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Dominique Bouchet
11 rue Treilhard - 75008 Paris
Tel: +330145610946
Chiuso: Domenica
Data recensione: 02/2007


Provato la sera di venerdì 2 Febbraio 2007 dopo aver invano cercato di
prenotare in diversi 3 stelle tutti pieni e con liste d'attesa di mesi.
Di questo ristorante di Paris 8eme abbiamo letto sul giornaletto di
Easyjet in cui spiegava come Dominique fosse stato chef per diversi
anni alla tour d'argent e quindi abbiamo deciso di provare.
Il locale è alla fine dell'ottavo arrondisment (i quartieri di Parigi
sono numerati e l'ottavo, quello degli champs elysee per capirci, è il
più chic) dove già case e palazzi sono meno impressionanti.

Da fuori l'impressione è strana perché l'ingresso è accanto ad una
saracinesca chiusa che porta il suo nome e viene il dubbio che sia
chiuso. Si entra, come spesso in Francia, da una porta a vetri con un
pesante tendaggio a chiudere difficilissimo da scansare, in pratica
sono dovuti venire a soccorrerci per estricarci dal drappo.
Il locale è moderno minimalista, i tavoli sono piccoli e le sedie
inadatte alla mia mole.

Ci viene chiesto se vogliamo un aperitivo ma rifiutiamo con loro
grande sorpresa. Il menù è articolato ma alla fine ci orientiamo per
una proposta di assaggi dei cavalli di battaglia del cuoco o menù de la
découverte (della scoperta). La carta dei vini è ricca e gradevole ma
alla fine decidiamo di farci arrangiare dal bravo sommelier una
degustazione di vini calibrata sul menù. Si comincia con un 100% chenin
di langue d'oque, teoricamente intonato con le capesante che
arriveranno come terzo piatto e passabile sui primi due. Buono e fresco
senza quasi struttura, non all'altezza del suo prezzo (12€ a
bicchiere).

"La scoperta" inizia con zuppiera di crema di castagne arrostite in
latte di cocco. Buono e delicato, simpaticamente servito in un piatto
convesso. La caratteristica del piatto è di stemperare il farinoso
della castagna senza tuttavia coprirne il sapore ma non è il nostro
preferito. Poi arriva un crostino di testa di vitello: in realtà arriva un
fettina di questa testa di vitello su una fettina di patata con sopra
una salsa bourguignon: non esaltante data la sensazione di essere stato
riscaldato dalle lampade a infrarossi perché la parte del cervello
aveva formato una pellicola solo dal lato superiore.

Poi arriva un medaglione di capesante con in mezzo tartufo su
vellutata zucca. L'accostamento è buono, il sapore è delicato, ma
troppo etereo. Notiamo un uso risicato delle materie prime, specie
quelle più care che fa si che il piatto sia letteralmente un boccone.
Cambiamo vino: 100% sovignon con veloce passaggio in barrique della
zona di Bordeaux. Aubertinorie. Questo è un vino monumentale, ci fa
finalmente capire perché il mondo intero consuma vini francesi. La
struttura corposa non cancella le caratteristiche proprie dell'uva o
del territorio col risultato che il gusto resta in perfetto equilibrio.

L'unico rimpianto è che non riusciamo a comprare un po' di bottiglie da
portare in Italia e lo "Chateau" spedisce solo in Francia.
C'è poi un piatto di calamari arrosto su letto di pomodori con
peperoni dolci e una sorta di bottarga. Buono anche se non memorabile.
Rigatone (cotto alla francese sigh!) ripieno di aragosta su brodetto
rosso di capesante. Ottimo. Qualche tempo dopo abbiamo mangiato
qualcosa di simile (con la pasta cotta meglio) ma il sapore non alla
stessa altezza da Gualtiero Marchesi. Sarebbe il miglior piatto della
serata se non fosse arrivato l'agnello.

Cambiamo vino: rosso ealilie di chaudine. Ottimo e corposo. Il
siparietto col sommelier è che lui ci porta ad assaggiare il solito
vinello scialbo che i francesi bevono sempre non potendo investire
cifre da mercato nero degli organi per bere uno dei loro grandi vini
tutte le sere, ben fatto e tondo ma insignificante; noi gli rispondiamo
che sebbene non sia cattivo non lo gradiamo perché non è all'altezza
dell'ultimo bianco, lui ci pensa un po' e chiede: perché non è
all'altezza del bianco, non è abbastanza potente? Noi annuiamo contenti
che ci abbia capito nonostante sia difficile parlare dei dettagli di
un vino in una lingua straniera e lui ci dice illuminandosi d'immenso:
"je ai ça!" (ce l'ho il vino che fa per voi).

Anche se non è in mescita apre per noi la bottiglia dicendoci che è uno
speciale omaggio a intenditori (ovviamente ci adulava e basta) italiani. Ealilie di
chaudine è un vino complesso, con l'ottimo bouquet dei vini francesi ma
una miscellanea di sapori tipica dei vini italiani. Non è il mio vino
preferito ma è sicuramente il più italiano dei vini francesi fra quelli
che ho provato. Mi ricorda, anche se non ne è all'altezza, il
sagrantino di Montefalco.

Arriva il cosciotto di agnello stracotto per 7 ore in vino rosso e
cioccolato e terrina di purea. Straordinario! Ci spiegano che questo è
il piatto che ha reso Dominique Bouchet famoso e possiamo apprezzarne
il motivo. Dopo un inizio traballante stiamo finalmente assaggiando la
mano del 3 stelle! Dolce: tortino di mele con pezzettini di pasta frolla e gelato di
mandorle. Decisamente delizioso. Si beve del traminer, buono ma il meno
buono della serata ed il più caro.

Arriva anche un post dessert: 2 strisce di mashmallow (orripilanti!!)
di sapore indefinito, uno verdino e uno rosa. Insieme per fortuna ci
sono anche un un ipermicro plumcake e una specie di tartufo al cacao
nero molto morbido. Caffè: troppo lungo. Da evitare.
Conto: 293 € di cui 120 di vini e 10 di acqua (un misero litrino). Un
po' troppo per quello che abbiamo ricevuto, ma poco per aver mangiato
bene a Parigi.


A&F