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          Archivio articoli de Gli alberi del viaggiatore


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          Quinto numero

          La vendemmia del formaggio

          Per introdurre l'articolo di questo numero, bisogna tornare all'inizio del secolo 
          scorso (1900, non 1800!), ed immaginare la vita contadina nel poverissimo 
          Veneto all'epoca della Grande Guerra.
          Quelle terre affidate alla ruralità ed alla disperazione contadina, durante il 
          conflitto erano vessate dalle incursioni dell'oppressore e dai soldati affamati 
          che vagavano nelle campagne a fare razzie nelle cascine dove vivevano ampi 
          nuclei familiari, impotenti e rabbiosi davanti a tanti scempi.
          Uno degli alimenti più preziosi ma anche più ambiti dai razziatori, era, per la sua 
          caratteristica di conservabilità nel tempo, il formaggio stagionato, del quale le 
          cantine delle fattorie erano approvvigionate anche perché molte  producendolo 
          in casa lo invecchiavano proprio lì.
          La necessità di salvare le derrate aguzzarono così l'ingegno dei capofamiglia i 
          quali cercarono disperatamente di nasconderle in luoghi impensabili, ed uno 
          sguardo attorno a quelle forme suggerì un nascondiglio insolito e rischioso; i tini 
          e le botti contenenti il vino.
          Le forme venivano così adagiate nei contenitori vinari immergendole completamente 
          nel vino a riposo o nel mosto, col timore che sia vino che formaggio si potessero 
          perdere rovinandosi, ma orgogliosamente accettando la sfida con la natura piuttosto 
          che cedere il loro lavoro al nemico.
          Ma Bacco commosso, decise di premiare tanta sfida e coraggio, non solo salvando 
          le forme, ma regalando l'anima di quel vino (ormai irrimediabilmente inquinato dagli 
          umori del formaggio) ed i suoi profumi a quei caci inebriati.
          Oggi quell'esigenza disperata ha lasciato una traccia ed una tradizione: era il 1978 e 
          Giorgio Onesti figlio di un noto commesso viaggiatore romano, all'inizio della propria 
          attività di rappresentante alimentare, rimase affascinato da questi racconti fatti da 
          Antonio Carpendo di Treviso, commerciante e produttore di formaggi in  Veneto il 
          quale rammentava gli usi di quelle campagne come aneddoto storico.
          Giorgio, colse lo spirito ed il significato di quell'affabulazione, e da grande ed illuminato 
          gourmet chiese ad Antonio di dedicarsi subito alla riesumazione di quel serendipito, 
          ma non solo, suggerì di sposare il giusto tipo di vino col più adatto formaggio, per 
          sapore, consistenza, e stagionatura.
          Giorgio Onesti diventò in seguito il Padre del risveglio gastronomico del nostro Paese, 
          colui il quale tutti noi, ma proprio tutti, oggi dobbiamo ringraziare se ci riempiamo la 
          bocca di tante conoscenze sui prodotti tipici nazionali e ci crediamo sopraffini scopritori, 
          dal lardo di Colonnata al formaggio di fossa (che tra l'altro ha la stessa origine del 
          formaggio ubriaco), al Castelmagno, avendoli lui già snidati 20 anni fa, girando per le 
          vie del Bel Paese, ascoltando i vecchi, assaggiando, assaggiando, assaggiando nelle 
          piccole botteghe, nei laboratori di gastronomia, nelle cascine, e creando una rete di 
          distribuzione di questi microproduttori di paese, con mille difficoltà per far comprendere 
          la sua idea, in tempi assolutamente non sospetti, creando nel tempo nuova economia 
          rurale, ricchezza, lavoro ed una coscienza gastronomica nazionale fino ad allora divorata 
          dall'industria alimentare.
          Antonio Carpendo invece divenne uno dei primi affinatori di formaggi in Italia, ed il 
          più competente "ubriacatore" di caci, avendo al suo fianco una tradizione autentica; 
          la tecnica non è così facile come si può sospettare, necessita un controllo ed una 
          conoscenza delle forme più adatte all'immersione, occorre una valutazione dei tempi 
          di concia, delle condizioni climatiche le quali condizionano la buona riuscita, una 
          sensibilità acuta verso la complessità della fermentazione del mosto.
          Poi il gioco è fatto; gli Asiago d'allevo, i Montasio stagionati, i latteria mezzani si sposano 
          con Recioto, Amarone, fragolino o Prosecco, rivelando sfumature e profumi inediti.

          Devo molto a Giorgio Onesti che ora non c'è più, lo ricordo con affetto e devozione, 
          lui mi ha insegnato come si deve amare un prodotto, come si deve rispettare il 
          produttore e le sue economie, come ci si deve informare, conoscere i luoghi di 
          origine e chi ci vive, il perché e come certe tradizioni sono nate lì piuttosto che 
          altrove, e come si racconta, con convinzione ed intuizione la storia di una tradizione 
          senza tradire mai l'ascoltatore e l'origine.
          Ed è a Giorgio che dedico il mio Trarcantu, che è nato prima nella mia mente, 
          pensando con invidia a quella stagione delicata, quando Giorgio strappava i prodotti 
          tipici con le sue appassionate indagini dall'oblio;
          quest'ultima vendemmia di Cinqueterre Sciacchetrà seguita da Walter de Batté a 
          Riomaggiore, mi ha permesso di ottenere 200 chili di preziosa vinaccia, conferita 
          anche da vecchi contadini convinti da Walter, e l'alpeggio 2000 in Val d'Aveto mi 
          ha concesso solo 20 forme di Avetàno che ho stagionato per 5 mesi lassù a Rezzoaglio.
          Il TRARCANTU è il matrimonio tra questi due frutti liguri, vino e formaggio che 
          Antonio Carpenedo a Camalò segue, gira, fa respirare per poi reimmergere nella 
          vinaccia in rifermentazione, per assecondare la mia idea. 
          Sarà pronto a Pasqua dopo 120 giorni di concia, per il secondo anno consecutivo, 
          con la presunzione di incuriosire o deliziare, ma anche nello spirito di Giorgio, ovvero 
          di risvegliare l'attenzione verso quel patrimonio di pastorizia e caseificazione che si 
          è perso nell'appennino ligure.
          Addio e grazie, Giorgio.



                                                Guido Porrati
                                                Bottega dei Sestieri