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Da Giovanni Loc. Cortina Centro, 79 - 29010 Alseno (PC) Tel: 0523-948304 Chiuso: Lunedì a cena e Martedì Data recensione: 3/2007 Storico locale che si trova citato in tutte le guide, praticamente da sempre, senza, però' adeguati riflettori che ne descrivano lecaratteristiche. Appartiene a quella categoria di cucina tradizionale di alto livello che non conta ormai molti membri; locali della memoria, locali da preservare. L'indirizzo è quello ufficiale ma il, o meglio ancora, i navigatori non riconoscono nessuna via centro, nè tantomento la località Cortina. Ricordando vagamente la strada sono andata, a ricordo e indicazioni stradali, cioè alla vecchia maniera sostanzialmente: scoprendo poi che il navigatore vede quella strada come strada di Fellegara sotto Castell'Arquato, infatti Fellegara è la piccola frazioncina che si incontra procedendo lungo la strada del ristorante. Altra alternativa: settare Castelnuovo Fogliani (vicina frazone di Alseno) e da lì seguire le indicazioni per Cortina, frazioncina talmente piccola da non esser mappata; se vi trovate su una strada con due tornanti numerati con grandi cartelli, siete nella giusta direzione. Arrivando in anticipo una deviazione verso l'Abbazia di Chiaravalle della Colomba puo' risultare interessante, così come una più prosaica sosta, se si esce a Fidenza, non necessariamente all'Outlet, ma alla rivendita dell'Agrinascente, appena imboccata la strada, di salumi e Parmigiano Reggiano, fra le cui proposte un ottimo Strolghino e la Mariola dell'Antica Corte Pallavicina, meritano indubbiamente. Raggiunta la piccola località di Cortina, sarà piu' facile localizzare sulla vostra destra un piccolo parcheggio con alcune macchine che non vedere la piccola insegna in ferro che segnala il locale. L'atmosfera che si respira è quella di una elegante casa di campagna, la posateria in argento corredata da burriera ed un ottimo pane alle noci producono un immediato effetto rassicurante, pane e burro, dettaglio ormai cancellato dalla ristorazione moderna, riescono immancabilmente a strappamari un sorriso quando li ritrovo. Il servizio è molto cortese ed estremamente professionale, il benvenuto della casa, una leggera zuppa corroborante, arriva ancor prima delle ordinazioni mentre studiamo il menù; ci dà così modo di riflettere con calma sulle nostre possibli scelte. Il mio menù è senza prezzi, stavolta un dettaglio antico che non mi mette particolarmete a mio agio, mi rilasso nuovamente ritrovando ancora in carta piatti provati in passato, è bello che talora non tutto muti e si evolva. Piccola panoramica delle proposte: il menù degustazione piacentino (45?) propone salumi misti della casa con culatello, salamino caldo in crema di funghi porcini e tartufo nero, tortelli d'ortica al burro fuso e profumo di salvia, l'anatra muta di Viustino brasata al Monterosso (viustino è una frazione di San Giorgio Piacentino), scaglie di grana padano, gorgonzola naturale con miele di castagno e dolce freddo al croccante di mandorle. La carta è ulteriormente suddivisa in una sezione tradizionale che include, fra l'altro: l'anguilla in carpione, i pisarëi e fasô (che se la memoria non mi inganna vengono presentati facendo riferimento alla ricetta antica: in bianco), il risotto con pasta di salame e piccole verdure, il trancio di storione al Gutturnio e il Guanciale di manzo brasato alla Piacentina con la polenta; La carta propone anche piatti meno tradizionali con anche qualche proposta di pesce. Qualche piatto del giorno ci è stato raccontanto a voce e la nostra esperienza si è dipanata in: - Tartara di tonno, semplice e perentoria, parla da sola di freschezza e qualità - Terrina di fegato d'oca al Sauternes, pan brioches. Stabilità, fermezza, immutabilità. Le porzioni generose ci destabilizzano per qualche secondo, ormai abituati al minimal delle moderne proposte, ma non abbiamo tentennato mai lungo l'arduo percorso. Riesco di rado a non ordinare il fegato