Antica Osteria del Teatro
Via Verdi, 16 - 29100 Piacenza (PC)
Tel 0523.323.777
Fax 0523.304.934
Data recensione: 11/2006
Filosofie a confronto.
Mattinata impegnativa; arriviamo in corsa, lasciandoci dietro
contrattempi e fastidi vari.
Piacenza è imbronciata, colpa forse della pioggerella fine
che inumidisce tetti e strade, le sue, da diverse ore. Il centro
è silenzioso, fermo. Qua e là accenni di pozzanghere, vetrine
spente e tendoni zuppi. Colori bigi, e odor d'acqua. Fredda.
Destra, sinistra, destra. Via Verdi… Sedici. Stop.
Mura "datate", mattoni a vista. L'insegna nera in ferro battuto
a penzolar dall'alto.
Si, ci siamo: è l'Osteria, quella Antica, del Teatro.
Ad accoglierci, riposto l'ombrello, una ragazza cortese e
decisa, simpatica di suo: minuta, occhiale nero squadrato,
capelli raccolti in una coda alta e ballerina, in perenne movimento.
L'ingresso, curato e rispettoso dei suoi seicento e più anni di
storia, preannuncia un'esperienza garbata, elegante seppure
informale. Di carattere.
Ci accomodiamo nell'ultima saletta, ad un tavolo tondo
sufficientemente spazioso. Le sedie, belle e dall'imponente
schienale, risultano a sorpresa assai comode.
Siamo in due: una lei e un lui.
Cerchiamo di prendere confidenza con l'Osteria, coi suoi toni
gialli/ocra, le travi massicce del soffitto, quell'aria di "calda eleganza
di provin...Ma il tempo stringe (non il nostro…) e il menù incalza.
A rompere i se e i ma di una mattinata spesa inseguendo coincidenze
giunge Lei: una sontuosa Pancetta di Maialarte, l'appetizer di Filippo
. Eccola:di una grassezza conclamata; eppur così evanescente...
Che dire? Pane, pancetta e musica di fondo. Punto.
Ode al porcello.
Pausa...
Macchè!!! E' già lì: geometria del gusto. Il primo boccone esplode in
bocca -senza preavviso-. Il secondo -più lento e burroso- rintuzza
l'attacco sostenendone accenti (e tormenti). Ci ricado: troppo preso
dalla Terrina di fegato grasso d'anatra scaloppato con cannolo di
fichi e pistacchi di Bronte per rispettarne appieno disegno e concetto.
Seguo strade mie, voluttuose, irriverenti, e finisco col polverizzarla.
In un amen. Ora è là, fra i ricordi belli, a far compagnia alla Pancetta...
Tempus fugit.
Tradizione è Cultura: ed eccoci qui, a lezione di piacentino.
Nel piatto -cattedra virtuale- Pisarei e fasö, in quantità.
Umori di stufa, legna e rame; chiusi gli occhi immagini scattose,
ricordi e malinconie. Nonna di spalle, a menar la minestra.
Semplicità al potere: grande. Peccato per quel accento mancato
di sapidità, quel velo di parmigiano (ad esempio) che avrebbe
"completato il boccone" (evitandomi la continua rincorsa all'oro,
di fagiolo in fagiolo!)
Altro tono, e cadenza quasi mantovana, nei Fagottini di zucca e
amaretti con zabaglione al parmigiano e aceto balsamico tradizionale
di Modena. Qui c'è tutto: richiamo armonioso di note dolciastre,
appiccicaticce e balsamiche. Piatto fatto e finito, senza se.
Certo, è pasta ripiena -finisce presto- ma Filippo è generoso e
difficilmente si arriverà a numerare i ravioli nella fondina, o a dar
loro un nome. Singolarmente...
Posata la forchetta il confronto si fa serio.
Vien però da chiedersi: perché mai il coltello? Bon ton, equilibrio,
completezza di mise en place, forse. Non certo per reale bisogno, tanto
è morbido e umoroso il Filetto di manzo in salsa al gutturnio e scalogno.
Preparazione banalotta se vogliamo, non discuto. Ma GIUSTA. Carne
favolosa: non è poco. Carotine, broccoletti e asparagini colorano il
piatto, ma sono cornice, sono "altro". Quel "manzo di tonno", invece,
resta.
Tic tac, tic tac…
Curiosa (e gradevole) la presentazione del Cartoccio di merluzzo
Cabillaud marinato al coriandolo e limone: "spacchettato" il tutto, si
libera l'anima di un redivivo protagonista (di menù variamente stellati),
tadàaaaaaaaaaaan… et voilà, il baccalà. Per di più, incellophanà.
