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Ristorante Alpino Moline di Sovramonte (BL) Tel. 0439 - 96125 Chiude Lunedì sera e tutto Martedì. Data recensione : 08/2006 E chi l'avrebbe detto che, all'interno del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, si sarebbe trovato un Panda? Uno? Chissà quant'altri, basta solo conoscerli, anzi, scovarli, considerato pure che questa provincia porta bene alla buona ristorazione perché, nel Veneto, è quella a più alta densità di locali stellari. Qui, a Moline di Sovramonte, la storia ha una sua particolarità. Moline è l'ultima enclave bellunese a ridosso dell'incipiente Trentino e della sua prima valle, che recita di Primiero e San Martino di Castrozza. Moline è anche, bontà sua, rivierasca del Comune di Lamon, storico produttore di uno dei Fagioli più blasonati di Enotria. La storia, quindi, si basa su fondamentali sicuri e dop.ati (al gusto giusto, s'intende). Nei tempi che furono, il Ristorante della Famiglia Bee, titolari sin dal '900, inteso come primo anno del secolo scorso, era anche tavola eletta per rallysti veri o presunti. Era normale trovare ivi Sandro Munari, "il Drago", con la sua HF; qui derapava verso i primi tornanti di una carriera che poi lo avrebbe portato a diventare Campione del Mondo tale Miky Biasion, un bocia di Bassano del Grappa. La fama di tana rallystica ha contribuito molto alla storia di questo locale che, ora, veleggia di bolina gastronomica per palati curiosi pur se, oramai, alcuni aspetti del suo essere possono risultare un po' fanè per chi, alla Trattoria "tipica", chiede comunque un qualche Cristallo di Fiandra per patinare storie di ordinaria gastronomia che, soprattutto da queste parti, avevano sempre invece il riscontro del sudore quotidiano, spesso con contorno di passaporto e valigia emigrante. Franco Bee prosegue quindi la tradizione di famiglia, atta a dare conforto viandante a coloro che risalgono la valle dello Schener verso i prati alpini e le sciate a cinque stelle della piccola Cortina sanmartina. C'è una Carta generalista, messa più che altro a volgere l'attenzione verso il Menù dedicato ai Prodotti del Parco. E si comincia con un Antipasto Tecnico, modalità anche divertente per riassumere un assieme di affettati che recitano di Soppressa, Speck gentile, Carne "Salada" (leggermente marinata - cruda - a Sodio). Assemblaggio riuscito, su tutti i fronti, con a ciliegina 'n coppa delle zucchine e melanzane sottoacete direttamente in casa, oltre a qualche tegolata di ricotta affumicata fatta cadere al momento dalla Salma Hayeck che s'aggira per i tavoli. Siamo vicini a Lamon, come dicevamo, e quindi, inevitabile, la Pasta e Fagioli. Pasta fatta con le sue regolari "Tirache", leggesi di fettuccione tirate e tagliate in maniera grossolana. Considerata la "sostanza" del Fagiolo Lamonico, avremmo apprezzato una concentrazione ancor più verace della broda, ma, probabilmente, in Cucina, avranno considerato che, essendo la via di passo per turisti di varia fatta, si è preferito non calcare troppo sulla autoctonicità. De gustibus. Tra l'altro, il Fagiolo di Lamon, nella leggenda, ha un piccolo cammeo. Il primo baccello fu dono, verso la metà del '500, di Papa Clemente VII, che ricevute le piante dalla Corte di Spagna le trasmise in dono ad un frate bellunese, tale Pietro Valeriano, e subito qui trovò ambiente ideale per riprodursi generoso, tanto che, con il suo apporto proteico, salvò la comunità montana che lo ha adottato dalla perigliosa pellagra, tipica delle popolazioni polentone . e basta. Ancora oggi, delle quattro varianti in essere, due ricordano l'antica origine, lo "Spagnolo" e lo "Spagnolet" . L'altra proposta prima è .. sfagiolata, pur presentando degli spunti interessanti. Si narra di Gnocchetti con Formaggio "verde" (la variante veneta del gorgonzola), con Ricotta affumicata delle valli viciniori. Oggettivamente, quando si scomoda "il verde", ogni piatto ha il successo facile, perlomeno a tavole senza pretese tristellari; qui c'erano anche i semi di papavero, più che di lande Lamoniane a fare citazione cortinese, ma ci stavano. Peccato per i sentori chiaramente non di mano azdora di gnocchetti catapultati in padella da qualche scaffale di larga distribuzione. tant'è, ne parleremo dopo. E a volte ritornano, ecco ancora i nostri Fagioli a fare contorno, in "Tocio", nel loro stufato di cottura, con piccola presenza di pomodoro, e gioiosamente acconciabili su misura con olio & pepe a macina personale. Si percepisce la carnosità di questo frutto della terra ad alto contenuto proteico, con la