apparenza meno impegnato e impegnativo: il "Rosso di Virzì 2000",
magnifico esempio di un incontro riuscito tra nero d'Avola e syrah.
Il rubino lucido e brillante della sua veste liquida racchiude un bouquet di note
profumate, non leziose e sottili bensì importanti e "terricole" - cuoio, terra bagnata,
selvatici frutti di bosco - e al tempo stesso affatto prive di eleganza e misura.
E proprio l'equilibrio tra chiaroscuri - di profumi e di sapori - è forse la caratteristica
principale di questo vino, che s'impone con la morbidezza e insieme la potenza di
"Uranus- The Magician"¸il pianeta descritto in musica dal compositore Gustav
Holst (1874-1934) nel suo lavoro "The Planets - Seven Pieces for Large
Orchestra". Sentori di terra e ferro che affiorano anche a bicchiere vuoto si
fondono con note gentili di piccoli frutti rossi come gli accordi imperiosi degli
ottoni si lasciano rincorrere dai fraseggi rapidi e leggeri, quasi evanescenti e
imprevedibili dei legni, appena punteggiati dalle percussioni -soprattutto
dalla voce sottile e calda dello xilofono.
In bocca si apre ampio e setoso, segnato da tannini importanti e morbidi, come
l'apertura maestosa del brano, cantata da fagotti e controfagotti presto seguiti
dal resto dei fiati.
Il tema vorrebbe apparire leggero come una trina ma quasi subito si trasforma in
una marcia imperiosa, scandita dai toni abissali e scurissi dei timpani, gli stessi
che - sul piano del gusto - si trasformano in lunghe note di liquirizia e cacao.
La marcia avanza inarrestabile, appena screziata qua' e la' dai gorgheggi dei
legni - la potenza del nero d'Avola levigata dalla gentilezza ferma del
syrah - finchè, quasi all'improvviso, rallenta fino a stemperarsi in un finale di
note sommesse affidate ai violini, chiuse da un ultima ripresa di fiati e timpani;
intreccio insolito e sorprendente di forza e garbo, nobiltà e fierezza quali - a
questi livelli - solo un vino siciliano sa esprimere.
Elisabetta Tosi