E accompagnato da frittelline fatte con la pancia dello stesso, in un
divertente gioco di consistenze e aromi.
Finito? In che senso???
-Se preferisce facciamo una mezza porzione- , -No, no, io la voglio
TUTTA, ci sta-
Così arriva, spirito e corpo. Quasi minacciosa, di primo acchito.
Qui il coltello è addirittura un insulto: lo nascondo, per non turbarla…
Scaloppa di fegato grasso d'oca con crumble di rabarbaro.
Maestosa, eccessiva: da uscirne in fin di vita. Ma contenti.
Dolcezza, grassezza e sapidità a scazzottare in bocca, a più
riprese, senza vincitori né vinti. Armonia sul lungo.
E un'impressione indelebile, di Qualità. In buona parte, assoluta.
In buona parte.
Un neo qualitativo, infatti, esiste. Incocciato al fotofinish.
L'inconsistenza delle Costolette di agnello prè-salè con topinambur
e fagioli bianchi "cocco" di Spello mi ha un po’ sorpreso. (Più di un
po’…).
Al di la che avessi già mangiato come un fachiro a digiuno da lustri,
e
che le papille fossero sature di sapori "importanti", resta l'apatia di
quella carne senza nome, né destino. Neutra. Puro riempimento.
Un agnellino sfortunato, privo di linfa: insapore. Insomma, può capitare.
E' capitato.
Nessun dramma.
Rinunciamo alla selezione di formaggi.
C'è il (i) dolce (i).
Tortino di castagne con gelato alla vaniglia e Sinfonia di sorbetti
(ananas, limone e lampone). Meglio il primo, discreto senza eccessi.
Poco da dire. SIMULTANEAMENTE portano la piccola pasticceria
(buonina), e quasi CONTEMPORANEAMENTE arriva Filippo per
condurci nel rituale tour della sua cantina-gioiello.
Eccoci al DUNQUE: tempo COMPLESSIVO del pranzo, dalla posa
dell'ombrello prima di entrare all'ultima cucchiaiata di sorbetto, UN'ORA
NOVE MINUTI TREDICI SECONDI E QUALCHE SPICCIOLO…
D'accordo, lo ammetto, noi causa noiosi imprevisti, siamo arrivati un
po’ tardi (ore 13.26).
Non ci era comunque mai capitata una maratona gastronomica tanto
"ritmata", quasi sfiancante. Via un piatto, sotto l'altro, col ticchettìo
scandito dalla successione di portate e dai "Tutto bene?" del personale
di sala.
Lette le altre recensioni pensavo esagerassero un po’ le problematiche
relative alle tempistiche e ai rigidi orari di cucina. Evidentemente no.
La cosa è ancor più grave in quanto non permette di percepire appieno
la magia che l'ambiente e l'abilità di Filippo Chiappini Dattilo sanno
esprimere.
Vivi i piatti, non il momento, l'esperienza. Troppe la corsa, la foga
(è
arrivato a prenderci che ancora avevo in bocca i pasticcini… cosa
che ha indispettito non poco l'altra persona. Ancor più nei giorni a seguire).
Troppo incalzante il suo "staff". Per di più, un pescatore sportivo come
Filippo dovrebbe avere nella pazienza e nei tempi lunghi dei caratteri
distintivi. O almeno non trascurarli.
Forse converrebbe tenere aperto solo la sera, e indirizzare tutte le
energie ad agevolare un "contorno" più ampio e appagante.
Così, è un'idea. E le nostre, in fondo, altro non sono che filosofie a
confronto.
Il servizio, tolta questa nota (ingombrante e comunque "strutturale")
è attento, professionale e amichevole (magari al sommelier un filo di
ilarità in più non guasterebbe...). Non ti mette mai a disagio e offre
ampia disponibilità.
Filippo rivisita con padronanza e stile la cucina del territorio.
Un territorio ricco, un background articolato. Punta sulla qualità
vera, e sa gestirla al meglio. Dà sicurezza. Certezze di ben mangiare.
E' semplice e appassionato, sente la sua provincia, se ne fa scudo e
specchio.
I prezzi sono assolutamente consoni ai piatti proposti, con in più il
bonus (lodevolissimo, gratificante e quasi irrinunciabile) di non rendere
i Menù Degustazione obbligatori per tutto il tavolo, lasciando anzi
TOTALE libertà di scelta. Impagabile Provarlo, è di rigore.
Valutazione complessiva (in trentesimi): 26
Un Menù Degustazione (85 euro), un primo (13 euro), due secondi
(70 euro), un dolce (12 euro), Cabernet sauvignon dei colli piacentini
Villante 2003 (25 euro), acqua Plose (5 euro) per un conto finale di
210 euro.
Sanguenero
|