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Archivio recensioni ristoranti inviate dai lettori
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Combal Zero Castello di Rivoli (TO) Tel. 011 9565225 Data recensione : 08/2006 Trovare un ristorante non troppo lontano da Milano aperto il 17 agosto (giorno del mio compleanno) è un'impresa ardua. Quando una settimana prima ho chiamato il Combal.zero e mi hanno detto che avrebbero riaperto proprio in quella data, l'ho interpretato come un segno. Arrivare è semplice, le prime indicazioni per il Castello di Rivoli compaiono già sulla tangenziale di Torino. Il castello ha una struttura severa, con una muratura in mattoni scuri sfalsati, e si trova in posizione splendida, su un colle che sovrasta Torino. Il restauro è caratterizzato dall'inserimento di elementi moderni. Il ristorante è alloggiato in una struttura bassa e rettangolare, di nuova edificazione, posta davanti a un'ala del castello ma seminascosta all'arrivo da una parete ricoperta di edera. Le pareti lunghe sono completamente vetrate cosicché lo sguardo può spaziare dal castello alla vista della città. La sala ristorante è essenziale ma elegante. Apprezzabili i fiori freschi su tutti i tavoli, un po' scomode invece le sedie, tipo bistrot. Un plauso alle possibilità offerte dalla carta delle vivande. Oltre al menu creativo (140 euro) a memoria invariato rispetto alle esperienze descritte sul forum un paio di anni fa, sono presenti anche un menu classico (80 euro) e un menu tradizionale (70 euro) oltre a portate singole e micropiatti. I gentili camerieri ci dicono che è possibile scegliere anche singoli piatti dai menu degustazione. Davvero complimenti! Optiamo per una combinazione di piatti creativi (antipasti) e classici, agevolati dalla nostra passione per la cucina piemontese e, in questo periodo, per la pasta fresca. Ampia la carta dei vini. Mi fermo al Piemonte su un Barolo Brunate-Le Coste di Rinaldi (1995). Un vino splendido . austero e slanciato eppure intenso, leggermente acido e di grandissima beva. L'archetipo del Barolo nella mia mente, accompagnerà primi e secondi in modo esaltante. La cucina si presenta con una crema fredda di piselli alla menta servita in un bicchiere di plastica chiuso da un contenitore di polistirene che la ragazza di sala agita per poi versare sulla crema una misticanza croccante. Il tutto è da mangiare con un lungo cucchiaino di plastica. Il piatto è gustoso e ben eseguito ma una presentazione più comoda consentirebbe di dedicare maggiore attenzione alle diverse consistenze e alle alternanze dei sapori. Il cybereggs è uno dei piatti più famosi di Scabin e non si può venire in questo ristorante senza provarlo. Il servizio segue un rito ormai consolidato. La curiosità suscitata dalla scatola di plastica lascia il posto allo stupore al momento dell'apertura e della visione del contenuto: una doppia bolla, con all'interno tuorlo d'uovo e caviale. Appare un bisturi, che serve a praticare due fori nella pellicola. Dopo di che bisogna immediatamente mettere in bocca il tutto e aspirarne il contenuto. La totale assenza di sensazioni olfattive esaspera l'esplosione di gusto al contatto con lingua e palato. Un'emozione breve eppure indimenticabile. L'ostrica virtuale consta invece di due cubetti di anguria sormontati da scaglie di mandorle e bottarga. Da mangiare chiudendo gli occhi: quando l'anguria si miscela con la bottarga la bocca viene invasa dal sapore iodato tipico dell'ostrica. Due esempi di genialità. Un piatto tradizionale come gli agnolotti busso salvia e sugo d'arrosto consente di ritornare su terreni più noti. La sfoglia è gialla, molto elastica, il ripieno di carne asciutto e saporito, il condimento leggermente salato (ma può darsi che questa sensazione sia acuita dal fatto che ormai a casa mangiamo tutto senza aggiungere sale). Le lasagnette con animelle e foie gras lasciano il palato libero di godere. La pasta è leggermente più spessa di quella degli agnolotti e serve a sostenere foie gras e animelle mentre si sciolgono a velocità diverse, fondendosi in perfetta armonia. La coscia d'anatra all'arancia con verdurine baby e insalata di finocchio è da manuale, per consistenza e gusto. Ancora migliore, se possibile, è il filetto di cervo. Quattro fette rosate all'interno sono sormontate da una sottile crosta al pepe nero, che ne evidenzia il sapore selvatico, smorzato poi dal purè di patate ratte, da un dolcissimo scalogno caramellato e dalla gelatina di lamponi. L'ile flottante è un cubo di albume montato a neve che galleggia sulla saporita salsa alla vaniglia. Un dolce classico a cui fa da contrasto il cioccokube. Anch'esso viene presentato in una scatoletta di plastica, in cui si trovano quattro bicchierini (sempre di plastica) contenenti eccellenti mousse di cioccolato a vari gusti accompagnate da creme o salse. La piccola pasticceria è minimale ma di qualità. Ottimi i caffè, scelti da una carta apposita. Un pranzo di alto livello. Un ristorante gestito con grande professionalità, dove tutto gira senza sbavature. Ottima l'esecuzione dei piatti, mentre lasciano un po' a desiderare alcune presentazioni (troppa plastica fine a se stessa). Un po' statico il degustazione creativo per cui il ristorante va (andava?) famoso, più interessanti alcuni spunti presenti nei micropiatti. Grandissima l'interpretazione di una cucina territoriale da noi tanto amata. Non abbiamo chiesto di salutare lo chef (chissà se c'era), che comunque si era già compiutamente espresso con la sua cucina. Il conto è stato di 280 euro, di cui 45 per il vino. Caldamente consigliato. Pumpkin (Paola e Luca) |