d'oca quando mi viene proposto, ho un debole spesso poco obiettivo a riguardo ma vedendola sotto un'ottica differente forse anche più conscio di quello che questa sublime materia prima possa offrire. Questa è una impeccabile esecuzione di un grande classico, servita con una marmellata di cipolle rosse e con il pan brioches caldo, presentato in tavola nel suo vassoietto d'argento con coperchio a cupola. La sensazione di calore e conforto prosegue. - I tortelli d'ortica al burro fuso sono i famosi "tortelli con la coda" piacentini. Meravigliosi, suscitano cocente invidia, da parte di chi nasce in mezzo alla univoca alternativa del tortellone, hanno una morbidezza una, verrebbe da dire scioglievolezza anche se fa troppo pubblicità del cioccolato pur non trovando un termine migliore e meno gettonato per spiegarne la sensazione al palato. La tradizione al meglio di sè, difficile non riordinarli alla prossima visita. - Agnolotti di vitello stufato nel cestino di parmigiano, salsa di formaggio e tartufo. Piatto che nell'ordinazione mi ha dato qualche pensiero. Formaggio è talmente generico da incutere timore, salsa una sorta di imprecazione culiaria da cui ci siamo appena affrancati, sopratutto per quanto riguarda i primi piatti... ma c'era un antico ricordo che mi sospingeva a vedere quanto si discosta la mia orma attuale da quella passata. Sono atterrata senza scosse, il formaggio è una leggera nappatura al parmigiano, il piatto non è fortunatamente ingessato in una sorta di ciotolina di pizzo caseario, ed il tartufo piu' profumato di quello che la stagione mi aveva fatto presagire. Non c'e' la separazione dei sapori, nettezza e definizione che costituiscono il parametro principe e la luce con cui osservare le nuove proposte della gastronomia. C'è pero' il sapore del meglio che ci siamo lasciati alle spalle, quello che ci dice che non ha senso negare totalmente e in blocco la cucina degli anni passati e che "legato" non è necessariamente un errore, ma che tutto va valutato con un senso storico alla ricerca non di un perchè assoluto ma del perchè del piatto stesso, e che il sapore talvolta, in alcuni rari casi, riesce ad appagare anche senza che si possa distinguere singolarmente ogni strumento del concerto. Non è, anche in cucina, sempre tutto bianco o nero. - La battuta di filetto di puledro con cipolle brasate all'aceto balsamico, confesso che leggendo il menù, credevo si trattasse un crudo, ma la sorpresa non si è tramutata in delusione, la carne equina è rosolata con una cottura sapiente, creando un matrimonio perfetto con la dolcezza delle cipolle. Le verdure a contorno dei secondi, sebbene poco attinenenti all minimal food design dell'estetica imperante, non erano puramente decorative e fine a sè stesse, ma sapide, rosolate e saporite affatto evanescenti ma comprimarie dei piatti stessi. - Maialino da latte caramellato al ginepro, ho definitivamente trovato la fisica rappresentazione dell'archetipo del maialino: quella glassatura, tenerezza delle carni abbinata alla dolcezza della glassatura da assaporare con meditazione, la tenerezza e mostosità della cotica, il sapore stesso della carne, francamente non ho memoria di una migliore resa della suddetta matira prima. Sarà difficile non confrontare i maialini futuri con questa idea platonica ormai indissolubilmente impressa sulle mie papille. - Piccola pasticceria con gocce di cioccolato, familiari biscottini di cioccolato e riso, spumini ed un'ottima sbrisolona. - La bavarese di latte e crema mou, è meno nelle mie corde, sento troppo la vaniglia e sopratutto troppa gelatina, corretta, ma preferisco la tendenza odierna ad usare meno addensante. - Mousse ghiacciata ai marroni, salsa al cioccolato e rhum, un classico, ben congeniato e presentato. Conto sui 55? a persona. Un posto che rimane come punto fermo nelle mie visite in zona nel quale ritornare certi che pur senza staticità, ci si possa rinfrancare dall'immutabilità di qualità, cortesia e sincerità della stessa cucina. Ruggine |