misurata invadenza di una buccia che, anche per questo motivo, ha reso questo prodotto ricercato da palati ghiottoni e Chef de rang. Ma non solo. Vi arriva il "Capuss", chi altri se non proletaria verza tagliata a coltello e conciabile pure essa a gusto del commensale, con quell' aceto bianco ruspante come si usava nelle case sino a quando non è sorta la Balsamic Trendy fashion, in realtà più con i suoi epigoni da banco che con i bollini di lungo invecchianento del prodotto originale. Un tuffo nella tradizione casalinga di quando le tv erano ancora in b/n. Ma il piatto forte è in agguato: Schiz, Polenta e Pastin. Spiegazione. Lo Schiz è la prima cagliata del latte lavorato. A pochi chilometri a Nord, nel Primiero, lavorata più grassa, si chiama Tosela; qui invece, forse perchè la terra belumat è sparagnina oltre che montanara, vi è meno grasso, lasciato per i caci a seguire, e quindi la creatura "schiz", appunto, tra una ganascia e l'altra, con un effetto molto particolare, che è anche difficile a tradurre per immagini e suoni su di un banale word program. Il Pastin è un' altra caratteristica locale in via di estinzione. In sostanza è la pura carne macinata del maiale, quella che, altrimenti, verrebbe destinata a salami e soppresse. Qui viene un poco conciata, anche con cannella, e resa edibile pressata e alla piastra. Ricorda un po' la salsiccia fresca bracizzata, ma non è la stessa cosa, forse vi è un sentore più importante di concia speziata, forse, perchè il Pastin, come molte delle realtà italiche, ha una storia e dei sapori che variano (variavano) di casa in casa. Comunque curioso, da provare; la Polenta di contorno, pur non essendo di Storo, è cortese, casalinga e companatica silenziosa delle due chicche lattosuine. Lo Strudel di Mele potrebbe sembrare una banalità scontata, e ne abbiamo mangiati oggettivamente di migliori, ma anche qui c'è un piccolo stacco personale che lo fa ricordare. Mentre nelle malghe e nella quotidianità tale piccola delicatesse locale viene presentata con panna presunta fresca o con zucchero a velo e a gogò, qui ha il belletto rustico e lieve di un po' di miele che, fossanche della Ambrosoli, lo rende comunque gradevole et originale, ma invece è frutto del lavoro di tale Gobetti Andrea e delle sue Api . Il percorso dolomitico è stato allietato da un rosso della casa (al naso siamo vicini ad un Merlot senza collare), che accompagna il tutto decorosamente. Alla staffa non possono mancare le due parole con il titolare che, grazie anche a quella particolarissima melodia che solo lo slang belumat può offrire, narra di una professione che, passata la golden age non tanto dei Sandro Munari, ma di una ristorazione forse più semplice, familiare, permetteva di muoversi sereni nel gestire costi e qualità a dimensione quotidiana. Adesso sono proprio questi piccoli Panda di montagna ad essere a rischio di estinzione. Vuoi gli Agriturismo da un lato, vuoi le fantomatiche Pizzerie dall'altro, con una ricaduta di qualità e legame con il territorio tutto da verificare. Il legame con il territorio. Come dicevamo, siamo all'interno del Parco delle Dolomiti Bellunesi, vieppiù implementato dal Giacimento del Fagiolo Lamonico (approposito, per i più feticisti, l'apposita "Festa" si svolgerà in Lamon tra il 15 e il 17 settembre p.v.) . Ebbene, su diversi piatti è indicata la Filiera di provenienza; ecco che lo Schiz ha babbo e mamma (Azienda Camolino), così pure la Macelleria Gazzi viene indicata come genitrice del Pastin e così via di anagrafe protetta e certificata. Ecco che, allora, possiamo anche perdonare gli gnocchetti orfanelli e senz'anima azdora. Anyway, sul bancone, accanto a miliardi di etichette adesive che narrano di Abarth, HF e Stratos dream, vi è una parade di Grappe in cui l'occhio atterra subito su di un vaso Bormioli con regolare Vipera testimonial. "Ma lasci perdere, quella è per i bociasse (leggi ragazzotti, n.d.r.)", ecco allora che viene promossa una Grappa Amara, alle radici di Genziana, anche se, immantinente, vi vedete recapitare una boccia in pvc di levissima, purissima etc. non c'è Messner, ma sempre il nostro Franco Bee e dentro non c'è acqua per allungare genziana grappaiola, ma una sorsata a 70°, per uso ovviamente personale, di una Sgnappa (si dice) ai Mirtilli Rossi. E vai, un po' a propulsione fagiolau, un po' con gli occhi lucidi dei ricordi Munari, inforchiamo la quarta e partiamo in derapata, destinazione paradiso, come direbbe Grignani e lunga vita ai Panda, sopratutto come questi, a rischio evidente oramai di estinzione prossima e sventura. Sararlo |