MORI SUSHI
West Pico Boulevard, 11500 - Los Angeles, California 90064-1520
TEl. 310.479.3939
Data recensione : 09/2006
La città degli angeli ha l'immeritata fama di essere una delle
città più brutte del mondo, dopo Mestre e Johannesburg: niente di
più falso.
A parte il fatto che l'ha scelta Wim Wenders per uno dei suoi più
emozionanti (e dunque anche rilassanti, per non dire altro)
masterpieces, che gli han procurato notti insonni, il making di altro
lungometraggio sugli angeli (evidentemente l'illustre regista ama
fantasticare sul sesso, dunque, forse, anche no) ambientato in ben più
cupa location là dove il mondo sta morendo (il nostro Vecchio
Continente), e la collazione di una delle più ambiziose colonne sonore
di sempre; ma a parte ciò, l'inconcludente agglomerato californiano
ha il fascino della crescita esponenziale che farebbe appassionare alla
matematica qualunque letterato (e dunque fallito) del Pianeta, la
seduzione della carovana zingaresca colma di nani, saltimbanchi e
ballerine, nonché l'oblio voluttuoso di ogni caos primordiale
ammantato di sbrilluccichii hollywoodiani, anche se in questa dannata
città ("Megalopolis" definita sprezzantemente da tutti gli hippies
che l'hanno fuggita per continuare le loro innocenti visioni nel
torrido deserto del Mojave) non c'è una strada pedonale che sia una
e percorrere un boulevard a piedi comporta impegno economico in tema di
suole di scarpe (tempo di percorrenza minimo: due ore) e polmoni
(facile intuire perché).
In questo affascinante e piacevole paesaggio dantesco, dove
incoerentemente si vive di nostalgia dell'epoca reaganiana (che era
repubblicano, a ben vedere, e dunque invio a questi grandi elettori
della locale sinistra), ho goduto della pacifica quiete di uno dei
migliori ristoranti giapponesi di sempre.
Mori Sushi si trova - tanto per cambiare, ma va? - in uno degli
irraggiungibili, incamminabili, impercorribili a piedi vialoni
losangeleni, il West Pico Boulevard, sull'estremo limitare di
Beverly, laddove pettorute&tartarugati che si degnano di ossequiare la
stanca istituzione del Lido di Venezia almeno una volta nella vita
hanno la propria consueta residenza. La personalità di Morihiro
Onodera, silenzioso ed efficiente chef che ha prestato i propri servigi
nel tempio del sushi californiano Matsushima, si comprende fin dalla
scelta di non apporre il logo della sua creazione all'esterno del
locale stesso, come per dire: o mi ami e sei motivato ad esserci per la
mia essenza (sembra una canzone di Battiato) o te ne vai in uno degli
altri 1000 sushi bar della città.
11500 è l'unica certezza che abbiamo: scarsa l'illuminazione, si
comprende di essere nel posto giusto solo perché si intravedono le
unghie laccate di una graziosa avventrice orientale manipolare
sapientemente i chopsticks.
Il locale è severo e minimalista, Onodera ci chiede come mai siamo
capitate proprio lì. "La vostra fama ha travalicato i limiti
dell'essenziale" accenno con un sorriso. Lo chef mi fa alla sua
maniera un ammiccamento di sorpresa, "gli stranieri qui di solito non
ci arrivano", mi dice.
La carta delle vivande arriva ben prima di quella del sushi, ordiniamo
una tartare di Halibut al limone, cedro,e coriandolo, una tartare di
tonno toro "valutabile secondo il prezzo di mercato", il tofu fato
in casa. Poi il premuroso cameriere indigeno (leggi: prestante biondo
californiano) ci propone il sushi e il sashimi della casa, e la scelta
cade immediatamente sul sushi al "baby smoked barracuda" e sulle
solitamente agghiaccianti pallottoline di riso all'anguille e alle
uova di salmone, tester ufficiali del sushi restaurant, che se non è
al top, ne propone agghiaccianti versioni".
Ho toccato il cielo con un dito, e mi sono trovata fino alla fine
del mondo tutto d'un tratto.
La tartare di tonno toro (19 dollari l'etto, quella sera) è stata
talmente eterea da avermi fatto venir voglia di prenderne subito
dell'altra fino ad esaurimento scorte: la commistione di materia
prima, cipolla e wasabi è stata semplicemente perfetta.
L'inedito sushi al barracuda ha dimostrato che non conta soltanto
l'ingrediente nobile ma anche la cura nel confezionare il riso che
Onodera ci ha detto essere maniacale.
Mi sono fatta stregare dalla birra proposta dalla casa, una artigianale
Hitachino di rara importazione (19 dollari, 66 cl) che mi è parsa la
versione perfetta della biere blanche di manifattura belga.
La mia graziosa e minuta compagna di viaggio ha lamentato soltanto la
temperatura eccessivamente bassa del locale, dato che mi ha confermato
l'eccellenza assoluta di Mori Sushi.
Circa 80 dollari a cranio, e la certezza che gli angeli, talvolta,
hanno gli occhi a mandorla (altro che Nobu).
Bulmalover
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